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Vi immaginate Pozzecco allenatore?


Lucaweb

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di GIANCARLO PIGIONATTI

«Spesso sogno un basket senza allenatori, senza catene sarei ancor più me stesso», confidava Gianmarco Pozzecco quando il regno del suo istinto veniva minacciato, anzi violentato da chi era chiamato a gestire la sua selvatica ma scintillante classe all’interno di un collettivo. Che fosse Dodo Rusconi, allenatore di Varese o Tanjevic, cittì della Nazionale, non faceva differenza, come non ne fece poi lo stesso Recalcati in azzurro o Repesa nella Fortitudo, tutti detestati alla sua maniera, diretta, senza peli sulla lingua, anche irriguardosa ma non vile e potremmo continuare nella "lista nera" di Pozzecco, persino a ritroso, ai tempi delle giovanili.

INDISCUSSO LEADER - Era indubbia l’onestà del suo pensiero, seppur talvolta impopolare, avendo osato mettersi di traverso a tecnici vincenti ma Gianmarco era fatto così, non un "ruffiano" né un furbacchione in tema di rapporti da coltivare: i privilegi, semmai, se li conquistava sul campo imponendosi alle platee da ammirato fuoriclasse e indiscusso leader. Una volta, in risposta a una precisa domanda sul suo futuro, qualora avesse pensato di fare l’allenatore, osservò: «Come potrei farlo io? Se soltanto trovassi un deficiente come me, non lo sopporterei. Questo mestiere fa a pugni con il mio modo d’essere e di pensare».

INSOPPORTABILE ALLIEVO - Già, a Pozzecco, vero artista del canestro, pieno di vezzi e di vanità, quelle buone, a uso consumo dei suoi tifosi ma, soprattutto, del basket come spettacolo, era impossibile chiedere di fare l’operaio o l’impiegato: attorno c’era già, e in abbondanza, chi recitava queste umili parti, sicuro com’era di spremere, poi in campo, ogni sua energia, da sano o da ammalato (con febbre alta da polmonite come suppergiù capitò) poco importava. Sicuramente era un insopportabile allievo in palestra, da non confondere con un lazzarone, se non che rifiutava mentalmente un certo tipo di lavoro, se ripetitivo e noioso.

Ai raduni estivi, quelli atletici, per far correre Pozzecco avresti dovuto dargli un pallone, sennò non faceva un metro. Recalcati, correggendo le osservazioni del sottoscritto, faceva notare che per vederlo davvero impegnato, il pallone da solo non bastava perché ci sarebbe voluto anche un avversario da battere.

OLTRE LA TV - Quanto tempo è passato. Oggi, guarda caso, Pozzecco, cui sembra andare stretta la parte di opinionista televisivo, s’è messo in testa di fare l’allenatore.

«Ci sto pensando e seriamente» ci ha confessato alcune settimane fa, dopo aver chiesto consiglio a Ettore Messina che l’ha invitato a Madrid per una "presa diretta" del lavoro di allenatore d’un grande club come il Real.

Anche Recalcati è stato pizzicato sull’argomento, inutile dire che il cittì gli ha parlato chiaro e tondo. A scanso di equivoci allenare non è come giocare: non si ruba la scena né si diventa idoli delle masse: ti portano in trionfo una sola volta, a caldo, se vinci un titolo storico.

OSCURO LAVORO - Che Pozzecco abbia negli occhi solo questa esteriorità, d’un prestigio che, poi in realtà, dura dall’alba al tramonto, e non le prospettive d’un lungo, faticoso e oscuro lavoro, a volte bollato da ingiusti e demoralizzanti licenziamenti?

Che abbia per modello soltanto Sergio Scariolo, un Lord Brummel della panchina, ma dopo stagioni di gavetta, o forse lo stile di Leonardo del Milan, "uscito" dal laboratorio-marketing rossonero?

Questa però è un’altra storia, soprattutto, per il mondo del basket.

Una cosa è certa: Gianmarco deve schiarirsi le idee, lo pensa lo stesso Recalcati, per nulla sorpreso e neppure scandalizzato da una vocazione che, nel caso di Pozzecco, potrebbe stupire. Come pensare a un impenitente che vuol entrare in seminario.

Il cittì lo conosce bene, tant’è che, intelligentemente, ai tempi dei Roosters, evitando di inquadrarlo, come invece ci provarono i suoi colleghi, fu più attento a gestire i suoi compagni, avvertendoli sin dall’inizio: «Pozzecco non è tipo da cambiare contegno, se vi va bene la domenica, non lamentatevi poi per quel che fa, anzi non fa, durante la settimana in palestra».

IL MIGLIORE - «Gianmarco allenatore? Me lo vedo, se segue la giusta strada. Potrebbe anche diventare il migliore, potendo capire più di altri quei giocatori difficili come lui. Ora come ora - è sempre Recalcati che parla - non può certo immaginarsi sulla panchina di un grande club con addosso i riflettori, dovrà aver pazienza, seppur da personaggio qual è, sicuramente deve sapersi applicare dietro le quinte, accettando l’oscurità di questo lavoro. La parte più impegnativa, nella quale misurare effettivamente le proprie capacità resta la conduzione degli allenamenti, dovendosi calare con autorevolezza nella squadra attraverso scelte di gioco e di tattiche, funzionali all’impiego degli uomini che hai a disposizione. Non puoi concederti tempi morti, devi avere sempre la mente lucida ed essere tempestivo trasmettendo le sensazioni giuste, in fatto di convinzione, per il tipo di lavoro che vuoi impostare».

CORSO OBBLIGATORIO - Non resta che l’unica strada percorribile: il corso allenatori. Poi una collocazione, come coach in formazioni minori o assistente in una grande squadra si trova, avendo però una decisa volontà di fare esperienza, seppur in seconda...

«Anche uno come Gianmarco, poco attento da giocatore a schemi e regole, può sfondare. Perché Esposito com’era? Eppure quest’estate Vincenzino risultò il migliore al corso allenatori e adesso guida una squadra di Trento. De Pol, ovviamente quadratissimo, sta facendo a sua volta la gavetta e un giorno, probabilmente, sarà capo allenatore. Come potrà esserlo Pozzecco se saprà spogliarsi dei suoi ghiribizzi, da divo, per calarsi con tenacia ed equilibrio nel ruolo. Che non sarà mai quella d’un trascinatore di folle».

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