Lucaweb Posted June 15, 2008 Share Posted June 15, 2008 di Massimo Turconi La colonna sonora del suo ritorno a Varese la suggerisce egli stesso. Giacomo Galanda, grande appassionato dei Pearl Jam, non ha bisogno di frugare troppo nei meandri della memoria. Tempo un paio di secondi, con nonchalance, butta là un titolo "Off he goes". Ma già sai che dietro questa rapidità, non c’è superficialità. Tutt’altro... «E’ una canzone profonda, piena di significati e - spiega Galanda -, è quella che, più di tutte le altre, descrive il mio modo di vivere, la mia parabola umana e professionale. In questo momento la sento particolarmente mia: è una canzone che parlando di arrivi, partenze e ritorni, esplora il senso dell’amicizia. Cade, dunque, a fagiolo perché fotografa alla perfezione il mio essere di nuovo a Varese, il sentirmi come a casa, in mezzo a tante persone conosciute con le quali fu facilissimo allacciare rapporti. Anche se...». - Anche se? «Rispetto a quel magico ’99, tutto è cambiato. Ora non sono più un timido ragazzone, pur pieno di belle speranze e Varese non è più quella giovane e frizzante squadra che stava per stupire la pallacanestro italiana. Ci si ritrova a distanza di sette anni con la consapevolezza che - spiega Galanda - su entrambi i fronti ci sia molto da lavorare per costruire qualche cosa per entusiasmare un pubblico che, fra i suoi meriti, ne ha uno indiscutibile: mai ha abbandonato società e squadra. Ma del resto i "miei" Pearl Jam, nella canzone citata, parlano anche del senso di sicurezza col quale un amico, in questo caso la Pallacanestro Varese, accoglie l’altro, itinerante e giramondo. Varese mi ha subito regalato l’impressione d’essere tornato nella mia seconda casa». - Il pubblico da lei si aspetta proprio l’"innesco" per riprovare piacevoli sensazioni... «Da friulano pragmatico e solido quale sono, non credo però alle magie né ai sogni e - continua Giacomo - mi piace solo confrontarmi con la realtà. Credo che di mezzo vi sia un domani da costruire. Che, stando ai desideri della famiglia Castiglioni, dovrà rispecchiare i cosiddetti valori: attaccamento alla squadra, alla maglia, alla città, ai tifosi. S’intende un gruppo capace di mostrare non solo "fredde" capacità tecniche e tattiche ma pronto a buttare sul parquet cuore, passione e, anche se l’espressione è abusata, l’orgoglio di giocare per Varese». - Età matura, esperienza internazionale e mentalità vincente: i dirigenti biancorossi, per queste ragioni, hanno puntato su di lei. «Arrivando da fuori e dovendo inserirmi in uno spogliatoio che, per certi versi, ha già una struttura definita, so benissimo che non sarà un compito facile. Tuttavia la certezza d’avere un capitano, come Sandrino De Pol, costituisce un elemento che, di sicuro, agevolerà il mio lavoro. Poi - taglia corto Galanda -, non ho mai avuto difficoltà nell’intrattenere rapporti coi compagni e credo che, anche in questa riedizione varesina, basterà poco per armonizzare con tutto l’ambiente». - E’ tanto e dichiarato l’entusiasmo per il suo arrivo ma non mancano nemmeno coloro che dubitano delle "minestre riscaldate". Chi ha bazzicato Milano, dopo la sua stagione Armani, la crede un giocatore in "avanzato stato di cottura". Lei, come la vede? «Agli scettici, in modo lapidario, potrei rispondere che basti guardare le mie statistiche per rendersi conto della mia stagione a Milano, non così poi disastrosa come si vuol far credere. Ma, visto che mi piace spiegare le mie ragioni, aggiungo che a Milano, per usare una metafora, non ho goduto di "buona stampa". I commentatori più assidui delle vicende Armani individuarono nei nuovi - il sottoscritto, Bulleri, Shumpert e compagnia -, un "bubbone". Da lì a perseguitarci per spiegare il motivo di un mezzo fallimento fu sintomatico. Sulle mie prestazioni la realtà è stata spesso travisata e, comunque, non ho mai voluto replicare a tante cattiverie, alcune veramente gratuite. Di fatto il clima di "critica continua" non ha aiutato né Galanda, né la squadra, tant’è che, a conti fatti, ho giocato meglio fuori casa che a Milano. E nelle gare di Eurolega piuttosto che in quelle di campionato. In ogni caso, per tranquillizzare i sostenitori varesini, dico che non sono "cotto" né "bollito". Né dal punto di vista fisico, né sotto il profilo mentale. Non ho, come s’usa dire, la "pancia piena": le annate vincenti di Bologna e Siena non mi hanno imborghesito. Anzi è vero il contrario perché, dopo molti anni spesi al servizio della Nazionale, trarrò grande beneficio dalla prima estate di assoluto riposo. Invece, se parliamo di motivazioni, anche i sassi sanno che il mio ritorno a Varese, con un contratto pluriennale, costituisce, o vorrebbe esserlo, la mia seconda (o terza, oppure quarta, Ndr) primavera. Nella mia testa Varese è l’ideale per raccogliere ancora soddisfazioni». - Quale obiettivo s’è prefissato nel prossimo campionato? «Ho, per così dire, studiato gli ultimi campionati disputati dalla Pallacanestro Varese e dico che, insieme coi miei compagni, mi piacerebbe invertire la rotta. Non più partenze fulminanti, cariche di sogni e ambizioni e arrivi col fiatone e in sordina. Crescere gradualmente, affermarsi strada facendo, arrivare bene in fondo: questi - conclude Galanda - saranno i veri traguardi da tagliare». - Come, chiudiamo noi, il “refrain” di un’altra famosa canzone dei Pearl Jam: I wish, I was. Suggerisce qualcosa? Massimo Turconi Link to comment Share on other sites More sharing options...
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