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«Veroli farà paura? Solo se sarà perfetta»


Lucaweb

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di Giancarlo Pigionatti

Questa è una strana piazza. Criticona, sino alle minuzie, con la società che viene bacchettata, anche e semplicemente, per un dato orario delle biglietterie, però alla resa dei conti sa mostrare indulgenza plenaria. Com’è accaduto l’anno scorso per una ignominiosa retrocessione.

I tifosi, qui, hanno sempre da dire, anzi da ridire, anche per inezie, si diceva, ma ciò rivela quella grande passione che fa invidiare ad altre città la nostra tifoseria. Una cosa è certa: Varese non è il deserto dei Tartari. Felici d’essere qui.

Poco importa allora quel pressapochismo, anche un po’ cattivello, di chi crede d’essere bene informato, magari su stipendi non pagati, quale causa di una sconfitta non attesa né calcolata, il che fa persino male alla proprietà e nega la stessa verità. In realtà la categoria, che meno capiamo, è quella dei nostalgici a vita, di coloro che ancora parlano (come tema di paragone) della mitica Ignis (roba da Guerre Puniche) mentre altri, ancora, un po’ più in qui nel tempo, sono fermi a Pozzecco e ai Rosters, cioè a dieci anni fa.

Fortunatamente questa è una minoranza, pur fieri tutti, e giustamente, dell’appartenenza a un passato che ha fatto la storia di un vero blasone, glorioso in Italia e nel mondo.

Questa è Varese che, seppur in purgatorio, resta la cara vecchia Basketcity: per questa sua valenza la tifoseria, ora come ora, freme all’idea di un ritorno nel grande basket, ancora non scontatissimo né matematico.

A Londra, in Hyde Park, almeno un tempo, era famoso lo "speaker’s corner", un angolo di discussione su qualsiasi argomento, qui invece ogni posto è buono (al supermercato come sotto i portici) per disquisire di basket.

I tifosi, che incontriamo in questi giorni, recriminano per un vantaggio in classifica non cospicuo come, invece, s’aspettavano da questa squadra: probabilmente l’osservazione nasce da un’inquietudine subconscia, tipica di chi non ha ancora messo le mani su ciò che credeva già suo. Molti, ad esempio, hanno patito la sconfitta della Cimberio contro Imola, inaccettata per la classifica degli avversari. Capiamo lo smacco dei tifosi ma anche l’insuccesso della squadra, ben sapendo che essa può vincere e perdere contro chiunque e dappertutto, tant’è che, magari, sorprendendo più d’un osservatore, s’è imposta a Sassari.

Già, non sembrano esistere differenze d’avversari per questa Cimberio, non avendo alcuna squadra un volto e un nome, dipendendo invece e tutte dallo sviluppo di gara dei biancorossi. I quali, è storia del campionato, hanno quasi sempre faticato, pure in casa e contro avversari un po’ persi in classifica, buscandole peraltro e sodo a Brindisi per imporsi, invece e d’autorità, a Jesi contro una Fileni, perdente ma da pollastra a Masnago.

Tale caratteristica, se ci si permette una modesta analisi, è insita nella strutturazione di squadra di questa Cimberio e del suo impiego con relative rotazioni di tutti gli effettivi, compresi giovani e debuttanti in serie A o elementi da far rinascere. Si tratta di una filosofia precisa, voluta dal club, applicata con capacità da Stefano Pillastrini proprio in virtù di un progetto che ridesse a Varese la credibilità (persa nelle ultime stagioni). E questa identità, unica in serie A, è diventata la forza della squadra, vista la sua continua leadership, non senza però un rovescio della medaglia. Non è un caso se Varese comanda il campionato dall’inizio, eppure sul campo, a volte, sembra fare una fatica boia per battere, come si diceva, avversari che, nell’immaginario popolare, dovrebbero fare la fine di tordi allo spiedo.

Pillastrini ha fatto lievitare i valori di un collettivo che, a volte, sembra fatto da giocatori di uno stesso piano, il che non è così: da qui gare tutte sofferte. Ma, si osservava, la Cimberio sta lassù, anche per questo apprezzabile assemblamento, basti pensare alle tante assenze patite, che mai hanno scalfito la sua corteccia.

Anche il gioco biancorosso, talvolta, lascia a desiderare, come ad esempio la mancanza di un tiro facile per Lauwers dall’arco, come accade in serie A, sugli scarichi di razzenti penetratori, mentre la Cimberio ragiona e cerca soluzioni diverse, all’interno d’area o fuori. Questo è il gruppo che, sino a prova contraria, sta restituendo a Varese il paradiso perduto che, una volta su, magari non apparterrà a tutti.

Cecco Vescovi, all’ascolto di queste osservazioni, per dire anche di certe aspettative della piazza (relative a una classifica già bell’e definita), non ha recriminazioni da fare: «Il nostro vantaggio di 4 punti è giusto e ragionevole,. riflette la storia nostra e delle avversarie. Rimpianti ne abbiano noi ma anche gli altri. Imola? Abbiamo vinto a Sassari, i conti tornano. Capisco lo stato d’animo dei tifosi, che è il mio. Ora, con più punti di margine, avremmo pensato ai festeggiamenti, invece dobbiamo sudare ancora, come ci tocca da mesi. Dobbiamo vincere quanto basta per evitare possibilmente la sfida secca dell’ultima giornata con Veroli. La quale, si osserva, ha un calendario in discesa. Tutto giusto ma se noi dovessimo centrare due gare, allora Veroli dovrebbe vincerle tutte prima dell’ultimo appuntamento. In altre parole dev’essere perfetta».

Vescovi già confida in Holland, quindi in Roseto: la stessa Veroli, oggi libera e gasata, avvicinandosi l’obiettivo, potrebbe accusare l’onere della prova: «Domenica però ci è vietato sbagliare contro la durissima Casale».

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