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«Varese, non ti deluderò»


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di Massimo Turconi

Sono i tempi che cambiano, bellezza…! Se una volta i giocatori americani avevano, del nostro Paese, della nostra pallacanestro, di Varese, notizie poco meno che frammentarie, a volte false, adesso, bastano un computer ed un paio di click per capire molte cose. Julius Hodge, davanti al nostro taccuino, non fa la figura dello sprovveduto. Innanzitutto, nell’ordine, sa dove l’Europa, l’Italia e Varese: siamo già un bel passo avanti. Poi, quando altri in passato, ci hanno parlato di “tradizione”, sembravano recitare una favola imparata in fretta dagli agenti. Hodge, no. La storia di Varese , anche se “on line”, sembra averla studiata per davvero. Quindi, altro passo in avanti… Ma direte voi, a che serve? Serve, per esempio, sapere che Julius, al contrario di tanti suoi connazionali, non crede di essere arrivato in un posto da “anelli al naso”.

«Come tutti gli americani – confessa Hodge -, prima di arrivare qui, conoscevo Milano solo per la moda e per gli stilisti. Tuttavia, da grande appassionato di pallacanestro, appena il mio agente mi ha prospettato l’ipotesi di una carriera italiana, ho acceso il computer e trascorso molte ore sul web alla ricerca di notizie su Varese, scoprendo la vostra fantastica storia. In seguito ho parlato a lungo con Marcus Melvin il quale, e non poteva essere diversamente, mi ha descritto con entusiasmo la sua esperienza italiana. Così, per tutte queste cose, ho pensato che Varese potesse essere la migliore soluzione per poter continuare, a un livello elevato, la mia carriera».

- Carriera che in NBA, dopo anni eccellenti al College, e una scelta altissima nel Draft, non è mai sbocciata. Come mai?

«Certe situazione sono difficili da spiegare anche per chi le vive in presa diretta – commenta filosoficamente Hodge -. Personalmente non ho molto da rimproverarmi per il mio atteggiamento con i professionisti. Mi sono sempre allenato con grande impegno: primo ad arrivare in palestra e ultimo a lasciarla, lavorando duro, con disciplina e grande attenzione alle richieste del coach. Probabilmente, sono capitato nella squadra sbagliata, al momento sbagliato ma, di fatto, coi Denver Nuggets non ho mai avuto reali opportunità di gioco, né la possibilità di mostrare le mie qualità. Sono dispiaciuto, anche voi saprete che sfondare nel campionato “Pro” è nei sogni di tutti i ragazzini statunitensi. A maggior ragione per uno come me che al college fece molto bene e, giustamente, era arrivato in NBA con grandi aspettative e pressione».

- Molti osservatori d’oltreoceano, nei loro resoconti, hanno definito Hodge come il classico giocatore che, in NBA, è senza ruolo: poco veloce per giocare playmaker, senza tiro fulminante da guardia, senza le qualità fisiche, il peso e l’energia per il ruolo di ala piccola. Cattivi, vero, i critici USA?

«Un po’ sì - conferma Julius -. Può essere che tutte queste considerazioni tecniche siano esatte ma è vero che, forse, queste etichette mi sono state appiccicate addosso con un pizzico di frenesia. Anche in NBA non è facile scrollarsi di dosso i pregiudizi».

- Non è possibile parlare della sua carriera, senza tirare in ballo la sparatoria nella quale lei è stato coinvolto. Un episodio criminoso che, secondo alcuni, ha messo definitivamente la parola fine al suo rapporto con i “Pro”. Quali le ragioni per quel fatto di cronaca nera?

«Non ci sono motivi plausibili, sono un ragazzo estremamente tranquillo, che pensa solo al basket e alla famiglia. Con ogni probabilità, e come riferito in più occasioni, la polizia di Denver è propensa a credere che, mio malgrado, io mi sia trovato in mezzo a un regolamento di conti con un chiaro scambio di persone. Insomma, mi hanno preso per un altro ed io mi sono ritrovato con cinque pallottole in corpo senza nemmeno sapere chi devo ringraziare. Non è mai stato trovato un movente, né un colpevole né, tantomeno, qualcuno è finito sotto processo per ciò che mi è accaduto. Ma - commenta amaramente Hodge -, questi fatti, in USA, purtroppo sono all’ordine del giorno».

- Varese e l’Italia potrebbero aiutarla a dimenticare questo momento poco gradevole della sua vita...

«E’ quello che mi auguro e, di sicuro, ho bisogno di serenità e fiducia per tornare ad essere quello che ero. Io, ve lo giuro, sono un buon giocatore, in grado di fare bene tante cose, in attacco, in difesa e a favore della squadra. Anche se in America – conclude Hodge -, qualcuno la pensa in modo diverso».

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