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«La serietà di Vescovi è una garanzia»


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di Massimo Turconi

Adesso che, biblicamente, tutto s’è compiuto, Toto Bulgheroni, guarda le istantanee della martoriata stagione vissuta da varesini con un pizzico di malinconia nel cuore e lo sguardo, un po’ appassionato, un po’ tenero, di chi sfoglia vecchie fotografie ingiallite dal tempo.

«Come tutti i tifosi di Varese, come tutti coloro che amano la pallacanestro e - osserva Bulgheroni -, se la sentono appiccicata alla pelle, sono profondamente dispiaciuto per la piega assunta dall’annata. Ma, allo stesso tempo, sono anche sereno perché gran parte di quel che è successo in questa stagione è già stato visto sia qui a Varese, sia in altre città. Quindi nessuno stupore e, filosoficamente, non c’è nulla di nuovo sotto il sole, semmai v’è una serie di avvenimenti che, se ben analizzati, potranno servire da lezione per il domani».

- Parlando di analisi, qual è la sua in merito a una stagione così fallimentare?

«Credo che alla base di un progetto sbagliato vi siano stati un eccesso di fiducia gravato da sicuri errori di valutazione rispetto alle scelte di alcuni giocatori. Queste manchevolezze, soprattutto in avvio, sono state probabilmente annacquate dall’entusiasmo che, solitamente, accompagna il senso di un nuovo corso, proposto da persone apprezzabili, ma in qualche ruolo chiave, in panchina e in campo, con poca esperienza».

- Quindi, scelte iniziali non affatto illuminate...

«Sono l’ultimo che, parlando di scelte, può lanciare accuse dal momento che nel corso della mia ventennale carriera come presidente, ho commesso una caterva di errori. Tuttavia ritengo che, anche nel basket moderno, affollato da giocatori senza ruolo, la presenza di un playmaker e di un pivot sostanziosi, rende una squadra competitiva e, ancora oggi, contribuisce a risolvere tanti problemi tecnici. Fatta questa premessa, dico che l'asse play-pivot della Cimberio non mi ha mai convinto, poi, rifacendomi al campionato scorso, credo che la rinuncia a Carter, in favore di Hafnar, sia stata un errore. Parlando, invece, di coach, sono sicuro che Veljko Mrsic, giocatore che ho amato alla follia, diventerà un grande allenatore ma che, nello specifico, ha pagato lo scotto del noviziato e delle norme regolamentari. Così, tra incongruenze, infortuni, assenze, l'anno è partito male "triturando", almeno in avvio, un giocatore che ammiro tantissimo come Marchino Passera, al quale non è stato concesso nemmeno il tempo di un approccio graduale alla serie A. A tutto ciò si aggiungano le tante sconfitte nel finale e le sei-partite-sei perse ai supplementari. Un numero che non può essere imputabile solo alla sfortuna o agli episodi negativi. I quali, infine, sia detto senza ombra di dubbio, hanno avuto un effetto fondamentale, l’ultimo colpo ferale a un’annata disgraziata è arrivato proprio con il grave incidente capitato a Mate Skelin. Sono convinto che, con il pivot croato a disposizione, la Cimberio si sarebbe salvata senza patemi».

- C’è una cosa che, più di tutte, l’ha amareggiata?

«Il clima da “caccia alle streghe” inscenato nei confronti di un dirigente che, pur con qualche errore, ha lavorato con impegno».

- Adesso da che cosa la Pallacanestro Varese deve ripartire? Quali sono i comportamenti che, secondo Bulgheroni, sono da adottare subito?

«Occorre lavorare immediatamente su un progetto, anche se questo termine, in una pallacanestro che divora tutto e tutti in un attimo, può apparire stantio. Per programmare occorre investire sugli uomini - e la famiglia Castiglioni puntando su Vescovi e Ferraiuolo l’ha già fatto - e ricostruire una mentalità che, in una stagione così maledetta, è andata completamente distrutta. Parte significativa di questo progetto toccherà all’allenatore che dovrà condividere al massimo il disegno della società per dare un contributo convincente nelle scelte tecniche».

- Con Vescovi e Ferraiuolo esiste il rischio di puntare un’altra volta su dirigenti con poca esperienza?

«Negli ultimi anni ho perso di vista Max Ferraiuolo, pertanto posso parlare solo di Cecco il quale, da tanto tempo nella pallacanestro, sempre ad altissimo livello, ha conosciuto tutti quelli che contano, maturato un “saper fare” invidiabile e un’esperienza diretta incredibile. Poi, è un uomo serio, metodico, riflessivo, umile e grande lavoratore: egli possiede tutte le qualità per far bene. Piuttosto la difficoltà per entrambi sarà muoversi in un mondo che tende bruciare giudizi e scelte alla velocità della luce. Per questo motivo sarà importante resistere alle pressioni esterne e, una volta sposato un progetto, portarlo avanti con determinazione e ferrea convinzione».

- Lei, era il 1981, al termine del playoff contro Gorizia - sconfitta dopo due supplementari con tiro da venti metri di Biaggi -, usciva da Masnago contestato e offeso. Adesso un evento mille volte più clamoroso come la retrocessione, è metabolizzato dal pubblico in maniera quasi soffice. Scarsa indulgenza del pubblico di quei tempi o cos’altro?

«E’ solo il segno dei tempi che cambiano. Allora il ricordo della grande epopea Ignis-MobilGirgi-Emerson era ancora presente e vivissimo, i tifosi varesini, abituati fin troppo bene, non accettavano un “semplice” settimo posto. Adesso la gente di Varese ha capito che stare ad alto livello è faticoso, richiede sacrifici notevoli da parte della proprietà e vincere, in questo sistema, è diventato tremendamente difficile. Ho l’impressione che gli appassionati della Pallacanestro Varese siano diventati più maturi, consapevoli e, probabilmente, disincantati. Ma, aspetto positivo, non hanno perso il grande amore per una realtà come la pallacanestro che, per davvero, è nel cuore di tutti».

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