Lucaweb Posted July 20, 2008 Share Posted July 20, 2008 di Giancarlo Pigionatti I processi si fanno alla fine ma per i misfatti biancorossi, di più autori, c’era già flagranza di reato, da un pezzo. In ogni caso è tempo di bilanci per società e squadra al fine di un consuntivo ma, soprattutto, di un nuovo corso. Il nostro giudizio è soggettivo ma vi potrebbero essere ben altre e rispettabili letture della stagione biancorossa. Noi ci proviamo evitando, a parte alcuni casi, voti in pagella preferendo ridelineare i personaggi in questione nei loro modi di pensare e nelle loro condotte. E se l’esempio vien dall’alto, il grande patron c’entra poco, anzi per nulla con la stagione più vergognosa e fallimentare della storia di Varese. Certo, Gianfranco Castiglioni è come un "padre padrone" ma, nelle scelte della squadra e della sua conduzione, ha sempre lasciato fare ad altri personaggi. Chiamali, se vuoi, uomini di fiducia di cui mai egli ha potuto stimare preventivamente e compiutamente l’opera, conoscendo poco l’arte del basket. Gianfranco, per forza o per volontà, è innanzitutto un grande mecenate, uno degli ultimi di una specie in estinzione: grazie a lui la Pallacanestro Varese, dall’addio dei Bulgheroni ad oggi, ha avuto immense garanzie nel "marchio di fabbrica" della continuità. Che è assicurata anche per il futuro. Con tutti i soldi spesi, una barca, grazie al suo incredibile spirito di servizio alla città, in un ammirevole slancio in favore della pallacanestro e dei suoi tifosi, l’imprenditore varesino, in lustro, avrebbe dovuto ottenere risultati migliori ma i suoi dirigenti, evidentemente, si sono rivelati incapaci nella realizzazione di progetti, anche ambiziosi sulla carta. Stavolta Gianfranco Castiglioni, che merita un bell’8 "politico", deve metterci pure la sua faccia in una disfatta che resterà scolpita per sempre nelle pietre miliari della città, avendo lasciato al figlio primogenito, fattolo presidente, il pallino di precise operazione cestistiche. Qualsiasi padre avrebbe fatto la stessa cosa e poi, l’anno scorso, la Pall. Varese, con il giovane Castiglioni ufficialmente al vertice, fu settima e protagonista di play off emozionanti contro Milano. Le tragedie sono altre, auguriamo a Gianfranco di avere ancora energie, in tutti i sensi, per patrocinare la Pall. Varese e garantire quel patrimonio che è la sicurezza di una preziosa continuità. Il presidente è rimandato, deve riparare CLAUDIO MARIA CASTIGLIONI S’è già dato 4 in pagella, conscio dei suoi errori Il giovane Castiglioni, già presidente sul campo d’una squadra che conquistò il settimo posto e che disputò una brillante sfida play off contro Milano, ha creduto di poter cambiare conduzione tecnica e mezza squadra, in virtù di quel pio fine secondo cui avrebbe potuto sganciare meno soldi ma divertire di più i tifosi, evidentemente persuaso da quei messaggeri di sventura che egli invece credeva competenti e avveduti. Ne è uscita, fra partenze e arrivi, una squadraccia, per elementi mal assortiti e limitati atleticamente e tecnicamente. Varese, con più punti interrogativi che punti nelle mani e subito col fiato corto, diventato poi un rantolo, non ha retto, per manifesta inferiorità, ai verdetti del campo. La squadra è crollata subito o quasi sotto il peso di una competitività di campionato abbastanza scadente in fatto di collettivi contraddistinti da pochi talenti ma anche da molti atleti esplosivi. Poi un errore ha tirato l’altro e gli innesti, come per una corteccia malata, sono morti. Dunque, il presidente ha cercato di porvi rimedio senza badare a sacrifici né a terapie intensive, evidentemente nulle, se non peggiori in una squadra, pure baciata dalla sfortuna. Il presidente, non scappando mai davanti alle sue responsabilità, nell’aver scelto, senza pistole puntate alla schiena, i suoi uomini e condividendone le strategie, s’è appioppato, tempo fa su queste colonne, un bel quattro in pagella. Se sbagliando, s’impara, lo attendiamo, come rimandato, affinchè ripari a settembre con un serio progetto di riscossa per una Pall. Varese dal paradiso perduto. Scommesse perse, che stangata! GIANNI CHIAPPARO Ha già pagato con il licenziamento Il general manager, sin dall’inizio, s’è addossato ogni responsabilità, probabilmente anche per represse frustrazioni, dovute alla sua "esclusione" dalla passerella finale di Varese campione, quella che esaltò Edo Bulgheroni e la sua famiglia. Eppure egli era il general manager della Stella. Mai, in realtà, abbiamo capito quanti e quali meriti, per quelle precise scelte di