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Fernandez: «Ho tolto il disturbo per il bene di Lloreda e Melvin»


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di Massimo Turconi

Un’ultima chiacchierata in un momento di tenera malinconia. Con Gabriel Fernandez tutto è successo così in fretta - risoluzione del contratto, trasloco frenetico e ritorno in patria - che le quattro chiacchiere tra amici, sono rimaste sospese per aria. Il “Gladiatore” ha lasciato giorni fa Varese non prima di aver guardato, da lontano, uno spicchio di allenamento dei suoi ex-compagni. Un’occhiata carica di rimpianto, rammarico e un pizzico di rabbia.

«Mai avrei pensato che il mio rapporto con la Pall.o Varese potesse finire così - osserva Fernandez -. Sei mesi fa il prolungamento dell’accordo con la Cimberio mi aveva reso felicissimo, non solo per ragioni strettamente economiche. Nella vostra città avevo trovato un ambiente ideale per la mia famiglia e per potermi esprimere come giocatore. Durante l’estate scorsa, per la prima volta, dopo tanti anni di impegni con Nazionale,potei riposare e, grazie al professor Pilori, svolgere anche un lavoro di preparazione atletica mirata. Dal punto di vista fisico e mentale mi sentivo pronto per una stagione importante, adeguata al prestigio di Varese e, credo, in sintonia con le aspettative di un ambiente che, dopo il settimo posto dello scorso anno, nutriva giustificate ambizioni. Invece…».

Invece?

«Nel giro di poche settimane quel che pareva un idillio è finito a carte quarantotto perché, al di là dei gravi infortuni occorsi a Capin e Galanda, fin dai primi allenamenti abbiamo, più o meno tutti, avuto la sensazione che la squadra fosse costruita male, con almeno un paio di giocatori, doppione l’uno dell’altro per dire di equilibri tecnici, tattici e psicologici difficili da mettere insieme».

- Gli esempi non mancano...

«Ce ne sono, anzi quanti ne volete - è sempre Fernandez che parla -. L’arrivo di Marcus Melvin, che è un buon giocatore, oltre che un’ottima persona, oltre a pestare i piedi tecnicamente a Galanda ne ha “ammazzato” altri due: De Pol e il sottoscritto. Ma potrei citare anche Julius Hodge, Kamil Pietras, Steponas Babrauskas, ragazzi che si sono trovati, loro malgrado, inseriti in un contesto sbagliato. Non a caso, dirigenti e tecnici hanno in seguito sconfessato tutte queste mosse di mercato».

- E la sua “mossa” in quale ambito rientra?

«La mia vicenda è molto semplice. Fino all’arrivo di coach Bianchini le cose rientravano nei canoni di una normalità pur sempre riferibile a una formazione ultima in classifica. Poi, con la presenza del nuovo tecnico, ho visto assottigliare la mia presenza sul campo facendo addirittura registrare degli n.e. Non occorre essere un genio per capire che, con Bianchini sul ponte di comando, non avrei visto più il campo, bastava osservarne gli atteggiamenti o ascoltarne le dichiarazioni. Così, senza alcuna polemica, senza generare altre bufere, Varese non ne ha proprio bisogno, ho chiesto di essere ceduto perché, a 31 anni suonati, l’unica cosa che desidero fare è giocare. Avrei voluto farlo per la Cimberio ma da un certo punto in avanti questa possibilità m’è stata negata. Allora, sia per l’entità del mio contratto, sia per liberare” la testa di giocatori come Melvin e Lloreda che possono scendere in campo più tranquilli, ho preferito farmi da parte. Ma, sottolineo, non accetto l’accusa d’aver abbandonato la nave che affonda. In tempi non sospetti, evidenziai l’esigenza di sfoltire i ranghi e ridefinire le gerarchie di un gruppo con troppi giocatori dalle caratteristiche simili. Queste scelte, è vero, sono state fatte ma con colpevole ritardo e, purtroppo, vi sono andato di mezzo io. E chi sapete».

- Apriamo la parentesi dei suoi allenatore “italiani”: Magnano, Mrsic e Bianchini.

«Magnano è molto attento nel lavoro settimanale, perfino maniacale nella preparazione delle partite. Bisogna però sfatare il mito che con lui ci si allena tanto, direi piuttosto che si lavora in modo ripetitivo. A volte troppo. Tuttavia, nei due anni in cui abbiamo lavorato insieme, nessuno può dire che Varese sia arrivata a una partita senza sapere che cosa fare e questo è un suo merito indiscutibile. Mrsic è invece un coach col quale mi sono trovato molto bene. E’ un allenatore duro, esigente, poco cedevole ai rapporti interpersonali. Con lui le scintille non sono mancate ma sono soddisfatto perchè abbiamo lavorato tantissimo. Su Bianchini, infine, non vorrei soffermarmi troppo. Prima di tutto perché non ho avuto modo di conoscerlo bene, poi perché, per il poco che ho visto, in seno alla squadra non è cambiato nulla. Gli allenamenti sono sempre a cura di Mrsic, la preparazione e le conduzione delle partite idem. In altri termini: cambiare guida tecnica, dal mio punto di vista, è ben altra questione».

- Fernandez di nuovo nella sua Argentina, perché questa scelta?

«La mia decisione ha fatto arrabbiare non poco il mio procuratore italiano il quale ha visto sfumare i proventi del contratto biennale propostomi dalla Snaidero Udine. La mia scelta nasce da ragioni personali ma pure da un sogno: partecipare a un’altra Olimpiade. Al Boca Juniors ritrovo coach Hernandez, tecnico della nostra Nazionale e, in sei mesi, lui avrà la possibilità di vedermi, valutarmi in maniera approfondita e, spero, convocarmi per la Seleccion. Poi, forse, la prossima stagione, tornerò in Europa, meglio ancora in Italia. Mai dire mai».

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