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Edo Bulgheroni: "Castiglioni ce la farà, ma con una spalla forte"


Lucaweb

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Scritto da: Francesco Caielli

Nell´immaginario collettivo la gente di Varese ricorderà sempre

Edoardo Bulgheroni come l´artefice principale dello scudetto del

1999. Dalle sue mani partì quel progetto che portò allo storico

risultato, ma la costruzione di quei Roosters stellari iniziò

parecchi anni prima. Si può datare la genesi di quel gruppo

indimenticabile nell´estate del 1993, ritiro di Pila. C´era una

società da rilanciare, una città da conquistare, un sogno da

rilanciare. Le sapienti mani di Cappellari seppero creare una squadra

fortissima (era l´anno di Komazec) e un general manager vincente.

<<Non ci si improvvisa professionisti dello sport da un giorno

all´altro - confida Edo Bulgheroni -. Quando io scelsi di

intraprendere questa strada, cioè di non essere solo proprietario ma

anche manager, mi rintanai sotto l´ala protettiva di Tony Cappellari

che, per tre anni, mi fece da guida e mi insegnò tutto quello che

c´era da sapere. Lui divenne presidente con il preciso compito di

forgiarmi e farmi crescere>>.

Fu lui, dunque, quell´uomo forte che pose le fondamenta per le future

fortune della Pallacanestro Varese?

Dal 1993 al 1995 lui mi ha fatto da maestro, e non avrei potuto

capitare meglio. Poi Bologna gli fece un´offerta irrinunciabile, e io

mi trovai a camminare da solo. Ma ero pronto, nonostante la mia

giovane età.

Cosa le ha insegnato Cappellari?

Tutto ciò che serve per stare alla guida di una squadra di basket. Mi

ha insegnato che, per prima cosa, bisogna tessere una rete di

rapporti personali vastissima. Io conoscevo tutti i custodi dei

palazzetti in cui andavamo a giocare, e ogni volta che andavo in Lega

Basket davo del tu a ogni persona che incontravo. E poi gli agenti,

con i quali ho sempre avuto ottimi rapporti professionali. Gli

americani li sceglieva Tony, ma degli altri mi occupavo io. Tutti

sapevano chi ero, e mi rispettavano. Se avevano un giocatore da

rilanciare o da far crescere lo mandavano da noi. Se avevano una

"sola" da affibbiare a qualcuno lo mandavano da un´altra parte.

Queste cose non te le inventi, né le crei da dietro una scrivania e

con i soldi. Bisogna costruirsele giorno dopo giorno.

E per quanto riguarda il rapporto con i giocatori, con la squadra?

Bisogna vivere lo spogliatoio, bisogna saper ottenere il permesso di

entrarci. Io avevo l´abitudine di stare seduto in panchina vicino

all´allenatore, e poi in squadra c´era mio fratello Tony . Andavo

agli allenamenti tutti i giorni, ero quotidianamente a contatto con

la squadra. Mi scontravo e litigavo anche: ricordo un ferocissimo

alterco con Davide Bianchi, ci urlammo addosso di tutto. Ma queste

cose servono, anzi, sono fondamentali.

Alla Varese di oggi manca una figura del genere?

Faccio una premessa. Tutti quanti dobbiamo solo ringraziare la

famiglia Castiglioni. Per la passione che ci mette, perché sta

garantendo la sopravvivenza della pallacanestro in questa città, non

solo a parole ma con i fatti. Detto questo rispondo che sì, a Varese

manca una figura forte. Che non può essere Claudio Castiglioni preso

da mille impegni lavorativi che giustamente considera più importanti

del basket. E che non ha l´esperienza per gestire, dal di dentro, una

realtà come una squadra di pallacanestro, essendosi affacciato a

questo mondo solo da pochi mesi. Ci vogliono le persone giuste al

posto giusto e, come ho detto prima, non si può improvvisare nulla.

Ritorno alla mia esperienza: Cappellari mi ha preso per mano e mi ha

lanciato, poi ho camminato con le mie gambe. E al mio fianco ho

sempre avuto un uomo come Gianni Chiapparo. Non una persona forte, ma

una figura importante che si occupava delle questioni tecniche.

Quello che ci vorrebbe, par di capire, è una persona in grado di

occuparsi a tempo pieno della squadra.

Ecco che torniamo al discorso dell´ "uomo forte". A questa Varese

manca, e personalmente non posso che sponsorizzare Tony Cappellari:

lui è quello che servirebbe, a mio avviso.

Sentendo parlare Edo Bulgheroni non si può non notare come questo

mondo, quello del basket, gli manchi da morire...

Non posso negarlo. L´atmosfera degli spogliatoi, il giorno della

partita. Lavorare nello sport è la cosa più bella del mondo. Ora non

è il momento però, perché mi sto occupando di tutt'altro...

Francesco Caielli

Edited by Lucaweb
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