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Intervista a Gianni Chiapparo


Lucaweb

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Scritto da: Samuele Giardina

VARESE Una vita nel basket, e per il basket. Gianni Chiapparo è tutto qui. E non è riduttivo, anzi. Schivo ma brillante, onesto e lavoratore. Lui, general manager tricolore coi Roosters, spesso vede un pizzico più avanti di molti. Il dopo scudetto da tregenda? Conferma l’opinione: Chiapparo sa accettare un fallimento, a spalle larghe.

Un errore aver ritenuto che il sistema fosse più forte delle persone che lo componevano?

Un errore di presunzione che, paradossalmente, può però accadere solo nelle strutture che funzionano bene. Il nostro progetto veniva da lontano, dalle ceneri della serie A2: da lì è cresciuto sino a diventare un esempio a livello nazionale. Con Edo Bulgheroni “ci siamo dimissionati” a fine 1999 per il crac di un sistema che non credeva più in se stesso; andarcene ha significato non rinnegare le scelte. Colgo comunque l’occasione per ringraziare Toto Bulgheroni e tutte le persone che, duramente, lavoravano con me.

La rinuncia a una sponsorizzazione principale per affidarsi a un pool di aziende è fallita per la mancanza di risultati sportivi?

No, è fallita semplicemente perché si è deciso di non continuare. L’idea è ancora vincente; anzi, è il futuro della sponsorizzazione sportiva in quanto consente di restare legati al territorio di appartenenza.

Recalcati, Mrsic, Galanda o De Pol: quale la perdita più importante?

Recalcati, perché avrebbe potuto gestire il post scudetto: sin da febbraio ’99 trattavamo per il rinnovo del contratto con la ferma volontà di concludere ma, purtroppo, così non è stato. La colpa poi è andata su Galli ma lui ne aveva poche. Anzi, me ne prendo una io che non mi sono imposto perché Dodo Colombo, uomo d’esperienza, restasse nello staff tecnico. Se Charlie non fosse andato alla Fortitudo probabilmente avremmo trattenuto anche Galanda e Mrsic. Con i bolognesi c’era l’accordo per rilevare il contratto di Gek - 600 milioni l’investimento - in quanto Skansi non lo voleva. A Veljko abbiamo offerto una cifra vicina ai 350.000 dollari; molto alta, quindi. Alla fine è andato a Malaga per 25.000 dollari in più e perché in Spagna ritrovava Bozo Maljkovic che lo ha allenato da ragazzo.

Alessandro De Pol?

A lui abbiamo proposto una cifra pari a quella di Meneghin e Pozzecco ma Roma e Real Madrid gli hanno garantito più del doppio. Fossi stato in lui non sarei andato nella capitale per una differenza risibile ma avrei abbracciato il prestigio delle merengues che, comunque, gli garantivano circa 1 milione di dollari.

La squadra poi assemblata?

Con Recalcati era da primi quattro posti: c’erano Poz, Andrea e Santiago; Sekunda, bizzoso, era tecnico e multiruolo; Allen, ragazzo umile ma troppo emotivo, avrebbe dovuto fare il collante e Wucherer, sulla carta, era un ottimo cambio. Le difficoltà sono da ricercare nella mancata amalgama, in una certa presunzione in alcuni dei nuovi e nei problemi emotivi e comportamentali di Andrea e Gianmarco: il primo è stato molto scosso dalle sirene Nba e da una serie di “mezze figure” che, fiutando la preda, gli hanno ronzato attorno per mesi. Il Poz? Arrivato in alto e mancando di spirito di sacrificio è stato incapace di gestirsi, e noi di dargli una mano.

Un consiglio alla Pallacanestro Varese attuale?

Essere pazienti, il volo a vista è inutile. Indispensabile anche avere un progetto pluriennale e, soprattutto, la costanza di seguirlo. Inoltre servirebbe il coraggio di riaprirsi alla città creando così un clima di fiducia.

Se le offrissero di tornare?

Sono il direttore sportivo della Robur et Fides, diciamo che, se servirà, coopereremo con la Whirlpool ancora più di quello che stiamo già facendo.

La situazione della pallacanestro italiana?

Il sistema si “parla troppo addosso” vivendo distaccato dalla realtà e si è anche persa la capacità di essere innovativi. Siamo fermi, non progrediamo e il prodotto non è all’altezza dei capitali spesi.

Il suo futuro?

Faccio grandi progetti, per gli altri; per quanto mi riguarda navigo a vista. Nasco come istruttore e sono diventato dirigente senza comunque mai trasformarmi nel classico manager business man. Anzi, mantengo la mia impostazione di educatore e cerco di lavorare per creare giocatori, la ricchezza principale. Il tutto grazie alla Robur che mi permette di allenare a Gallarate presso la Scuola Basket Aiyersrock e, al contempo, di lavorare per i ragazzi che guidano il torneo di B2 e hanno appena vinto la Coppa Italia.

Qualche prospetto che potrà affermarsi?

Antonelli (’88) e Genovese (’87) della Pallacanestro Varese. Il primo è alto e coordinato; del siciliano apprezzo fisico e tecnica. In casa Robur cito gli ’88 Rosignoli (a cui serve un’identità tecnica precisa) e Santambrogio (che deve disciplinare l’agonismo) e gli ’89 Padova (pronto per l’eventuale B1), Martinoni e Marusic.

Samuele Giardina

Edited by Lucaweb
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