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«Non lascio Varese»


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di Massimo Turconi

C’è un principio di malinconica tenerezza in questa Pallacanestro Varese che, anche nella “recita” domenicale del PalaDozza, si batte, sbuffa, lotta, ci prova e ci crede ma, come in una terribile macumba, proprio non riesce ad evitare la sconfitta al fotofinish contro la Upim Bologna. C’è anche un ricorrente principio di sconcertante discontinuità in questa Cimberio che, sull’abbacinante parquet bolognese, regala agli osservatori un caleidoscopio di sensazioni contrastanti. Passa, infatti, dalla sicura baldanza, messa in mostra nei primi due quarti, alla preoccupante fragilità evidenziata in un catastrofico terzo periodo, infine alla rabbia furente, vista negli ultimi dieci minuti. Alla fine, però, al netto delle sensazioni, e ripulito dagli stati d’animo, il risultato offerto dal campo è quello di sempre: la solita partita persa in trasferta per una squadra che, lontano da Varese, fa registrare un bilancio che - con zero vittorie in dodici uscite - si commenta da sé.

«A questo punto è principalmente un problema di testa, un “qualcosa” che non riusciamo a sbloccare perché - commenta sconsolato Giacomo Galanda, ala pivot della Cimberio -, una squadra non può dominare una gara per trenta minuti su quaranta e, poi, com’è successo a noi, fare la figura del “desaparecido” per dieci lunghissimi minuti. Anche se, a margine dei problemi di natura mentale, devo anche sottolineare che, contro la Fortitudo, il nostro atteggiamento tattico, segnatamente una zona 1-3-1 fatta male e fuori tempo, ha spalancato le porte alla rimonta dei bolognesi. Nella fase centrale del terzo periodo la nostra difesa schierata ha permesso ai padroni di casa di “allargare” il campo, trovare buone linee di passaggio, tiri più aperti coi piedi per terra, rimbalzi dal lato debole e anche incursioni fino al ferro. Insomma, un vero disastro, oltreché tutto ciò che non si deve subire quando ci si rifugia in una zona».

- Peccato che, com’è già successo in altre occasioni - a memoria citiamo la trasferta contro l’Armani -, voi riusciate anche a metterci il “carico” unendo alla pessima difesa un attacco sconclusionato nel quale ognuno va per i fatti suoi...

«La considerazione è corretta ma, in quei momenti di basket assolutamente fuori controllo, noi, purtroppo, ci esaltiamo nella non facile impresa di fare malissimo sui due lati del campo, mentre le squadre importanti, a fronte di alti e bassi offensivi, che possono sempre capitare, hanno almeno la capacità di tenere le redini in difesa. Va da sé che quel che ci succede è inspiegabile perché altrimenti vi avremmo già posto rimedio. E, diversamente, non si capisce come mai, appena ritrovato un pizzico di calma, ci siamo rimessi subito in pista, riaprendo il match».

- Quando si parla di difesa, vien da sottolineare che il suo lavoro su Mancinelli non sia sembrato esattamente perfetto...

«Posso aver commesso degli errori ma - si difende Giacomo -, in assoluto credo che il mio lavoro non sia stato disprezzabile. Tatticamente abbiamo fatto le cose che avevamo preparato spingendo sempre Mancinelli verso destra e costringendolo il più delle volte a conclusioni che, solitamente, non fanno parte del suo bagaglio tecnico. Per una volta bisogna riconoscere i meriti del “Mancio” che ha giocato una partita assolutamente fuori delle righe e, per me, inaspettata. Piuttosto, le manchevolezze sono state altre e, ripeto, quella 1-3-1 senza né capo né coda è stata decisiva per rimettere in ritmo la Fortitudo e restituirle l’inerzia della partita».

- Già, la Fortitudo. Che, in maniera nemmeno troppo flautata, le sta facendo una corte spietata.

«Parliamone. Anzi mi offrite così l’occasione, l’ennesima in verità, per ribadire che non ho alcuna intenzione di muovermi da Varese e, anzi, sono decisamente infastidito da coloro che, solo per i loro interessi, o nel tentativo di distrarmi, continuano a mettere in giro certe voci. La Cimberio è il mio presente e, fino al 30 giugno, sarà anche il mio futuro. Senza se e senza ma. Ho ancora un anno di contratto ma del poi si riparlerà quest’estate».

- - Un domani che, complici le vittorie di Scafati e Napoli, è sempre più inevitabile.

«Certo, la classifica è sotto gli occhi di tutti ma, se ragionassimo solo in termini di punti fatti e distacchi, ci sarebbe da gettare in campo il famoso asciugamano: un gesto che nessuno ha voglia di fare. Al contrario c’è la convinzione che, adesso la squadra, avendo più senso, può dare molto di più. Non a caso stiamo giocando meglio e siamo un po’ più solidi. Non al punto tale da vincere fuori casa ma il campionato è ancora lungo e, sarò banale, ci è rimasto un solo obiettivo: provare a vincere il maggior numero di partite. Il 28 aprile andremo a fare i conti».

