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di GIANCARLO PIGIONATTI

E’ scesa malinconica la sera. Anzi la notte. Che è fonda per la Pallacanestro Varese, depredata delle sue ultime ridottissime speranze di salvezza da un manipolo di baldi atleti e da capaci ragazzotti. Si è spenta anche l’ultima fiaccolina sotto il moggio biancorosso: la verità è tanto crudele, quanto surreale, a giudicare l’atteggiamento dei tifosi, sempre splendidi e unici, nonostante i tanti ceffoni subiti. Gli stessi servizi delle tivù nazionali hanno risparmiato la Cimberio, quasi che fosse quella della scorsa stagione di A2, allorquando lo sponsor rappresentava ben altra piazza.

Eppure, dopo il colpo di mano di Teramo a Masnago, ormai in versione "terra di conquiste", peraltro, nel giorno in cui, per tante buone ragioni, visti i precedenti biancorossi, ancorché avversi per dire del potenziale di un’avversaria, orfana del capocannoniere del campionato, s’era un po’ tutti creduto a un impeto di riscossa, sino all’ultimo respiro, da qui alla fine della stagione.

Altro che furore biancorosso! La squadra si è sfracellata sugli scogli dei suoi limiti cronici e corrosivi, seppur tra gerarchie nuove ed equilibri pretesi, al di là della sfortunata impossibilità di schierare l’infortunato Brown, il "Larry Wright dei poveri" nelle mani di Bianchini. Che, alla guida della Cimberio, pareggia i conti con Mrsic: due successi in undici gare. Come dire: "scopa sbagliata". E il manico? E’ quello che è, tenero o stagionato, dipende dalla ramazza.

La corteccia biancorossa, subito fragile, si è incancrenita, mese dopo mese, nei suoi mali inesorabili, tanto da marcire nei suoi stessi innesti. Varese, lo si sa, è diventato un porto di partenze triste e di arrivi senza domani.

Lo stesso Recalcati, domenica a Masnago, osservava che lo stesso Holland (31 punti) è un rattoppo in una squadra senza identità né anima. Come invece ne ha Teramo che, sicuramente ricca di entusiasmo, s’è permessa di intascare mezzo milione di euro rinunciando alla sua "star".

Non è un caso se i peggiori, per presenza, siano stati l’inadeguato Melvin e l’impalpabile Beck per dire che tutti i nodi tornano al pettine.

L’americano e il messicano sono i due ultimi stranieri di quelli presi, e tutti sbagliatissimi, dalla società l’estate scorsa: entrambi non possono circolare quando bisogna coniugare atletismo con personalità, abilità con determinazione.

Gli altri? Qualcuno è da A2, né deve sorprendere se, pur con ammirevole dedizione, Passera e Boscagin, non battano chiodo in attacco e se la squadra, attraverso una collezione di scelte insensate, stia precipitando nella serie inferiore.

Già, l’atletismo. Che era precipuo in Howell ma lo si liquidò (per i mormorii degli spalti ai liberi poco furiosi di Rolando) sostituendolo con Melvin, per dire di Keys e Carter, da confermare, soprattutto per un’elementare questione di coerenza, nel cacciare Magnano, ritenuto un malaccorto condottiero. E di mezzo è finito Capin cui si fece credere d’essere una stella, mettendogli nelle mani, come play e regista, la squadra.

Ma vi risparmiamo le altre puntate precedenti di "Ombre e nebbie" i cui titoli di coda possono già partire.

Varese sembra spacciata ma c’è ancora tempo per allontanare l’infamia di un ultimo posto, da miseria di risultati: la società non è sola nella disfatta, anche se soltanto essa c’entra, il suo pubblico sta capendo le sue sofferenze, soprattutto quelle di Gianfranco Castiglioni i cui sacrifici, in termini di soldi e spirito di servizio alla città (e a una grande storia), stanno per essere brutalmente e vergognosamente flagellati dal campo.

Se in cose cestistiche il club è poco ferrato (anche per rifarci all’autoironia del presidente che tempo fa disse: "il basket non fa per noi"), deve allora affidarsi a uomini più capaci e realisti, soprattutto con una mentalità diversa da quella intonata a "vecchie glorie", nella quale Varese, spesso, indulge.

Dunque, avanti con la dignità di quei vinti che, attraverso le sofferenze, si preparano a un futuro di riscatto e rinascita.

Solo così si può dare un senso a tanto disastro, affinché esso non sia stato vano. La famiglia Castiglioni non è sola, ne ha avuto una dimostrazione dagli spalti proprio nel giorno in cui, forse, ha perso le sue speranze.

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