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La Pallacanestro Varese fa bella propaganda alla città, eppure...


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di Giancarlo Pigionatti

Sparare sui politici? Uno sport nazionale, non importa il loro colore, se sono al potere. E capita che i politici, così assuefatti nell'essere un facile bersaglio, sembrano talvolta infischiarsi dei dissensi, anche se motivati. A Varese, in questo momento, per esempio, calcio e basket si ritrovano interlocutori imbarazzati e imbarazzanti, almeno secondo i punti di vista, di Palazzo Estense.

Già, il basket. La cui squadra, come simbolo glorioso della città, in Italia e in Europa, da lustro e visibilità a Varese, sicché - a rigor di logica - le assicura un prestigioso ritorno di immagine. Chiamala, se vuoi, pubblicità. Che, solitamente, per un qualsiasi abbinamento commerciale, costa e abbastanza. In questo caso a pagare è la Pallacanestro Varese. Il cui pacchetto azionario è di proprietà della famiglia Castiglioni ma la squadra -quale patrimonio culturale (vista la sua potente e lunga storia con innegabili riflessi nel costume sociale e sportivo di tante generazioni) - appartiene a tutti, quindi alla città, la cui espressione massima è proprio il Comune.

Che, proprietario del palasport, battendo cassa, si comporta come... un comune (mai termine fu più giusto) padrone di casa. Di mezzo c'è il palasport o meglio il suo canone d'affitto, tant 'è che, ora come ora, il Palazzo pretende una garanzia bancaria dal club biancorosso nel merito di un debito pregresso, nonostante un ripianamento e aggiornamento rateale d'una certa somma, come fa notare la Pall. Varese, mortificatissima da un dibattito che giudica offensivo.

L'irritazione del patron biancorosso è comprensibile e, pure, condivisibile allorquando, alla luce del suo enorme sacrificio finanziario, nel garantire un'onorevole continuità alla squadra, si ritrova discusso, se non "mazziato", nei piani alti della sua città. Una volta mecenati si nasceva, oggi si diventa, anche per necessità, non guadagnando ma solo rimettendoci i presidenti nel basket.Eppure, nonostante il bel giocattolo mantenuto, passato il quarto d'ora di incenso, la famiglia Castiglioni si ritrova, per così dire, il "dito" pubblico puntato addosso.

Giorni fa al patron, indispettito ai massimi storici, è venuta persino l'idea di chiedere "asilo politico" a Busto Arsizio, se non addirittura di chiudere "baracca e burattini". Una provocazione? Probabile ma è certo il suo accento acuto su una questione che, stando al Palazzo,

va però chiusa. Non ci preme disquisire sulle ragioni o sui torti nell'odierno rapporto tra Comune e Pall. Varese, ci interessa piuttosto la questione a più ampio respiro e con il pensiero al futuro.

In altre piazze, ad esempio, per dire di regioni, province e comuni, questo contenzioso, se di esso si tratta, non avrebbe motivo di esistere. Alludiamo agli enti istituzionali, grandi e piccoli, che elargiscono centinaia di migliala di euro

per sostenere la squadra del proprio capoluogo nella massima serie, nel calcio, come nel basket, tenendo quindi a quel valore tecnico e agonistico che, se accresce, ne beneficia il club in competitivita, quindi in immagine. Uno scudetto e una qualificazione in Europa valgono più di mille sponsorizzazioni d'una città. Varese, negli anni Sessanta, era famosa in Italia esclusivamente per le scarpe e per l'Ignis, come squadra però. In tutte le capitali europee di pallacanestro il nome di Varese evoca

sempre grande fascino, possiamo dirlo, anzi giurarlo su cento Bibbie come testimoni, al seguito della squadra, nelle Coppe, per anni.

Tornando a ben altro regime, quello che s'usa qui, è pur vero che tutti sono uguali davanti alle leggi, quindi ai regolamenti comunali che disciplinano l'utilizzo degli impianti e ai relativi canoni d'affitto. Il diritto allo sport o, meglio, a praticarlo, è sacrosanto per tutti: dilettanti o amatori che siano, anche per un'innegabile valenza sociale.

Eppure, se permettete, crediamo che non tutti i club debbano essere considerati uguali, avendo storie e valori molto diversi, com 'è il caso della Pali. Varese che ha scritto la storia d'Italia e che, nelle sue esibizioni a Masnago, raduna più di 4000 spettatori di media a partita, per dire di una cuspide luminosa, qual' è, per l'appassionato movimento cestistico giovanile e dilettantistico di tutta una provincia.

Abbasso la demagogia, vien da dire, se essa è sbandierata e applicata pervicacemente senza alcun distinguo. Personalmente siamo, in ogni caso, contrari alle sovvenzioni, più o meno congrue, degli enti ai club, dovendo spendere meglio il denaro pubblico, per esempio a favore di opere sociali e assistenziali che pretendono una priorità assoluta ma nemmeno ci pare plausibile l'esazione di un canone che non sia simbolico per un inquilino così speciale. Come lo è chi assicura prestigio, e dappertutto, al padrone di casa. Più chiari di così.

Giancarlo Pigionatti

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