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Melvin: «Non sono un bidone»


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di Massimo Turconi

Nel mirabolante, ricco e contraddittorio catalogo dei giocatori stranieri atterrati a Varese in questi anni, sarà difficile trovare una pagina per collocare la figurina di Marcus Melvin. Accanto alla fotografia del lungo di Fayetteville comparirà sempre il quesito: buon giocatore incompreso o bidone? Quesito che, nei suoi dieci mesi di permanenza, in casa Cimberio nessuno è riuscito a risolvere perché la questione è mal posta e, in stagione classicamente maledetta, anche giocatori etichettati come emergenti - Melvin, dodici mesi fa, sembrava fra questi -, hanno finito per affondare.

«Né campione, né bidone - osserva Melvin -, ma, probabilmente, uno dei diversi giocatori sbagliati, capitato nella squadra sbagliata, nel momento sbagliato. Chiaro, non sono Tim Duncan né mi sono mai atteggiato a superstar ma non penso nemmeno di essere stato l’unico “problema” all’interno della Cimberio».

- Provi, a bocce ferme, a fornire la sua versione dei fatti.

«Dal mio punto di vista la cosa più evidente è una sola: la squadra è stata costruita, fin dall’inizio, con troppi giocatori “doppioni” nello stesso ruolo. Nella mia posizione, alla vigilia del campionato, eravamo addirittura in quattro: Galanda, De Pol, Fernandez e il sottoscritto. Ricordo anche lo sconcerto quando, al rientro di Galanda, è stato il momento di fare le prime scelte perché tutti, più o meno, avevamo le stesse caratteristiche fisiche, tecniche e un impiego tattico sovrapponibile. Poi bisogna considerare le gerarchie, un aspetto che non è mai stato chiarito, all’interno del nostro gruppo. Sia in termini di personalità, sia di leadership. E, voi lo sapete, dove comandano tutti, non comanda nessuno».

- In sintesi quale valutazione si sente di dare sulla sua stagione in maglia Cimberio?

«Non ho nemmeno un motivo per essere soddisfatto. Sotto il profilo di squadra e personale non ha funzionato praticamente nulla. Del resto la retrocessione, maturata in largo anticipo sui tempi, si commenta da sola, mentre per quel che mi riguarda devo aggiungere che, se si eccettuano le prime partite di campionato, non mi sono mai sentito completamente coinvolto nei meccanismi di squadra e mai veramente protagonista».

- Lei, però, in questo senso, è stato spesso definito come giocatore poco espressivo o, peggio, “apallico”, senza attributi...

«Semplici etichette che non prendo nemmeno in considerazione perché, senza essere presuntuoso, so di non meritarmele. Anzi, in passato, carattere, tenacia, grinta hanno rappresentato le mie qualità principali. Anche più di quelle tecniche e mi pare di averlo dimostrato a Rieti e più volte».

- Rieti, è vero, la riporta a bei ricordi e a stagioni davvero positive, ma allora giocava in LegaDue, mentre lei, in tante occasioni, sembra proprio aver accusato il gap fisico con la serie A.

«Non mi sembra che le cose stiano in questi termini e, comunque, tutte le volte che gli allenatori mi hanno chiesto di andare a giocare più vicino all’area piccola credo di aver fatto il mio dovere».

- Dopo un’annata così, quali possono essere le sue prospettive in chiave futura?

«L’ho già detto in altre occasioni, ho grande sete di rivincita e vorrei poter dimostrare a tutti i tifosi della Pallacanestro Varese che Marcus Melvin è un giocatore totalmente differente, sicuramente migliore, rispetto a quello visto in circostanze sfortunate, strane, problematiche nella stagione appena conclusa. Fatta questa premessa, e avendo un altro anno di contratto, mi piacerebbe poter prolungare la mia permanenza alla Cimberio perché, anche se sono un professionista, posso assicurare che un campionato così brutto costituisce una macchia da cancellare, un qualcosa da cui riabilitarsi».

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