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Bulgheroni: "La struttura del nostro sport va cambiata radicalmente"


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di Francesco Caielli

È un basket malato che fa finta di essere sano. La sua sorte è segnata, se non ci si deciderà ad aprire gli occhi e ad accettare la malattia, per poter iniziare la cura.

Società che saltano e spariscono, quattrini che non si trovano più, grida d'allarme di proprietari e presidenti: da Varese a Udine, passando per l'un tempo opulenta Bologna e la novità Ferrara, l'Italia del basket sta morendo. «E io lo dico da anni, da tempo grido nel deserto e cerco di mettere tutti in guardia. Ma evidentemente nessuno vuole ascoltare». A parlare è Toto Bulgheroni, l'uomo che ha retto le sorti della Pallacanestro Varese per due decadi abbondanti, uno che ne ha viste tante e la pallacanestro italiana avrebbe ancora tanto bisogno di un personaggio così.

Bulgheroni: che cosa sta succedendo?

Non lo scopriamo certo oggi: la struttura del nostro sport va cambiata radicalmente e al più presto, perché così non si va più avanti.

Quali sono gli scenari per lo sport italiano?

Se non tragici, di certo molto preoccupanti. Da una parte c'è una struttura come il Coni, che si occupa dello sviluppo dello sport di base e svolge un'opera molto importante. Dall'altra però c'è il mondo del professionismo - parlo principalmente di calcio e pallacanestro - che ormai non sta più in piedi. Con le prospettive economiche attuali, tutto rischia di saltare per aria.

Perché?

Prendiamo il calcio, uno sport che rispetto al basket riesce a produrre delle risorse decisamente maggiori dovute alle sponsorizzazioni, agli incassi e ai diritti televisivi. Fidatevi: se la gente potesse vedere i bilanci delle società di serie A, si accorgerebbe che nessuna è in grado di stare in piedi secondo dei criteri economici. Se fossero delle industrie, sarebbero tutte fallite.

E la pallacanestro?

Peggio che andar di notte. Il nostro sport preferito non è in grado di muovere i denari che muove il calcio, quindi soffre ancora di più il momento di difficoltà generale. Sono finiti i tempi del mecenatismo, ed è impossibile chiedere ad una sola proprietà lo sforzo di mantenere una società. Se qualcuno ci riesce, i casi sono due: o si muove con mezzi poco leciti e legali, o è destinato a buttare tanti di quei soldi che dopo poco tempo è costretto a mollare.

Soluzioni?

Io credo che in alcune realtà particolari si possa pensare di riunire tutte le forze economiche presenti sul territorio, in modo a riuscire a sostenere un'attività così onerosa ma allo stesso tempo così importante.

Varese potrebbe essere una di quelle particolari realtà?

Me lo auguro. Da noi non mancano tradizioni e passione, spero che dietro a questi punti fermi si riesca a costruire un'unità di intenti per tenere in vita la società. Ma non è facile.

Cosa si rischia?

Di ridimensionare il tutto o, peggio, di scomparire. Del resto,guardiamoci attorno, A Milano c'è Armani, che può permettersi di spendere parecchi denari e rappresenta un discorso a parte. Poi c'è Siena, con uno sponsor come MontePaschi che investe dieci volte di più rispetto a quanto raccoglie come ritorno, ma investe comunque per motivi politici. Togliamo Treviso dove è rimasto l'unico mecenate d'Italia, togliamo Biella e Ferrara che quest'anno hanno avuto tanta fortuna e magari Cantù, il resto è un disastro. Se si dovesse sollevare davvero il coperchio sui conti delle società, lo scenario sarebbe drammatico.

Pessimista?

No, tutt'altro: il mio è sano realismo, e la volontà di dire come stanno le cose. Sono ottimista, e credo che qualcosa si stia muovendo a Varese come in altre piazze. Ma si deve far presto.

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