mercato dalle quali scaturirono i "galletti" campioni, avesse avuto il caro Gianni. Questa, in ogni caso, sarebbe stata la stagione della sua piena visibilità ricoprendo nella Pallacanestro Varese, targata Cimberio, un ruolo precipuo nella gestione tecnica e societaria ma egli l’ha "cannata" e di brutto. Certo, non tutte le colpe sono sue, avendo dovuto rapportarsi, in tema di consensi, al presidente, al direttore sportivo e, soprattutto, al tecnico. Ma il giovane Castiglioni, spesso, era affaccendato in altre faccende (aziendali o sportive), il direttore era un amico ma, soprattutto, un collaboratore che aveva sopravanzato nel suo ritorno in società, mentre il tecnico era una sua "invenzione", sicchè l’a.d. biancorosso ha avuto molto potere in tutte le operazioni, tant’è che alcune (per dire di Boscagin e Fernandez) le concluse con grande tempestività. Morale della favola, Chiapparo costruì su troppe scommesse la sua grande e fatale sfida scegliendo l’incerto per il certo. Ricordate l’estate scorsa? Egli fece piazza pulita dei migliori elementi e si tenne quelli che per varie ragioni apparvero i più discutibili dimostrando grande incoerenza di pensiero, visto che aveva eliminato Ruben Magnano, nonostante un anno ancora di contratto, colpevole - a suo giudizio - di non aver saputo esaltare determinati giocatori, quindi la squadra, soffocata dalle fissazioni del tecnico. Ebbene Chiapparo "lasciò perdere", invece di tenerseli stretti, quei biancorossi che, proprio attraverso le sue requisitorie, da tribuno della plebe, contro il "tiranno" Magnano, avrebbe dovuto confermare al fine di dimostrare la giustezza delle sue ragioni. E sullo sfondo rimase, con i suoi tremendi tentacoli, il più grande degli equivoci, come lo era da prima il pesante ingaggio di De Pol, Hafnar e Fernandez, tre uomini della panchina. Con buona parte del budget, investita nei cosiddetti comprimari, la società si affidò poi, in qualità di effettivi, non a "usati sicuri" ma a spericolate novità (i cui nomi, a cominciare dallo "sparato" Hodges, sul quale, proprio per la notte del misterioso ferimento, ci si sarebbe dovuti interrogare, sono ora tristemente noti) e, in un campionato, nel quale la squadra dell’anno prima, tanto per fare un esempio, avrebbe largheggiato... Si diceva di molte esagerate sfide, di un’improbabile riuscita, come ammonimmo, su queste colonne, sin da settembre. A Chiapparo non si deve attribuire solo il fallimento cestistico di Varese, il suo lavoro, a tutto campo, in azienda, ha portato sul fronte strettamente societario considerevoli contributi, quindi soldi veri nelle casse biancorosse, per esempio, attraverso l’adesione della famiglia Cimberio e di altri imprenditori i quali hanno ampliato la schiera di amici della Pallacanestro. Dunque, egli ha anche grandi meriti, se non che, dopo aver paventato, l’estate scorso, su queste colonne, e in un momento di grande lucidità, il pericolo di dover ricostruire la nuova squadra dallo sfacelo di una stagione, non avrà alcuna parte in quest’opera di riscatto, escluso da tempo dalla società. Chiamala, se vuoi, legge di contrappasso, di grande sofferenza. Gianni sta pagando i suoi errori con la perdita della sua amata professione e, come uomo, merita grande rispetto. Un direttore sportivo senza "voce grossa" MARIO OIOLI Competente e puntiglioso ma troppo allineato e coperto Da anni prezioso dietro le quinte, stavolta mai volitivo in fatto di responsabilità, pur avendo dovuto esercitare un ruolo di confronto dialettico con Gianni Chiapparo, il direttore sportivo Mario Oioli deve pur rispondere di qualche cosa, per la sua carica, non certo impiegatizia, nel cuore del club ma, soprattutto, accanto alla squadra, i cui fili staccati e penzolanti hanno fatto brutta mostra, per mesi, nel salotto buono della città qual è la Pallacanestro Varese. Probabilmente Oioli ha grandi ragioni da vendere per giustificare una mancata "voce grossa" o "in capitolo" su temi relativi a scelte di mercato e strategie di gestione, avendo a che fare con un personaggio molto caratteristico, forte e particolare qual è Chiapparo ma, di fronte a un’evidenza della realtà, per una dovuta resa dei conti, soprattutto in una squadra spaccata, le sue motivazioni contano forse meno di attenuanti generiche. Oioli è una persona molto per bene, cui puoi comprare la classica macchina usata, che è come nuova, eppure la società lo sta avvicendando. Probabilmente egli s’aspettava, negli anni scorsi, una promozione formale a general manager, proprio per omologare, su mandato della proprietà, spazi