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«Non basta essere promesse»


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di Massimo Turconi

Nella vita ci sono età in cui la dimensione dei desideri si allarga e non stai più nella voglia di metterti alla prova, sperimentare, spingere lo sguardo un po’ più avanti. Per Niccolò Martinoni quell’età magica è arrivata a 17 anni. Due estati fa il lungo varesino salì idealmente al Sacro Monte e, occhio di falco, il suo sguardo si posò sulla Marca Trevigiana. Panorama orografico quasi identico, in fondo. Colline, tanto verde, qualche corso d’acqua: panorama cestistico, quello che poi conta di più, completamente diverso. Niccolò, manco a dirlo, scelse Treviso, quindi Benetton e Ghirada, uno dei laboratori sportivi che il mondo ci invidia. Su quella scelta abbiamo già versato fiumi di inchiostro. Sulle motivazioni, invece, Niccolò vuol dire la sua: «Optando per Treviso feci la cosa migliore, ne sono ancora convinto. E, se dovessi tornare indietro, rifarei esattamente lo stesso percorso. Solo una grande struttura come quella che la Benetton può mettere a disposizione a un atleta, mi ha offerto la possibilità di completare la mia maturazione nelle categorie giovanili. A Treviso, circondato da allenatori di primissima fascia, so di aver lavorato molto bene dal punto di vista tecnico. Sotto il profilo atletico e fisico, prima con il professor Schiavon, poi con il professor Cuzzolin, ho accumulato centinaia di ore di pesi e di palestra, basta guardare le mie foto di due anni fa per notare una vistosa differenza. Adesso faccio leggermente meno schifo rispetto a quando lasciai Varese. Poi, da perfetto sconosciuto, spendendo litri di sudore, fui aggregato alla prima squadra. Per me fu una grande soddisfazione dal momento che alla Benetton, società che annovera diversi ragazzi di valore assoluto, nulla è scontato».

- Due stagioni trevigiane dai forti sapori opposti: la dolcezza delle giovanili da contrapporre all’amaro della prima squadra...

«In effetti, con la serie A, ho vissuto due annate, diciamo turbolente, contrassegnate da problemi di ogni genere. Da ragazzino, me ne sono sempre stato in disparte, cercando di cogliere solo gli aspetti positivi nelle pieghe di varie situazioni, fortunatamente la presenza di compagni esperti come Soragna e Mordente si è rivelata importante per capire comportamenti e lo “stile” da adottare in spogliatoio».

- Dai vertici della serie A a una formazione retrocessa in LegaDue...

«Nulla di tutto ciò ma – continua Niccolò -, solamente l’inizio della mia vera carriera perché, diciamolo chiaro, io nel basket degli uomini non ho ancora combinato nulla e il mio nome conta meno di zero. Varese, con la sua proposta e con le sue prospettive, rappresenta un punto dal quale partire, armato di grande umiltà, voglia di imparare e totale disponibilità verso società, allenatore e compagni. Il tempo dorato della giovanili è finito. Adesso devo dimostrare il mio valore anche nella pallacanestro dei grandi e, non lo nego, Varese e il suo progetto costituiscono un trampolino ideale: squadra con tanti giovani, italiani di valore e ambiente senza pressione, se non quella di impegnarsi al massimo per costruire qualcosa di buono insieme».

- Quali sono le aspettative personali?

«In questo momento vi sembro uno in grado di parlare di minuti di gioco o punti nelle mani? Non scherziamo. Le mie prospettive sono racchiuse in pochi concetti: allenarmi bene, essere utile alla squadra e provare a sfruttare lo spazio che coach Pillastrini mi concederà».

- Ruolo preferito?

«A Treviso stavamo lavorando anche per costruire movimenti e dinamismo da ala piccola ma in LegaDue, campionato di taglia più piccola, credo che il mio futuro sarà solo da numero 4. A maggior ragione considerando i piedi lenti che mi ritrovo».

- L’avevano descritto timido e introverso, invece mostra spigliatezza, determinazione e chiarezza di idee. Anche quando dichiara: «Questa sarà una stagione cruciale per il mio futuro, anche perché la Benetton, nonostante io volessi firmare per due anni con Varese, sul versante contrattuale, non ha ceduto di un millimetro. Un solo anno, mi è stato detto, poi se ne riparlerà, lasciando intendere che la porta per un mio ritorno alla base potrebbe essere sempre aperta. Dipende solo da me e da come mi comporterò a Varese».

- Intanto, papà Franco, ex-giocatore di carattere, tecnica e temperamento, buon protagonista delle minori negli anni ’70, a Druogno segue le evoluzioni di Niccolò e della squadra, ricorda al figlio che, acquisita la maturità scientifica, è atteso anche a prove di studio, come studente in Scienze Giuridiche.

«I miei genitori sul versante università non transigono e martellano. Coach Pillastrini, sul parquet, fa la stessa cosa. Lenotti, sul campo d’atletica, idem. E’ proprio vero - sorride Nick -, siamo nati per soffrire».

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