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di GIANCARLO PIGIONATTI

Chi s’annuncia a un popolo, solitamente, è messaggero di glorie, anche attraverso il giuramento sacro d’una vera crociata ma chi cerca proclami di conquiste da parte della Pall. Varese, seppur al piano di sotto del grande basket, deve accomodarsi in sala d’aspetto e, se v’è rimasto male, gli passerà.

Nessuna promessa, ma opere di bene.

Innanzitutto Cecco Vescovi e Stefano Pillastrini non sono Goffredo di Buglione (altri tempi, altre battaglie) e, dovendo muoversi, con realismo, in un arcipelago pieno di insidie, come lo è la LegAdue, misurano i loro passi, anzi i loro concetti per non gonfiare le uniche certezze che sin qui posseggono affinché non scoppino in mille pezzi, di illusioni. Sembra persino imbarazzante il nuovo direttore generale, allorquando "sibila" che la promozione non sia la finalità principale di Varese ma, concreto com’è, dà subito un senso compiuto alla sua sottolineatura, spiegando che la si dovrà centrare attraverso quel progetto serio che sta in cima a ogni azione della società. Nessuno al tavolo delle autorità biancorosse si lascia scappare quel verbo - vincere - che, nello sport, è un’espressione vitale, ben diversa dal campare o dall’arrangiarsi.

Questione di prudenza? O di opportunismo? Mettiamola così, sennò ogni entusiasmo da far riattecchire, tra i tifosi e gli sponsor, sulle ceneri di una stagione sciagurata, finirebbe subito spento da un’inafferrabile modestia. Intendiamola piuttosto umiltà di maniera cui accenna Ferraiuolo, ben intonata al pudore di un club che, scottatissimo, dà l’impressione di restituire fama ai Pompieri di Viggiù nel gettare secchiate d’acqua sul fuoco dei desideri e delle cerimonie.

Eppure dirigenti e allenatori sono nuovi, non c’entrano con un passato di propositi diventati spropositi, tuttavia la società, obietterà qualcuno, è la stessa ma, per il solo fatto che la famiglia Castiglioni garantisca sul presente e sull’avvenire, al di là di quelle forze d’assedio, liquefattesi al sole di una prima parvenza di trattativa seria, va ad essa eterna gratitudine per lo scudetto della continuità. Dunque, possono già soddisfare le premesse, seppur non scoppiettanti, soprattutto, per la presenza garantista di un tecnico come Pillastrini le cui convinte argomentazioni sui giovani e sulla futura squadra fanno piazza pulita dei tanti equivoci che, spesso, in questa piazza, hanno agitato inneggi fuori luogo.

E’ un sollievo, per le nostre orecchie, il "verbo" d’un tecnico il quale, alle chiamate in sala, da parte di un interlocutore, sui ragazzi dei vivaio, eventuali e possibili protagonisti, mette subito i paletti fra giovani e giovani.

Il "Pilla" fa funzionare i suoi Abs e frena con tempismo su un tema che si presta a facile demagogia: «Occhio innanzitutto al potenziale della Cimberio, quindi prima partiamo dagli effettivi, poi all’ottavo, al nono e al decimo posto mettiamoci i ragazzi. I giovani sono l’avvenire ma, attraverso il lavoro, se poi fossero di grande talento, ne potremmo anche avere sette, otto in squadra».

Pillastrini fa intendere, inequivocabilmente, che i ragazzi del vivaio devono disputare prima un campionato vero, che significa minutaggio vero, affinché diventino credibili e arruolabili. Soprattutto il nuovo allenatore non fa una questione di cittadinanza, Varese cerca giovani valenti, non fa differenza se essi vengano da Bolzano o Caltanissetta. Diventa emblematica, per un tecnico-manager autorevole, l’annotazione su Galanda: «Aspetteremo una sua decisione ma anche noi faremo le nostre valutazioni».

Come primo atto, può bastare sugli intendimenti di un allenatore che più giusto, in questo momento storico, non si poteva avere.

Buon lavoro.

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