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Dickens: «Serie A con Varese? Subito»


Lucaweb

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di Massimo Turconi

Un “Delta-blues” di quelli tirati allo spasimo. Tre ruvidissime corde di chitarra sfregate di continuo in un ritmo coinvolgente come la voce dura e un po' metallica di Seasick Steve. Kaniel Dickens, pochi giorni prima di lasciare Varese, aveva gradito l'omaggio musicale, ma soprattutto aveva apprezzato i testi di almeno tre canzoni: “I started out with nothin'”,”Happy man” e “One true”

«Son titoli e testi - ci disse -, che un po', anzi, parecchio, mi rappresentano. Soprattutto il primo perchè anch'io, come il protagonista delle canzoni, sono partito con niente o davvero poco nelle mani e arrivando a Varese ho trovato molto, sono diventato un uomo felice e, in fondo al viaggio, un po' più vero. Dirò, soprattutto agli inizi, non fu facile. Prima le settimane trascorse a Napoli, in mezzo a tanti problemi, poi l'idea di scendere di livello, infine diverse altre incognite per chi, come me, non aveva mai giocato in Italia e dell'Europa aveva assaggiato ben poco. Alla fine, invece, tutto è filato in maniera stupenda ed ora sono grato a tutti per avermi permesso di vivere questa esperienza».

- Chiedere a distanza di tempo quale sia il suo ricordo più importante della stagione, probabilmente, può perdere d’effetto ma Dickens è pur sempre un ex da considerare....

«La sensazione che, più delle altre, mi resterà dentro è quella di una grande, costante tranquillità. Durante il campionato un po' tutti hanno cercato di alzare, e spesso artificiosamente, il nostro livello di pressione ma noi, nonostante infortuni e assenze, che avrebbero stroncato il morale di chiunque, siamo sempre stati bravi nel restare concentrati sull'obiettivo anche nei periodi in cui, a causa di impedimenti oggettivi, i risultati non sono stati particolarmente brillanti. I meriti, in questo ambito, vanno attributi a coach Pillastrini, che ho visto sempre sereno, a Childress e a Galanda, che hanno fatto sentire la loro voce solo in un paio di occasioni ma importanti e naturalmente alla società che non ha mai parlato di un traguardo da centrare a tutti i costi. Insomma, è stata una cavalcata quasi perfetta: divertente ma anche coi suoi momenti di tensione e di pathos».

- Se parliamo di divertimento ed emozioni lei, in alcune situazioni, è sembrato l'interprete perfetto per un'altra canzone: quella con i bambini, ovvero gli spettatori di Masnago, che vedendola fanno “ooohh”...

«Mi è sempre piaciuto giocare per il pubblico, schiacciare, stoppare e offrire momenti di spettacolo. Del resto la mia storia da giocatore è nota ed io, avendo giocato diversi anni nelle leghe minori americane, tutte dedicate ai “numeri” in attacco, mi sono sempre espresso soprattutto con con il linguaggio di un basket poco realistico. Tuttavia, solo da voi, a Varese - riconosce Kaniel -, peraltro è stata la prima stagione che porto a termine senza cambiamenti, ho capito che il mio modo di interpretare la pallacanestro costituiva il mio limite principale. Alla Cimberio, per la prima volta in carriera, sono entrato in contatto in modo serio e continuativo con gli aspetti tecnici e tattici del gioco e sono contento di affermare che, anche a 31 anni, non è mai troppo tardi per imparare qualcosa».

- In questa considerazione sembra di ravvisare un suo rammarico. E’ giusta o sbagliata questa supposizione?

«Non potete immaginare quanto poiché, di fatto, la mia vita da giocatore è piena di “se”. Se avessi iniziato prima, se avessi incontrato allenatori diversi, se avessi avuto avuto genitori in grado di sostenermi, spingermi e avere fiducia in me. Invece, mio padre non mi allungò un “O.k, bravo, ben fatto!”, neanche il giorno in cui entrai nelle scelte NBA».

Ci sembra di avere a che fare con un “povero” Kaniel nei panni di un nostrano Calimero. Anche se, non è semplicissimo, spiegargli il significato del famoso. E italianissimo, “pulcino piccolo e nero”... Ma una volta compreso il messaggio Dickens, che è diventato padre qualche giorno fa (al piccolo Koragjo auguriamo salute e serenità), ci toglie dall'imbarazzo regalando un ideale abbraccio a compagni e staff: «Seppur con una stagione ormai morta e sepolta desidero ringraziare tutti quanti per come fui accolto fin dal primo giorno: ognuno dei ragazzi mi ha fatto sentire come a casa mia, parte di una famiglia. Un gruppo nel quale, potendolo, mi piacerebbe tornare. A Varese sia io, sia la mia compagna ci siamo trovati benissimo e, dal mio punto di vista, dopo l'amara vicenda di Napoli, farei carte false per potermi finalmente misurare con il livello della serie A. Con la Cimberio, poi, sarebbe davvero il massimo».

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