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«Senza soldi né futuro, ho scoperto Varese»


Lucaweb

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Lo sviluppo della sua vita sarebbe certamente piaciuto all’omonimo e, per ora, più famoso Charles Dickens. Il celeberrimo scrittore inglese avrebbe trovato parole più adatte per descrivere la vicenda umana di Kaniel Dickens, il nuovo americano della Pall. Varese. Noi, ben più umili scrivani, ci limitiamo a raccontarvela sottolineando il fascino e l’avventurosa bellezza dei suoi momenti chiave. Soprattutto tentiamo di trasmettervi l’entusiasmo di un uomo che, davvero, ogni volta che alza gli occhi al cielo, sembra voler ringraziare Qualcuno. Tanto per cominciare la storia cestistica di Kaniel è più che singolare, fatta apposta per contraddire tutte le teorie, dal minibasket al basket dei grandi.

«Cominciai a giocare seriamente piuttosto tardi. Avevo già 18 anni e - spiega Kaniel -, prima di quell’età, m’ero limitato a qualche sporadica apparizione al playground del mio quartiere ma senza alcuna convinzione. Il motivo di questa scelta è presto detto: tutta colpa di mia madre la quale, spaventata dai frequenti infortuni al ginocchio e alle caviglie capitati a un mio cugino pazzo per il basket, mi aveva vietato di svolgere qualsiasi attività sportiva. Di fatto trascorsi gran parte dell’infanzia e dell’adolescenza a casa, sui libri, a leggere, studiare o, tutt’al più, a guardare la televisione. Non vi dico che noia».

- Quando, invece, scattò la molla?

«Nei primi due anni al College mi accorsi che, nonostante il tempo perduto, non ero poi malaccio. Imparavo in fretta, tutto mi riusciva facile e, come diceva il mio coach, avevo una predisposizione naturale per la pallacanestro. Così, con l’animo leggero, migliorando anno dopo anno, arrivai fino alle soglie dell’NBA. Tuttavia, solo quando entrai nel meccanismo delle scelte, mi resi conto che il basket poteva diventare una professione. Un’eventualità che, devo esser onesto, allora come oggi, mi sembra incredibile».

- L’NBA, però, l’ha visto solo di passaggio...

«E’ vero ma il mondo dei “Pro”, per quanto lucente e ricco, non mi manca, mi interessa soprattutto giocare. Meglio, allora, da protagonista in Europa o in giro per il mondo che comparsa o panchinaro nella NBA».

- Europa, Italia, Napoli: la prima tappa non è stata esattamente fortunata. E’ vero che a Napoli nessuno le ha fatto menzione dei problemi societari?

«Sì, è così ma - continua Dickens -, non ne faccio una colpa al g.m. Ario Costa il quale, nei miei confronti, è sempre stato gentile e correttissimo. Egli si occupava della squadra e il suo interesse era rivolto unicamente al lavoro sul campo. Probabilmente Ario, come del resto tutti noi, sperava che le cose potessero cambiare improvvisamente e migliorare. Solo quando, dopo il torneo di Teramo, tutto è andato a rotoli, mi hanno spiegato la realtà e invitato a cercare un’altra soluzione».

- Varese come “ruota di scorta”. O no?

«Nient’affatto. Credo che la questione vada posta in altri termini. Avevo lasciato Denver, dove vivo, con la promessa che avrei giocato in una squadra di buon livello in serie A. Dopo qualche giorni mi ritrovo senza soldi, senza contratto, senza futuro. la vicenda di Napoli è stata una botta anche per me. Poi, per fortuna, chiusa una porta, si è aperto un portone, dietro ho trovato Varese, la sua buona offerta e una società che mi è stata presentata con le credenziali più giuste. Solo in seguito ho saputo che, da queste parti, si è fatta la storia del basket europeo e la Pallacanestro Varese è uno dei team più prestigiosi e rispettati. Al di là del campionato, credo d’aver fatto una buona scelta».

- Lei, nel giro d’una settimana, ha già conquistato coach Pillastrini e gli altri elementi dello staff...

«Sono felice di piacervi - osserva Kaniel -. Spero di ripagare fiducia e sorrisi perché, è chiaro, dopo le vicissitudini che mi sono messo alle spalle, voglio ricominciare daccapo, far bene e aiutare Varese a vincere».

- Dopo il torneo di Cervia, cosa pensa di poter offrire alla Cimberio?

«Quel che le serve: un gioco a 360 gradi. Punti in attacco, tiro da fuori, rimbalzi, difesa e quella velocità di esecuzione che dovrebbe caratterizzare il nostro gioco».

Massimo Turconi

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