Jump to content

Tanto entusiasmo al palasport di Masnago per la talentuosa nazionale


Lucaweb

Recommended Posts

di Giancarlo Pigionatti

Era un predestinato a guidare la Nazionale. Glielo feci notare in aereo al ritorno da una trasferta di Varese a Istanbul. Carlo Recalcati mi guardò ma non proferì verbo né si schermì. Se lo dici tu? Mi sembrò questa la traduzione do un suo divertito silenzio. In verità egli sapeva d’essere a misura di un manipolo eletto, conscio delle proprie capacità per equilibrio e decisione. Sempre pacato ma chiaro nelle sue scelte, anche a costo di riconsiderarle, Recalcati mai ha diviso i suoi uomini in figli e figliastri. Allenava Santiago al pari di Galanda e Meneghin che ammirava, per dire di una fiducia massima, eppure non impazziva per il giovane portoricano. Mai l’avrebbe scelto. Ma Santiago crebbe ed esplose. Questa è la sua forza in un mestiere che, per riuscirvi, devi mettere da parte pregiudizi e simpatie, al limite di una tolleranza e d’una attenzione che significano non debolezza ma cognizione della realtà. Che non posseggono molti suoi colleghi i quali, sul pulpito delle dichiarazioni, sembrano biblici predicatori d’un tempio.

Recalcati è un sano concretizzatore: sa adeguarsi agli uomini di cui dispone e alle situazioni che trova pur con lo scettro del comando: non è mai l’allenatore - osservava a suo tempo - a fare la differenza ma egli può semplicemente rovinare uno spogliatoio, quindi rompere un giocattolo, come invece farlo funzionare alla perfezione. Il citt’ azzurro sa calarsi nel cuore di una squadra cogliendo in ciascuno il frutto buono per avere un sicuro raccolto: questione di acume tecnico e conoscenza degli uomini. Non fu un caso se Recalcati riuscì a governare, in due stagioni memorabili per Varese (qualificazione in Eurolega e scudetto della Stella), un certo Gianmarco Pozzecco il quale, dopo di lui, si mangiò, a parte Dado Lombardi, legatosi mani e piedi al play, tutti gli allenatori incrociati sulla propria via. Pozzecco, selvatico com’era, amava il basket senza allenatori né arbitri, lo disse pure. Recalcati fu l’unico a capire come avrebbe dovuto gestire i suoi compagni e non Gianmarco, impossibile da domare nei suoi vezzi. "Vi va bene Pozzecco? Anche quando dovete sgobbare e difendere per lui, quando vi ruba la scena e s’allena poco avendo bisogno di un pallone e di un avversario per impegnarsi?" La risposta affermativa della squadra era come una pietra sulla presenza del fuoriclasse triestino. Ci fu, tuttavia, un attimo di tensione quando Pozzecco, al rientro da uno stop per polmonite, gli tirò la giacca in panchina, naturalmente per giocare: Recalcati non cedette, lo trattò come gli altri e gli fece capire che il suo atteggiamento stava diventando irriguardoso e maleducato. Vissero poi felici e contenti, sino alla Stella.

Carlo continuò per la sua strada garantendo gloria a piazze che ne erano in cerca dall’inizio della loro storia e con squadre che costruivano gli altri. Diventò un vincente restando se stesso, a differenza di coloro che si sentono maghi per aver compiuto una sola impresa. Fu persino buffa la sua sorte: Varese lo ripescò in serie B, dov’era finito dopo una disastrosa stagione, anche di rapporti, alla Teorematour di Scotti: mai di quell’esperienza parlò poi, nemmeno per rispedire al mittente veri veleni. «In serie B, con giocatori normali, si capisce invece quanto valga un allenatore». Quella volta egli capì d’essere bravo, nessuna presunzione ma solo compiacimento nel proprio successo in un mestieraccio, anche affascinante.

Proprio a Varese, al suo primo passaggio da cittì della Nazionale, fece fuori Pozzecco la cui reazione si trasformò, proprio nella hall del Palace Hotel, in una chiassata da baraccone. Chi, però, credette in frantumi quel rapporto, così emblematico, anche per Recalcati, si dovette ricredere quando il cittì promosse il play per la missione olimpica di Atene, conclusa con una medaglia d’argento al collo.

Pozzecco sogna ancora un’Olimpiade, nel suo contratto, a Capo d’Orlando, ha inserito un premio nel caso in cui riconquisti l’azzurro.

«Perchè ha fatto una cosa simile?», si chiede Recalcati, sempre d’un pezzo, in sintonia con un’attualità che offre atleti di valore e più freschi nel ruolo. Ogni atleta ha il suo tempo, come De Pol che il cittì non ha affatto capito quando gli ha tolto il saluto al capolinea delle sue illustri convocazione in Nazionale.

Ora tocca a Galanda e all’eterno Galleani a far risaltare un po’ di grande varesinità in un’Italia di talenti, da lanciare ancora sul podio d’Europa, magari per un oro sul quale val pena puntare, in agenzia, a dieci contro uno. Recalcati non scommette, lo facciamo noi, convinti che ci ripagherà o che, tutt’al più, ci rimborserà. Varese, sinora, gli ha portato fortuna, Recalcati non è superstizioso ma il palazzo della Stella e una città che, al suo debutto qui, lo accolse ben diversamente da un odiato canturino valgono un romantico pass per una grande conquista. Nell’anno dei Roosters egli credette a un quarto posto massimo e poi vinse il titolo. Faccia pure lo scontroso e il difficile, mentre mille entusiasmi, tanti quanti i tifosi, ieri al palasport, accompagneranno i suoi azzurri da sogno.

Link to comment
Share on other sites

×
×
  • Create New...