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di Massimo Turconi

Keith Carter, seppur lontano da Varese, non ha mai smesso di seguire le vicende della squadra e si è imbattuto nelle dichiarazioni che il presidente Claudio Maria Castiglioni ha diffuso nei giorni scorsi. Nella considerazioni a 360 gradi del numero uno biancorosso vi è un passaggio nel quale si fa esplicito riferimento alla posizione contrattuale della guardia di Mississippi il quale, stando alla verità raccontata da Claudio Castiglioni, per firmare l’accordo che lo avrebbe legato a Varese anche per la stagione 2007-2008 avrebbe chiesto, tramite il suo procuratore, un aumento pari al 30%.

Carter, superfluo sottolinearlo, non ha gradito questa uscita da parte del massimo dirigente varesino e immediatamente ha preso in mano il telefono chiedendo di poter replicare: «Il presidente Castiglioni volendo entrare nel merito della vicenda che mi riguarda ha raccontato cose non vere oppure - sottolinea Carter - a distanza di circa sei mesi non ricorda più bene i termini del contratto. Claudio dice che il mio procuratore, in sede di rinnovo, avrebbe chiesto un ritocco verso l’alto del 30%, mentre a me, anzi a noi, risulta che tutto ciò non sia per niente vero.

L’accordo con Varese, un classico uno più uno, stilato nell’estate del 2006, comprendeva già la cifra per la stagione 2007-2008 con un aumento, già previsto, concordato e sottoscritto da entrambi le parti pari a 20.000 dollari. E io non ho chiesto neanche un centesimo più di ciò che avevamo pattuito dodici mesi prima perché il mio desiderio, nei mesi di giugno e luglio del 2007, era di prolungare l’accordo con Varese, senza speculazioni di sorta. Quindi, ho motivo di pensare che in questa vicenda qualcuno non abbia detto come stavano e stanno realmente le cose. A meno che…».

- A meno che?

«Un’ipotesi è che possa esserci stato, e non ne sarei per nulla sorpreso, più di un errore di comunicazione tra i vari dirigenti varesini. Il mio unico referente in tutto il periodo post-campionato è sempre stato Gianni Chiapparo. Lui conosceva bene la mia situazione e, da quello che ho saputo, a lui erano demandate le decisioni finali. In parole povere, credo sia stato lui a dire: "Tu sì, tu no…", ma forse nessun altro, in società, era al corrente del perché di certe scelte. Per quel che mi riguarda, una volta tornato negli USA con la mia famiglia per le vacanze estive, non ho più avuto contatti con i dirigenti di Varese».

- Come vive, da lontano, la crisi della Cimberio?

«La vivo male perché, come ho detto, a Varese, città e squadra, ho ancora diversi amici e vi sarei tornato camminando sulle mani. In seconda battuta, mai mi sarei aspettato che la squadra disputasse un torneo così infelice. Probabilmente aver stravolto la formazione dello scorso anno è stato un errore o, più semplicemente, non tutti i giocatori che sono arrivati sono all’altezza del compito. Inoltre, bisogna mettere nel conto la componente sfortuna perché iniziare il campionato senza Galanda e Capin, per un team con risorse tirate all’osso, ha rappresentato un handicap grave. Con un paio di vittorie in più nelle prime settimane anche l’atmosfera sarebbe stata meno cupa e più facile lavorare per il futuro».

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