Lucaweb Posted January 23, 2009 Share Posted January 23, 2009 di Francesco Caielli VARESE C'era una volta un ragazzino, un po' più alto di tutti i suoi coetanei e con lo sguardo sveglio, che aveva un sogno chiuso nel cassetto. Pervaso da quella passione comune a tutti quelli che hanno la ventura di nascere a Varese, una storia gloriosa inculcata nel dna e una palla a spicchi come amica del cuore, Niccolò voleva giocare a basket per la squadra della sua città. Indossare la maglia biancorossa, fare impazzire le stesse gradinate che lo vedevano affascinato tifoso, entrare a far parte di quell'esclusivo e ristretto club riservato a chi ha avuto l'onore di giocare per Varese. L'unico modo per realizzare i propri sogni è svegliarsi: Niccolò l'ha capito fin da subito, aiutato da una famiglia che lo ha tirato su insegnandogli i valori del sacrificio e del lavoro. «SE HAI UN'IDEA FISSA, CE LA FAI» «Ero un bambino grasso, piccolo e con la schiena storta - racconta Niccolò - e nessuno avrebbe mai puntato un centesimo su di me. Ma ho imparato subito che con il lavoro duro si può raggiungere qualsiasi risultato: io volevo giocare a pallacanestro, avevo un sogno che era un obiettivo, e mi sono fatto un mazzo grande così. Ore in palestra, allenamenti, partite, chilometri di corsa, pesi: tutto era fatto in funzione della mia idea fissa, ogni goccia di sudore era versata pensando esclusivamente al basket». Piano piano quel bambino grasso, piccolo e storto cresce, e ben presto si capisce che con il pallone tra le mani ci sa fare per davvero: «Ho fatto la trafila delle giovanili, spostando ogni volta l'asticella un po' più in alto. Un po' di anni fa mi fecero un'intervista per il giornalino della Robur, e quando mi chiesero quale fosse il mio sogno io risposi senza pensarci: rubare il posto a Cecco Vescovi. Per me il Cecco è sempre stato un esempio da seguire: nel giro di due anni, il posto che era di Vescovi alla Robur venne offerto a me». «SE NON FACCIAMO L'EUROPA NOI...» Sogno realizzato, quindi. E dove si trova oggi l'asticella delle ambizioni di Niccolò Martinoni? «In alto, molto in alto: voglio giocare l'Eurolega con la maglia di Varese». Ha detto nulla, il ragazzino: ma lo sguardo è sicuro e serio, e fa capire che non sta affatto scherzando. «Bisogna sempre pensare in grande, e io fin da quando ero bambino sono stato mosso da una grandissima ambizione, che magari a volte è stata scambiata per spacconeria. No, io voglio arrivare in alto, e credo che l'Eurolega sia l'obiettivo finale che una società come Varese è obbligata a porsi». Martinoni, torni sulla terra: stiamo giocando in LegaDue. «Stiamo partendo dalle fondamenta. Mi piace pensare che la Pallacanestro Varese sia un po' come quel bambino piccolo, grasso e storto che faceva fatica a tirare un pallone a canestro: oggi quel bambino, grazie al lavoro e al sacrificio, è un ragazzo che lotta per ritagliarsi spazio in serie A con la maglia della sua città». «SPOSTO L'ASTICELLA PIU' SU» Eccolo, Niccolò Martinoni: sfrontato al punto giusto e umile quanto basta, splendida notizia (ma noi lo sapevamo già) della stagione di Varese. «Non ho segreti, e continuo a fare quello che facevo fin da bambino: il lavoro in palestra è l'unico modo per stare a galla. La mia stagione è iniziata male, non giocavo come avrei voluto, e la "Provincia" mi metteva sempre cinque in pagella. Ma quei votacci mi hanno fatto bene: mi incazzavo e al martedì lavoravo il doppio. Ecco: mi piacerebbe che d'ora in avanti i miei voti siano sempre sufficienti, questo è il mio obiettivo a breve termine». Dell'Eurolega con Varese si è già detto, e per realizzare quel sogno ci vorrà qualche anno: ma che cosa chiede Martinoni a Babbo Natale? «Vorrei che questo nostro momento continuasse per sempre: perché la squadra vince ed è prima, ma anche perché con questo gruppo si sta benissimo. Quando uno spogliatoio è spaccato in due, la squadra gioca da schifo e si vive male: ho provato quest'esperienza lo scorso anno a Treviso, e non la voglio più ripetere. Qui a Varese tutto va a meraviglia e io ho la fortuna immensa, così grande che quasi mi vergogno, di allenarmi con gente come Cotani e Galanda. Gek è splendido: un'icona del nostro basket, uno che ha vinto tutto, e insieme una delle persone più umili e disponibili che abbia mai conosciuto. Ne sono rimasti pochi di giocatori come lui, disposti a insegnare ai giovani quello che anni fa qualcun altro ha insegnato a loro». ECONOMIA ALL'INSUBRIA Su Niccolò sono puntati i fari del basket nazionale: un talento così, lo vorrebbero in tanti. La sua famiglia lo tiene al riparo inculcandogli l'umiltà, e lo ha iscritto all'università (Insubria, Economia e commercio) perché non si sa mai. Però Martinoni è di proprietà della Benetton, ed è a Varese con la formula del prestito: «Due anni fa scelsi di andare a Treviso, e non sono pentito: non li ringrazierò mai abbastanza per quanto hanno fatto per me, e non credo che in Italia ci sia una società che lavora con i giovani come fanno loro. Però io sto provando sulla mia pelle tutta la bellezza del vestire la maglia di Varese, della mia città: ed è una cosa alla quale non voglio più rinunciare. E poi, ricordate, c'è un'Eurolega in ballo». Link to comment Share on other sites More sharing options...
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