Lucaweb Posted July 18, 2008 Share Posted July 18, 2008 di (ma. tu.) - Giacomo “Gek” Galanda, 33 anni alla fine di gennaio, sta disputando, numeri alla mano, una delle migliori stagione della sua lunghissima e gloriosa carriera. Undici gare disputate a quasi 30 minuti di media (top in carriera): il 57.4 da 2, il 39.1 da 3; 6.5 rimbalzi catturati (5 in difesa, 1.5 in attacco), 13.8 punti di media a gara e 15.8 di valutazione. Ci sarebbe di che essere contenti, ma Giacomo sa bene che… «Accumulare numeri positivi in stagione perdenti è una delle cose più deprimenti per un giocatore e lo è in particolare per uno come me che ha sempre messo il risultato del gruppo in cima a tutto. Non mi piace nemmeno che si parli di me come “l’unico che si salva”. Nello sport si va a fondo tutti insieme». Questa volta il giochino si fa un po’ più spesso. Decisamente più difficile. Il “giochino” con Galanda è trovare una canzone dei nostri amati Pearl Jam per descrivere il momento di Varese. Stavolta, bisogna ammetterlo, è dura. «Ci vorrebbe - spiega Galanda - un testo in grado di trasmettere speranza e fiducia ma adesso non mi viene in mente proprio nulla». Solo un caso? Oppure un cattivo presagio? «No, dai. Non mettiamola in questo modo anche perché - continua l’ala della Cimberio - non è l’esatta fotografia di ciò che penso». - E, allora, provi a spiegare come giudica una stagione che, fin qui è terribile. «Già, terribile. Ma questa definizione non può essere definitiva. In spogliatoio vedo, nonostante tutto, facce giuste. Osservo i volti dei miei compagni e nei loro occhi, dopo Montegranaro, vedo ancora rabbia.Questo è un gruppo di gente che ci tiene, non solo per un obiettivo, ma anche per un ideale, per un pubblico e, anche se suona strano, per una maglia. Tutti, compresi i nuovi arrivati e i più giovani, siamo consapevoli di essere a Varese che, per il basket, non è una città qualsiasi . Tutti sanno - osserva Galanda - che qui devi dare qualcosa in più e che niente ti può essere perdonato». - Bei pensieri d’un leader tecnico e morale ma classifica e parole non vanno d’accordo: si gradirebbero i fatti... «Con l’ultima svolta, ovvero con la “scossa” di Bianchini, ci stiamo incamminando su questa strada che sconta almeno due mesi di ritardo. Valerio, da allenatore esperto, ha subito messo il dito nella piaga, intuendo che, senza una difesa adeguata, l’unica prospettiva è la retrocessione. Da una decina di giorni abbiamo cominciato a lavorare in maniera diversa in difesa, sia dal punto di vista tecnico e tattico, personalmente intravedo qualche spiraglio e -perché no? - un pizzico di speranza in più. Probabilmente, dopo esserci avvitati su noi stessi, per settimane, alla ricerca di soluzioni, avevamo bisogno di qualcuno che, venendo da fuori, con maggior serenità, capisse il problema. Non so dire quando e come ne verremo fuori ma adesso sono più convinto che la strada presa sia giusta». - Quindi cogliemmo giusto in lei, alla vigilia del campionato, qualche perplessità sulla consistenza della Cimberio ma, soprattutto, qualche risposta diplomatica di troppo... «No. Le risposte di allora erano diplomatiche semplicemente perchè non potevo avere idea di quale fosse il reale potenziale della squadra. Fatta questa premessa, rispondo che sì, qualche dubbio, vedendo la squadra allenarsi (Galanda era spettatore a causa di un infortunio e di un intervento chirurgico ndr), era naturale che ci fosse». - Perplessità scatenate da che cosa? «Dai tanti cambi estivi, non tutti opportuni e, soprattutto, dal fatto che si era passati da una squadra con due-tre risolutori, gente capace di costruirsi un tiro e risolvere situazioni con la palla in mano a un gruppo di giocatori “da sistema”, con minor talento e ideali per stare dentro i binari di un gioco schematico. In parole povere – spiega Galanda -, un progetto tecnico che sulla carta poteva apparire intrigante ma difficile da portare avanti sia in termini di tempo sia di reale applicazione sul parquet. A queste difficoltà, per così dire strutturali, bisogna aggiungere gli infortuni iniziali mio e di Capin, la presenza poco inquadrabile di Hodge e il calo improvviso di Marcus Melvin che, evidentemente, dopo un avvio di campionato disputato ad alto livello, rientrando io in gruppo, non seppe trovare gli spazi e intensità mentale per ripetersi. Nel pestarci un po’ i piedi ha pagato lui, alle prime esperienze nella massima serie. Queste ed altre realtà ci hanno fatto perdere almeno sei punti, grazie ai quali ora potremmo fare discorsi diversi, certamente più sereni». - Lei ha accennato a Hodge e domenica a Masnago arriva Holland: un giudizio in libertà? «Sinteticamente: due personaggi con una vena di bizzarria, ma sulla professionalità, sulla “voglia” e sul talento di Delonte non discuto nemmeno. Delonte, inoltre, al di là di qualche stranezza, era riuscito a farsi “proteggere” dalla squadra e dallo spogliatoio. Julius, purtroppo per lui, nemmeno quello». - Arriva la Virtus ma, per lei, s’è parlato di Fortitudo… «Può essere ma gli aspetti importanti sono due: non ne ho parlato io e Sacrati (presidente Fortitudo ndr) ha avuto il buon gusto di non telefonarmi. So che ci sono stati contatti tra le società e i procuratori ma il sottoscritto, nemmeno per un millesimo di secondo, ha pensato alla Upim. Poi, di queste cose, sono abituato a discutere in estate, al momento della firma del contratto: mai a stagione in corso e meno che mai con Varese in questa situazione. Sarebbe stata una scelta da vigliacconi. Quindi meglio stare concentrati solo sui virtussini e su una partita da vincere a tutti i costi». - E la canzone? Mica vorrà restare senza? «Proviamo con Wishlist (Lista dei desideri), una bella ballata per la quale i Pearl Jam, ogni volta, cambiano il testo e il mio desiderio potete anche immaginarlo». Massimo Turconi Link to comment Share on other sites More sharing options...
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