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Una semente a Masnago. La sabbia su altri campi


Lucaweb

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di GIANCARLO PIGIONATTI

Semente o sabbia? L’interrogativo è biblico di fronte a un week-end variabile per le emozioni biancorosse: sabato sera Bianchini e i suoi uomini, nel loro nuovo e ultimo corso, hanno schiantato la Benetton Treviso e, domenica, i risultati degli altri campi, dei quali due da colpacci esterni, pagatissimi al Totoscommesse, ne hanno vanificato gli effetti.

La semente dà frutti, è vita. La sabbia non produce nulla, è materia morta.

L’interrogativo, pur rimandabile nel tempo, se si vogliono certezze, trova ora nella Cimberio una risposta chiara, per quel seme di grande speranza, gettato, sabato sera, a Masnago. Gerarchie nitide, equilibrio fra attacco e difesa, affidabilità e rendimenti chiari, ciascuno secondo la propria differente dimensione ma tutti ugualmente importanti nel servire una causa superiore. I potenziali punti nelle mani sono bastati a mettere sotto una pur problematica Benetton, soprattutto perché l’attacco, efficace e fruttuoso, anzi torrenziale in Lloreda, che è un centro e che, segnando come una guardia o un’ala, infonde sicurezza anche a chi non ne ha, ha legittimato il sacrificio difensivo di tutti, anzi enorme di alcuni, come Passera, Hafnar e Boscagin. I quali hanno vinto grandiosamente le proprie personali ed esistenziali battaglie. Nella sera di Holland ci si aspettava un po’ tutti un Delonte coi lustrini, cioè guizzante nell’aria e frenetico nei zig-zag di terra, invece ci siamo ritrovati con un giovane più riflessivo e maturo, soprattutto conscio delle necessità della squadra in un momento delicatissimo. L’americano, a corto di energie, dopo un mese di lontananza dai giochi, ha preferito non indulgere in prodezze né in forzature, cui era solito, proprio per non provocare nuovi squarci in una squadra che aveva bisogno di scoprirsi, intimamente, un gruppo. .

«Non ha giocato da Holland», tutto qui, per dirla come Carlo Recalcati. Il che fa capire quale persona sia Delonte, ben diversa dalla descrizione nelle panzane di Bologna. Varese l’ha capito subito, come Galanda & C. e l’effetto Holland c’è stato, innanzitutto attraverso i suoi quattro rimbalzoni d’inizio gara, quindi nel suo modo d’essere in campo, in grande umiltà, fors’anche strana per chi lo chiacchiera ma chi conosce Delonte sa che è un ragazzo puntiglioso e responsabile.

La squadra, toccata nel vivo da una presenza così provocante (nel bene), s’è così misurata con la forza dei nervi tesi, nella sicurezza d’avere accanto una piccola stella, capace di brillare forte se fosse servito. Sarà anche una questione di subconscio ma qualche cosa di simile è accaduto nella testa dei biancorossi i quali, come per mostrare pari orgoglio e dignità, con un Holland, accolto come l’uomo della provvidenza, hanno giocato - per mentalità e sicurezza - ai massimi storici di questa stagione. E hanno pure fatto a meno di lui nel finale di una gara sulla quale hanno messo la loro impronta. Lloreda è, addirittura, tracimato facendo quel che gli è parso e piaciuto sotto i tabelloni. Ed ha finito per ridicolizzare il consideratissimo Austin e coloro che, a Novara, lo hanno "sgomberato". Mal ridotto dalla classe e dalla statura di Lorbek (che è uno mentre gli altri pivot sono grossi e bassottelli come lui), il panamense ha semplicemente messo in pratica i propositi di chi scommette una cifra su di sé, sicuro di andare alla cassa. Non immaginavamo che Lloreda potesse far registrare il terzo miglior bottino d’un pivot biancorosso di tutti i tempi (dietro i 44 di Dino Meneghin e i 33 di Micheaux, questi proprio contro Cantù di Recalcati che ancora se li ricorda) ma ci era francamente piaciuto su queste colonne allorquando, distinguendosi da un certo coro, aveva dimostrato grande chiarezza d’analisi sui limiti della squadra, che erano offensivi, quindi frustranti per una difesa anche egregia. «Allora ci penso io», avrà mormorato tra sé Lloreda, abbastanza baldanzoso nel dichiararsi degno e di più della massima serie. In realtà è stata avveduta e intelligente la Cimberio, per dire della capacità di Bianchini nel leggere la partita, a insistere sul centro panamense. Sabato sera ha goduto anche Carlo Recalcati, tifosone di Varese (e non di Cantù, come spiega ogni volta, sempre che non lo sentano in centro, dove egli abita), pronto a esclamativi di elogio per Giorgio e Marco, cioè Boscagin e Passera. Sua moglie poi, sono sue parole, è come un’ultrà della Curva Nord trasferitasi nel parterre.

Il successone di sabato sera, che ha riconciliato, sul campo, squadra e società al grande pubblico, fa sperare in buoni frutti, se non che altri risultati, di una concorrenza, creduta magari calante o in crisi, hanno avuto purtroppo l’effetto di una gelata sul raccolto. Con quattordici gare all’alba e dopo cinque mosse su sei di mercato "toppate" (come dimostrano le operazioni della società), oggi Varese, non fenomenale ma molto chiara nella sua identità, ha soltanto quell’enorme handicap di classifica. Augurandosi una sorte finalmente benigna, dovrà credere in se stessa perché nessuno l’aiuterà. Ma non sarà sola.

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