Jump to content

Recommended Posts

Posted

di Giancarlo Pigionatti

Afflitto ma composto, da vincente a perdente nel subbuglio di tanti perché, cui non ha saputo trovare una risposta energicamente adeguata per cambiare anima e volto a un manipolo confuso nel suo vagare. Valerio Bianchini non è certo un allenatore di "pronto soccorso" né, peggio, uno stregone, sennò la sua sarebbe stata un’altra storia, non quella venerabile per tre scudetti conquistati in piazze diverse e non potentissime, in virtù di una perspicacia tecnica sopraffina, unita alla capacità profonda di conoscere le persone per esaltarne i ruoli in un gruppo grazie alla propria coerenza per rettitudine morale e professionale. Fanno dispiacere quei "vaffa" al suo indirizzo da parte di tifosi arrabbiati, nemmeno fosse un dispotico politico d’una odiata casta e come se tanti Beppe Grillo si trovassero insieme sugli spalti di Masnago. Sentimenti popolari che Bianchini accetta, sennò non avrebbe raccolto il guanto di una sfida ardua e scoraggiante allorquando Varese lo chiamò per salvare una stagione che già prometteva sciagure ma, soprattutto, mai avrebbe fatto il mestiere dell’allenatore che assomiglia un po’ a quello del contadino, tra semine e raccolti, a volte avari per gelate malandrine.

«Con un certo andazzo in palestra, quel sant’uomo di Valerio, seppur tra urlacci e pizzicotti, ha dovuto mandar ingoiare più rospi» osserva, per esempio, Sandro Galleani, uno che ama la squadra, come la sua famiglia. Da alcune settimane, improvvisamente, come se un serpente minacciasse di mordere i biancorossi nel loro prezioso fondoschiena, la squadra s’è ridestata con esibizioni più energiche e convinte finendo tuttavia per accrescere recriminazioni e rimpianti. Probabilmente la realtà che, spesso, trova definizioni sbrigative in un immaginario collettivo che, emotivamente, taglia per i campi, nei suoi giudizi, dev’essere inquadrata probabilmente in un periodo particolare di confronti fra una Cimberio senza domani e avversarie divorate da troppi crucci di classifica. Sei punti nelle ultime quattro gare, con due in più da afferrare domani di fronte a una battibile Scafati e con altri otto lasciati orribilmente per strada fra limiti, colpe e sfortune, Varese sarebbe stata probabilmente salva, seppur dopo un campionato senza gloria. Tali pensieri aggrediscono sino a far male società e tifosi ma a questo punto, costretti da sano realismo, anche eccitabile da un revival di passioni da disperati, val la pena tentare un’impresa, com’è quella di battere Scafati con almeno 26 punti di margine, possibile nei limiti dell’impossibile. Bianchini ha sempre accettato un... penultimatum, sin da quando la salvezza è scomparsa dai radar biancorossi, facendone una questione d’onore e di calcolo qualora un fallimento qualsiasi autorizzasse un ripescaggio. Il tecnico sta così rivivendo la gratificazione di una professione che non è tran tran, intento a masticare molte recriminazioni ma anche a chiudere con un acuto la sua opaca apparizione alla guida di Varese.

«Il mio più grande rammarico - spiega Bianchini - resta Tierre Brown, incapace di calarsi responsabilmente nella squadra, non avendole mai dato, almeno per l’equivalente del suo potenziale, quel bagliore tecnico che le serviva in regia. Un errore fu soprattutto affidarsi a un atleta fermo da un anno o quasi, si sono viste le conseguenze, cui hanno fatto seguito vezzi tipici di un americano che suppone d’essere più bravo di comuni cestisti. La lista delle recriminazioni è lunga, basti pensare all’uscita di scena di Capin che non v’era più con la testa e all’ l’infortunio di Hafnar che ci ha privato, in una serie di gare ancora possibili, di un elemento utile in un reparto setacciato da partenze, sfortune e insufficienze. E Beck ci avrebbe fatto molto comodo, tant’è che provai a congelarne la partenza ma la società, con Holland effettivo, non potendo immaginare la perdita di Hafnar, lo cedette».

Bianchini, dragando la palude di tante disdette, non certo per suo masochismo ma per un accertamento notarile di fatti accaduti, ripesca il più pesante rammarico della stagione, dovuto alla perdita di Mate Skelin: «Con il centrone croato, anche per la chiarezza morale della persona, sempre augurabile in un gruppo, soprattutto quando vengono meno alcuni riferimenti sui quali s’è scommesso, con Holland e un esterno in più, probabilmente saremmo qui a giocarci la salvezza e non un penultimo posto come un miracolo del cielo. Le vittorie sono ricostituenti di indubbio effetto, riescono a tenere insieme più galli di un pollaio, mentre le sconfitte dividono anche gli amici per la pelle».

Già parrocchie e parrocchiette, come lei le definisce...

«Possono anche stupire valendo solo il bene comune d’una squadra che è la sintesi d’una società e d’una città ma l’avvilimento, per una deriva dovuta anche a mancanze insopportabili in finali di gara da vincere, finisce per spaccare uno spogliatoio, abitato anche da soggetti di cui ti chiedi molte cose».

Resta da sapere se Bianchini sia pentito di un’ esperienza per nulla gratificante...

«La rifarei: l’essenza del mio lavoro è il campo. Purtroppo ho scoperto un campionato falsato da partenze e arrivi selvaggi: oggi affronti un giocatore in una squadra, il giorno dopo in un’altra. Poi c’è la questione dei quattro extracomunitari, dei quali alcuni modesti ma con pretese da stelle. E’ un discorso lungo...».

Cimberio - Scafati è l’ultima gara di Bianchini a Varese ed è pure un appuntamento di potenti aspettative...

«Già, un altro grande rammarico resta il match d’andata nel quale la squadra si sciolse come aspirina in un bicchier d’acqua, si poteva perdere, anche di quindici, ma non scomparire ignobilmente dalla scena - osserva il tecnico ricordando il momentaccio di Capin all’acme -. Ora ci resta quest’ultima risorsa per ripagare, anche se di un’infinitesimale parte, il grande pubblico di Varese, se così accadesse, sarei contento per i ragazzi che, nelle ultime giornate, non hanno mollato ritrovando i frutti di un lavoro che, da mesi, pur faticosamente, abbiamo cercato di onorare».

×
×
  • Create New...