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Pillastrini: «La Cimberio avrà una sua trama»


Lucaweb

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di Massimo Turconi

Personaggio tutto da scoprire, Stefano Pillastrini. In quell’uomo grande, grosso, corpulento, sempre misurato nel parlare, all’apparenza pacioso, si nasconde uno spirito d’avventura che valica i confini, spesso angusti e limitati, del mondo del basket. Immaginatevi, per esempio, il nuovo allenatore della Pallacanestro Varese in sella a una mastodontica Harley Davidson King Road: 370 chili di puro fascino USA con pochi fronzoli e tanti muscoli, al netto una mezza tonnellata di pensieri, simpatia, disponibilità, voglia di raccontare una vita, anche cestisticamente, avventurosa.

«Una delle cose che, riferite al mio mestiere, mi rende più orgoglioso - dice Pillastrini -, è l’aver allenato e ottenuto buoni risultati in diverse categorie della nostra pallacanestro. Che si parli di giovanili, scudetto juniores con la Fortitudo, di serie B, vinta in due occasioni (a Cervia e Montegranaro), di LegaDue, vinta in altre due circostanze, a Montecatini e Montegranaro, di serie A o in Eurolega, annate da ricordare a Pesaro, finale di Coppa Italia con la rivelazione Montegranaro. Credo d’aver svolto il mio lavoro con la massima onestà e un senso di appartenenza alle società, alle città, sempre apprezzato e riconosciuto (vedi il Premio Reverberi o i ripetuti riconoscimenti come Allenatore dell’Anno ndr) da tutti coloro coi quali ho lavorato. Mi è sempre piaciuto confrontarmi coi livelli più diversi: a ogni segmento del basket si impara qualcosa e si portano a casa buonissime esperienze tecniche e umane».

- Provi a descrivere le sue peculiarità tecniche.

«Sono sicuramente un allenatore di sistema che prova piacere e ottiene risultati vedendo crescere e progredire, giorno dopo giorno, il lavoro in palestra. Negli ultimi anni, forse perché sto maturando o forse perché, invecchiando, si diventa un pizzico più saggi, il passaggio da “tatticismi” a “sistema” si è ulteriormente accentuato. Capisco che, in occasioni selezionate, qualche “magata” può essere utile ma chiunque ha visto le mie squadre giocare, riconosce la “trama” e, spero, le idee che alimentano il mio modo di allenare».

- Dichiarazione universalmente accettata sul suo conto: Pillastrini, coach adatto a lanciare i giovani, se ce n’è uno...

«In linea di massima sì, anche se, rifiutando le etichette preconfenzionate, preferisco definirmi allenatore a 360 gradi che, nella sua carriera, ha spesso ottenuto buoni riscontri dal lavoro effettuato coi giovani. Anzi, una verità inoppugnabile è che, pur avendo allenato grandissimi giocatori senior - Premier, Albertazzi, Childress e via dicendo -, le mie stagioni migliori sono state segnate dal rendimento straordinariamente elevato dei giovani. I vari Buratti, Dalla Mora, Scarone, Amoroso, Vitali e compagnia hanno accompagnato i momenti più importanti delle varie formazioni che ho avuto l’onore di allenare. Legato a questo concetto c’è sicuramente l’idea che, in allenamento, mi piace lavorare soprattutto per migliorare i giocatori, vederli crescere individualmente e anche nel contesto di squadra. Per questa ragione scelgo collaboratori cui affido parti importanti del progetto e, inseguendo questo obbiettivo, cerco di costruire grande sintonia con tutte le componenti del gruppo, dal preparatore atletico allo staff medico-sanitario».

- Altra definizione: Pillastrini coach amato dai suoi ex-giocatori che, sovente, lo seguono. Anche questa è un’etichetta?

«No, credo ci sia del vero ma - continua “Pilla” - è opportuno specificare e chiarire meglio il pensiero. Certamente ho dei giocatori coi quali mi sono trovato e, tuttora, mi trovo bene, ma anche a loro ho sempre detto: "Mi fa piacere che tu voglia giocare per me ma, attenzione, ricordati sempre che non sono il tuo allenatore personale, mi sento, soprattutto, il coach della società, quindi regolati e sappi che le esigenze del team saranno ogni volta più importanti delle tue". Fatta questa premessa, non ho mai avuto grandi difficoltà nel rapporto coi ragazzi».

- Quindici stagioni in serie A: quali i momenti più esaltanti?

«Direi che i campionati disputati a Montecatini, Pesaro e Montegranaro rappresentano gioielli da incastonare in una collana preziosa. A Montecatini stravincemmo il campionato di A2, l’anno successivo facemmo molto bene al piano di sopra. A Pesaro, ebbi l’enorme soddisfazione di riportare la Scavolini in Eurolega dopo tanti anni di assenza. A Montegranaro partii dalla serie B e, con l’aiuto dei giocatori, arrivammo alla finale di Coppa Italia e a un passo dai playoff ma, di più, costruimmo un palazzo solido, le cui fondamenta resistono ancora».

- Eppure l’annata scorsa alla Virtus suona come una “stecca” nel bel mezzo della recita. Motivi?

«Uno, nessuno e centomila. Semplicemente non ci incontrammo e quando accadde, non ci capimmo. In mezzo, da ambo le parti, vi fu un po’ di senso di onnipotenza che non facilitò i rapporti. Di fatto, tra incomprensioni reciproche con la società, con alcuni giocatori, scelte sbagliate, vedi il playmaker, infortuni seri (vedi Blizzard) e impasse di tipo mentale o motivazionale, la squadra non rispose mai alle aspettative e la società non mostrò mai pazienza. Tuttavia, nonostante il mezzo disastro, lasciai una squadra in ottava posizione, alla Final Eight di Coppa Italia e un progetto del quale, lavorando faticosamente iniziava a dare risultati ma i dirigenti preferirono interrompere e il tredicesimo posto finale si commenta da solo».

- In conclusione, da motociclista solitario, come si immagina il viaggio sulla strada di Varese per i prossimi tre anni?

«Sulla “road map” ho segnato gli obiettivi comuni: quelli della società e miei. La strada da percorrere sarà tortuosa, costruire un gruppo richiede tempo, tanto lavoro, volontà e motivazioni da parte di tutti. Però, prima di partire per un lungo viaggio, devi sempre curare che la moto sia in perfetto ordine. La mia Harley, poi, non ama le spinte, le accelerazioni violente ma quando prende il ritmo, il motore canta che è un piacere. Ebbene, nel tempo, mi piacerebbe sentir cantare così anche la Cimberio e, con pazienza, cullare il sogno di arrivare».

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