più compiuti e importanti che avrebbe anche potuto conquistare in proprio, strada facendo, attraverso un’azione e più evidente di iniziative, quindi più risoluta e convincente nei fatti e nei risultati. Gli è mancato l’affondo decisivo ed ora, coinvolto direttamente da una famosa débacle, Oioli ci ha rimesso il suo posticino di direttore sportivo. Continuerà nel mondo del basket? Non lo sappiamo ma gli auguriamo buona fortuna. Senza patentino, perse subito punti VELIJKO MRSIC Pur di far l’allenatore accettò una strana squadra Mrsic è nato per fare l’allenatore. Già teneva questa sua arte, in serbo, sin da giovane giocatore (e che giocatore!) ed ecco il suo momento, rivelatosi poi inopportuno e disastroso. A farlo debuttare, per di più a Varese, dove il croato fu campione della Stella, è stato Chiapparo che conosceva i sogni dell’amico Velijko. Fatto fuori Magnano, l’a..d. biancorosso bruciò le tappe affidando la squadra al croato, pure sprovvisto del patentino di capo allenatore, quindi costretto dai regolamenti ad essere inchiodato in panchina in ogni gara. E senza patente, perse subito diversi punti...Ci sarebbe voluto un tamburino sardo e l’assistente Cecco Vescovi non lo è, Battute a parte Mrsic, già grato a Gianni per un posto di lavoro così ambito e subito ottenuto, ha commesso il grande, seppur comprensibile errore, di accettare a scatola chiusa o quasi le scelte della dirigenza. Chiapparo, su questo argomento, avrebbe qualche cosa da ridire, certo è che Mrsic qualcuna, invero, l’ha benedetta, come quella dell’"inadeguato e vietato" Melvin, mentre osò sperare in Carter al posto di Hafnar garantito però da un contratto. «Ho sbagliato nell’accettare le scelte di Gianni, uno capace, anche perché non conoscevo il campionato italiano e i suoi rapporti di competitività». Mrsic, ne siamo testimoni, si rese conto presto dei pericoli di retrocessione, ben individuabili in determinati uomini e in strategie tattiche legate ad essi. Propose Fitch che poi prese Cantù, oggi ai play off, quindi capì il suo destino, dopo aver commesso l’errore di lasciar libero Hodge almeno prima di Cimberio - Napoli, giocata pure senza Capin. Mrsic ha un altro anno di contratto, soprattutto possiede tanta buona stoffa, come tecnico, ma non più riproponibile dopo un’esperienza insufficiente e deludente, almeno da queste parti. Un venerabile superato dagli eventi VALERIO BIANCHINI La scelta dell’americano Brown lo ha rovinato Così com’era malconcia Varese, anche per piccole grandi bufere nello spogliatoio, ci sarebbe voluto un manico alla Lee Marvin della "Sporca Dozzina" e non un "cattedratico" della pallacanestro come lo è Valerio Bianchini. Il quale mai è stato un allenatore del Pronto Soccorso come lo era, per esempio, Dado Lombardi che, scoperti i mali, a suo modo di vedere, li recideva alla radice, riducendo la squadra in un manipolo di fanti. Storie di altri tempi. Bianchini non poteva mica improvvisare: la pallacanestro è una realtà della vita, da affrontare in tutte le sue sfaccettature possibili per capirne limiti e potenzialità. Ma non era estate, magari tra le pinete di un raduno ad alta quota, il tempo scorreva e bisognava intervenire, magari anche istintivamente, conoscendo altre figure (o figurine) di un mercato da saldi. Egli si imbattè subito in un derby strano e vieppiù ingrato, come quello di Cantù nel quale la Cimberio dette l’impressione di dominare crollando poi nel finale, segnatamente in Capin che fu l’emblema dei difetti della squadra, proprio di fronte a Wood simbolo di una Tisettanta più competitiva. Bianchini pensò giustamente che a Varese mancava in regia un leader americano, come quello che trascinò il suo Banco di Roma verso uno scudetto incredibile. Ma Tierre Brown non è certo degno di sciogliere i lacci dei calzari di Larry Wright pur egli credendo d’essere un fenomeno e qui sta il risvolto peggiore di un così funesto ingaggio. Che produsse poi una serie di uscite e di marette in un ambiente non certo di santerellini. Diverse gare perse dopo i tempi supplementari e infortuni in ruoli già immiseriti da assenze hanno tartassato Varese non potendovi fare nulla Bianchini che già stigmatizzava Brown come il suo più grande rammarico. Non ha fatto certo onore a Varese la contestazione velenosa nei confronti di un tecnico che tutt’Italia venera, nessuno forse avrebbe potuto fare il miracolo né tantomeno un allenatore che mancava da anni nel nostro basket. Link to comment Share on other sites More sharing options...
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