Lucaweb Posted July 6, 2008 Share Posted July 6, 2008 di Francesco Caielli Maglia numero 9, roccia triestina, trentaquattro anni, è il capitano e l'uomo simbolo della Pallacanestro Varese. L'ultimo ad andarsene dagli allenamenti, l'ultimo ad arrendersi anche nelle situazioni più diffìcili. Dopo la conquista dello scudetto della Stella, è tornato nel maggio 2005 a Varese, in quella che ormai è la sua città. Dicono di lui che sia un diesel: nei momenti che contano, quando il pallone scotta come un braciere ardente, mentre a qualcuno potrebbero tremare le mani, lui c'è sempre. Ed è la locomotiva che traina il gruppo. Capitano vero, in campo e fuori. Spirito guerriero, varesinità applicata alla pallacanestro. Tutto questo è Sandro De Pol, bandiera biancorossa, esperienza e grinta al servizio della squadra. Come quando a Treviso, con la squadra precipitata a meno 20, prese di petto il gruppo fino quasi a trascinarlo a una fantastica rimonta. Sorride sereno "Sandrino", dopo l'allenamento: «Per forza, quando si vince tutto funziona alla perfezione». Eppure anche l'anno scorso, di questi tempi, Varese viaggiava nelle parti alte della classifica con gli stessi punti che ha oggi. Poi sappiamo come è andata a finire. "Ma non ditelo nemmeno per scherzo: innanzitutto i punti che abbiamo fatto lo scorso anno li abbiamo ottenuti vincendo le partite in casa e sfruttando un calendario piuttosto agevole, mentre quest'anno ce li siamo sudati tutti andando a vincere due volte in trasferta e battendo squadre forti e attrezzate. E poi, non è la stessa cosa. Quest'anno si respira tutto un altro clima: siamo più gruppo, più intensi, più affamati. Ecco, la parola giusta è affamati." Affamati di cosa? Di migliorare sempre, di stare sempre più uniti, di lavorare come bestie in allenamento, di sacrificio. Di crescere. Eppure quell'inizio di campionato disastroso (tre sconfitte in tre partite) non prometteva nulla di buono. Cosa è successo? Siamo stati molto bravi a non farci prendere dallo sconforto e a rimanere concentrati. Abbiamo perso tre partite strane, contro squadre forti e giocandocela fino alla fine: ci siamo convinti che avremmo dovuto continuare su quella strada. La stagione di Varese ha già avuto un momento difficile: la gara interna con Avellino. In caso di sconfìtta sarebbero stati presi provvedimenti drastici da parte della società. È vero, dal punto di vista psicologico quella partita non è stata semplice. Avvertivamo tutti una forte pressione, forse proprio per quello abbiamo stentato ad ingranare. Poi è venuta fuori la grande differenza che esiste tra le due squadre, con tutto il rispetto per Avellino, e le cose sono andate come dovevano. Da lì il campionato di Varese è stato tutto in crescendo. Con l'eccezione della disfatta di Biella. Vero. In Piemonte abbiamo giocato malissimo, e siamo tornati a casa con una bella scoppola. Ma io credo che quella partita ci abbia insegnato parecchie cose e che a volte certi schiaffoni possano anche essere educativi. A Biella abbiamo pagato un po' di supponenza con la quale siamo scesi in campo, forse convinti che avremmo vinto senza fare eccessivamente fatica. Ora sappiamo che dovremo lottare fino all'ultimo sangue in tutte le partite, senza eccezioni. La risposta a Biella è stata la bella vittoria di Napoli. Come è andata? Abbiamo avuto la fortuna di incontrare una squadra con parecchi problemi, e siamo stati bravissimi a metterli a nudo e a sfruttarli a nostro vantaggio. Il nostro approccio alla partita è stato vincente e poi abbiamo resistito con i denti al loro tentativo di rimonta, in un secondo tempo in cui tutti si sono sacrificati per il bene della squadra. Claudio Castiglioni in un'intervista ha detto che l'anno scorso, in una partita come quella di Napoli, ci saremmo adeguati al loro non gioco e poi avremmo perso. Ha perfettamente ragione, siamo stati bravissimi. Lo spirito di sacrificio di questa squadra è un aspetto che Gianni Chiapparo ha evidenziato in più occasioni. È davvero così speciale? Siamo un gran bel gruppo, e tutti sono disposti a rinunciare a qualcosa di proprio per aiutare il compagno. Tanti piccoli episodi, tanti gesti apparentemente insignificanti, che fanno grande una squadra. Anche contro Udine questa vostra caratteristica è emersa in pieno. Con l'assenza di Keys e Howell non era facile portarla a casa. Non mi piace parlare degli assenti, perché mi pare sempre di cercare delle scuse. Però Hafnar è stato grande, e in quell'occasione si è vista tutta la sua grande intelligenza cestistica. Ora non vorrete mica fermarvi? Nemmeno per idea. Sappiamo che sarà ancora molto dura, ma la voglia di lavorare, da parte di tutti, è tanta. Come vedi il Menego nella sua nuova veste di allenatore? È super, credetemi. Riesce sempre a dire la cosa giusta al momento giusto, gli basta dare uno sguardo ad una situazione per comprenderla. Capisce e conosce la pallacanestro come pochi altri ed è bravissimo a trasmettere tutte le sue intuizioni. Adesso gli ho chiesto di seguirmi in un lavoro particolare che sto facendo, e dal punto di vista tecnico mi sta dando una grande mano. È l'erede di Magnano. Francesco Caielli Link to comment Share on other sites More sharing options...
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