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Gergati: «Lo stress mi esalta»


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di Massimo Turconi

Se i tifosi di calcio conoscono a memoria la famosa zona-Cesarini, gli appassionati della Pallacanestro Varese stanno imparando ad apprezzare quella che, giustamente, è ormai definita la zona-Gergati o, in altri termini, il momento-Lollo. Nel corso di partite che, sempre più spesso, si concludono con punteggi in bilico fino alle battute conclusive, i tifosi varesini hanno capito di dover trattenere il fiato e prepararsi a vivere le gare fino all’ultimo respiro, tenendo gli occhi fissi su Lorenzo consapevoli che, prima o poi, con la palla nelle sue mani, qualcosa di buono capiterà. La “storia”, già verificatasi contro Venezia (tripla decisiva allo scadere), si è ripetuta anche contro Pavia: prima con un canestro, quello del 73-74 a 15 secondi dal termine, ad altissimo coefficiente di difficoltà in triplo avvitamento, poi col 2/2 ai liberi che, a meno di due secondi dalla sirena ha mandato le squadre al prolungamento.

- Gergati: lei ormai sembra averci preso gusto a vestire i panni del risolutore.

«Solo casi fortuiti - si schermisce Lorenzo -, anche se, come già accaduto contro la Reyer, nei momenti importanti non mi tiro indietro e se ci sono responsabilità da prendere non me la faccio sotto. Anzi, in questo senso, mi è piaciuta molto di più la prestazione prodotta contro Pavia perché, se è vero che il tiro risolutore contro l’Umana Venezia è stato un inconsapevole e, per certi versi, fortunoso frutto del caso, non altrettanto si può dire della serie di liberi tirata contro l’Edimes. Andare in lunetta per 10 volte sapendo che da ogni libero può dipendere l’esito della partita è veramente stressante. Il tiro libero è un fondamentale che esula dal talento puro per trasformarsi solo in una questione di testa. Il pallone pesa cinquanta chili e la pressione, in quei frangenti, può distruggerti. Oppure, nel mio caso, esaltarti perché io, nelle situazioni di stress, ci sguazzo, mi trovo a mio agio e vorrei sempre giocare gare “No limits”. Troppo bello».

- Per i tifosi, che vorrebbero vedere partite tranquille e vittorie facili, forse, un po’ meno bello: provi a spiegare come avete fatto a scivolare fino a meno 20 contro Pavia...

«Le ragioni sono diverse: strategie difensive che, nel primo tempo, non hanno funzionato, bravura da parte dei pavesi nel muovere rapidamente la palla e nel saltare in modo agevole i nostri raddoppi e, infine, aspetto da tenere nel giusto conto, loro nei primi venti minuti hanno fatto canestro con un continuità impressionante. Il 9/12 dall’arco realizzato dell’Edimes alla pausa ci ha davvero aperto gli occhi convincendoci che avremmo vinto la partita solo cambiando ritmo e lavorando fortissimo in difesa. In spogliatoio ci siamo guardati negli occhi e con Pillastrini bravo e lesto nel cambiare le scelte difensive abbiamo rimesso in pista il match contro una Pavia che, però, ormai in gas, non ha mai mollato».

- Nell’overtime ha giocato, con buoni spunti, da playmaker.

«La cabina di regia non è più il mio ruolo ma, via - scherza Gergati -, qualcosa ancora mi ricordo. Così, fuori Childress e Passera, insieme con Doum Lauwers ci siamo divisi le responsabilità con Galanda, eccellente nel compito di terzo regista. Alla fine credo che tutti e tre ce la siamo cavata abbastanza bene».

- Dopo i fuochi d’artificio di Jesi, contro Pavia avete vinto praticamente senza Dickens.

«E’ vero. Evidentemente per Kaniel non era la giornata giusta ma la forza della Cimberio sta proprio nel poter attivare di partita in partita diversi giocatori. Così, per un Dickens che ha segnato il passo, c’è stato il solito SuperGek, Simone Cotani fantastico, Nick Martinoni sempre presente tra attacco e difesa (anche 7 rimbalzi e 4 recuperi per Niccolò ndr) e via via tutti gli altri con pari dignità e importanza».

- La trasferta di Sassari pare essere l’ennesimo crocevia di una stagione ad alta tensione...

«In effetti lo è perché la Dinamo, oltre ad essere una buona squadra, per quello che ho letto, vive lo stesso momento di forma di Pavia. Ci aspetta una gara tesa e difficile, ma noi, a Jesi, abbiamo dimostrato che, quando siamo caricati al massimo, non ce n’è per nessuno».

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