C’è un principio di malinconica tenerezza in questa Pallacanestro Varese che, anche nella “recita” domenicale del PalaDozza, si batte, sbuffa, lotta, ci prova e ci crede ma, come in una terribile macumba, proprio non riesce ad evitare la sconfitta al fotofinish contro la Upim Bologna. C’è anche un ricorrente principio di sconcertante discontinuità in questa Cimberio che, sull’abbacinante parquet bolognese, regala agli osservatori un caleidoscopio di sensazioni contrastanti. Passa, infatti, dalla sicura baldanza, messa in mostra nei primi due quarti, alla preoccupante fragilità evidenziata in un catastrofico terzo periodo, infine alla rabbia furente, vista negli ultimi dieci minuti. Alla fine, però, al netto delle sensazioni, e ripulito dagli stati d’animo, il risultato offerto dal campo è quello di sempre: la solita partita persa in trasferta per una squadra che, lontano da Varese, fa registrare un bilancio che - con zero vittorie in dodici uscite - si commenta da sé.

«A questo punto è principalmente un problema di testa, un “qualcosa” che non riusciamo a sbloccare perché - commenta sconsolato Giacomo Galanda, ala pivot della Cimberio -, una squadra non può dominare una gara per trenta minuti su quaranta e, poi, com’è successo a noi, fare la figura del “desaparecido” per dieci lunghissimi minuti. Anche se, a margine dei problemi di natura mentale, devo anche sottolineare che, contro la Fortitudo, il nostro atteggiamento tattico, segnatamente una zona 1-3-1 fatta male e fuori tempo, ha spalancato le porte alla rimonta dei bolognesi. Nella fase centrale del terzo periodo la nostra difesa schierata ha permesso ai padroni di casa di “allargare” il campo, trovare buone linee di passaggio, tiri più aperti coi piedi per terra, rimbalzi dal lato debole e anche incursioni fino al ferro. Insomma, un vero disastro, oltreché tutto ciò che non si deve subire quando ci si rifugia in una zona».

- Peccato che, com’è già successo in altre occasioni - a memoria citiamo la trasferta contro l’Armani -, voi riusciate anche a metterci il “carico” unendo alla pessima difesa un attacco sconclusionato nel quale ognuno va per i fatti suoi...

«La considerazione è corretta ma, in quei momenti di basket assolutamente fuori controllo, noi, purtroppo, ci esaltiamo nella non facile impresa di fare malissimo sui due lati del campo, mentre le squadre importanti, a fronte di alti e bassi offensivi, che possono sempre capitare, hanno almeno la capacità di tenere le redini in difesa. Va da sé che quel che ci succede è inspiegabile perché altrimenti vi avremmo già posto rimedio. E, diversamente, non si capisce come mai, appena ritrovato un pizzico di calma, ci siamo rimessi subito in pista, riaprendo il match».

- Quando si parla di difesa, vien da sottolineare che il suo lavoro su Mancinelli non sia sembrato esattamente perfetto...

«Posso aver commesso degli errori ma - si difende Giacomo -, in assoluto credo che il mio lavoro non sia stato disprezzabile. Tatticamente abbiamo fatto le cose che avevamo preparato spingendo sempre Mancinelli verso destra e costringendolo il più delle volte a conclusioni che, solitamente, non fanno parte del suo bagaglio tecnico. Per una volta bisogna riconoscere i meriti del “Mancio” che ha giocato una partita assolutamente fuori delle righe e, per me, inaspettata. Piuttosto, le manchevolezze sono state altre e, ripeto, quella 1-3-1 senza né capo né coda è stata decisiva per rimettere in ritmo la Fortitudo e restituirle l’inerzia della partita».

- Già, la Fortitudo. Che, in maniera nemmeno troppo flautata, le sta facendo una corte spietata.

«Parliamone. Anzi mi offrite così l’occasione, l’ennesima in verità, per ribadire che non ho alcuna intenzione di muovermi da Varese e, anzi, sono decisamente infastidito da coloro che, solo per i loro interessi, o nel tentativo di distrarmi, continuano a mettere in giro certe voci. La Cimberio è il mio presente e, fino al 30 giugno, sarà anche il mio futuro. Senza se e senza ma. Ho ancora un anno di contratto ma del poi si riparlerà quest’estate».

- - Un domani che, complici le vittorie di Scafati e Napoli, è sempre più inevitabile.

«Certo, la classifica è sotto gli occhi di tutti ma, se ragionassimo solo in termini di punti fatti e distacchi, ci sarebbe da gettare in campo il famoso asciugamano: un gesto che nessuno ha voglia di fare. Al contrario c’è la convinzione che, adesso la squadra, avendo più senso, può dare molto di più. Non a caso stiamo giocando meglio e siamo un po’ più solidi. Non al punto tale da vincere fuori casa ma il campionato è ancora lungo e, sarò banale, ci è rimasto un solo obiettivo: provare a vincere il maggior numero di partite. Il 28 aprile andremo a fare i conti».

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