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Terremoto ad Haiti....


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Penso siate tutti ben informati di quale immane catastrofe abbia colpito la poverissima Haiti.

Ho visitato quei luoghi quasi 13 anni fa, e sono sconvolto per come una simile disgrazia abbia potuto colpire

gente già tanto sfortunata....... :lol::lol::lol:

Immagini e video della tragedia....

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Mi pare che il mondo intero si stia mobilitando per aiutare quella povera gente ed invito tutti a dare il proprio contributo !!

AIUTIAMO HAITI !!

Link per il VIDES

Macchina degli aiuti

Edited by ROOSTERS99
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14 gennaio 2010

"Quelle grida sotto le macerie"

La testimonianza dell'italiana Fiammetta Cappellini, responsabile Avsi a Haiti

Dalla capitale di Haiti, Port au Prince, Fiammetta Cappellini, rappresentante di AVSI in Haiti, scrive via chat utilizzando skype:

“Cerco di essere breve perrchè cerchiamo di fare economia di batterie. Come sapete il terremoto è avvenuto alle 17 ora locale, mentre ci accingevamo a chiudere gli uffici. La prima scossa è stata fortissima e durata sicuramente più di un minuto. Appena psosibile abbiamo lasciato i locali. Constatato che non c’erano danni rilevanti, siamo andati tutti a casa. Le strade pero si sono rivelate una trappola. Io e la seconda macchina con Jean Philippe e un collega haitiano siamo rimasti bloccati per ore. Alla fine abbiamo deciso di far ritorno all’ufficio. Ci siamo riforniti di acqua potabile e cose simili e ci siamo diretti verso la ex acsa di Carlo Zorzi (ex rappresentate di AVSI in Haiti, prima di Fiammetta, e ora in Costa d’Avorio), unica meta raggiungibile.

Qui però ci ha sorpresi la seconda scossa, al che abbiamo deciso di dormire fuori. Non potendo raggiungere casa mia, abbiamo chiesto ospitalità in una struttura dell’ambasciata brasiliana di Port au Prince. Quando la situazione nelle strade si è un po’ normalizzata, verso le 10 di sera, ci siamo avventurati verso casa mia. Abbiamo praticamente attraversato la città. Il panorama è devastante. I più importanti edifici sono scomparsi. Danni ingenti si registrano ovunque. Solo da quello che abbiamo visto noi, i morti non possono che contarsi a migliaia. Interi edifici di diversi piani sono completamente rasi al suolo. Gravissimi danni ha subito un noto supermercato che a quell’ora non poteva essere che pieno di gente. E’ praticamente ridotto a niente.

Verso mezzanotte ho potuto ritrovare mio marito, al che abbiamo fatto un giro a casa di jean philippe, il francese che lavora con noi, che e’ gravemente danneggiata e chiaramente non più abitabile. Quindi per ora sta da me. La casa dove vivono i “nostri edoardo-alberta non sembra apparentemente aver subito gravi danni. Il nostro ufficio principale della città è integro. Fortunatamente i nostri colleghi stanno bene.

Attraversando la città abbiamo visto scene di devastazione terribili. Abbiamo notizia di almeno due colleghi che hanno trovato la casa rasa al suolo. D’altronde anche quella di fianco alla mia non esiste più. Per le strade vagano persone in preda a crisi di panico e di isteria, feriti in cerca di aiuto. Gli ospedali sono difficilmente raggiungibili, le strade della capitale impraticabili. Il nostro viaggio verso casa è durato oltre 2 ore per fare meno di 10 chilometri. E per fortuna avevamo la jeep.

Abbiamo cercato di portare aiuto come potevamo per trasportare i feriti, almeno i bambini non accompagnati, ma ci siamo presto resi conto di quanto poco servisse rispetto alla dimensione di questa tragedia. Si sentono dalle macerie le grida di aiuto di chi è rimasto sotto e i parenti impotenti si disperano. Mancano luci per illuminare la scena e continuare a scavare di notte. Non possiamo che attendere la mattina, ma anche questa notte è veramente nera per tutti noi. Il commissariato di Delmas 33, con annessa prigione e centro di detenzione di minori, un edificio di tre piani, non esiste più. Sul posto la Minustah ha montato luci a grande potenza per poter continuare l’opera di soccorso. L’hotel Montana, dove oggi ho pranzato è semidistrutto e conta 200 dispersi. Non ho più notizie della mia ospite di oggi.. Spero per lei. Tutti i mezzi della missione ONU sono mobilitati per portare aiuto, ma le Nazioni Unite stesse hanno subito gravi danni, con il loro quartier generale semi distrutto e diversi impiegati civili dati per dispersi.

In tutta la città la gente resta in strada: chi non ha più una casa, ma anche chi teme nuove scosse. Della maggior parte dei colleghi haitiani non abbiamo notizie, come anche di moltissimi amici e colleghi. Abbiamo incontrato in strada il capomissione di Action contre la faim. Ci ha raccontato che il loro edificio e’ interamente distrutto e che per ore hanno cercato i colleghi vittime del crollo. Un loro collega haitiano manca e all’appello. Lo stesso capo mmissione era leggermente ferito e cercava a piedi di raggiungere la propria abitazione e avere notizie della famiglia.

Ciò che abbiamo visto col collega Jean Philippe nell’attraversare la città è spaventoso. Non so davvero da che parte potremo ricominciare, ma lo faremo. E’ terribile. Penso ai 4 bambini che abbiamo soccorso oggi pomeriggio, 4 fratellini che si sono trovati sotto una casa distrutta senza i genitori non ancora rientrati dal lavoro. Uno di loro aveva gravissime ferite alla testa e piangeva disperato. La sorellina piangeva chiedendo: “come fa la mamma a ritrovarci che la casa non c’è più?”. Pregate per questo paese sfortunatissimo. Ciao, Fiammetta”.

Fai una donazione tramite Avsi

Sito AVSI

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IL SISMA E LA POVERTÀ / Ad Haiti tragedia infinita

Anche l'Hotel Oloffson è tra le rovine e i morti: là, nell'albergo della capitale di Haiti Port-au-Prince lo scrittore Graham Greene romanzò il suo capolavoro I commedianti, chiamandolo Hotel Trianon e immaginando che la decadenza morale, la corruzione e la povertà dei tempi del dittatore Papa Doc Duvalier fossero un apologo per il genere umano perduto. Tragica Haiti, come se Dei malvagi si accanissero contro la prima, fiera, repubblica di ex schiavi liberati. La miseria da ultimo posto nelle classifica mondiali, dittature feroci con il clan dei Duvalier, la speranza Aristide frantumata fra golpe, mafie e crudeltà. L'epidemia di Aids. I vicini lontanissimi, la Coast Guard americana addestrata a riportare a casa i profughi haitiani e dare asilo a quelli cubani, destino opposto del naufrago. Oggi un terremoto che potrebbe avere fatto decine di migliaia di morti. Senza una risorsa né interna, né internazionale, per le vittime.

Date una mano se potete perché lo sfortunato popolo di Haiti, l'ultimo della terra, è solo.

14 gennaio 2010

Edited by ROOSTERS99
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15 gennaio 2010

Il soccorso mondiale è l’ultimo rito per scongiurare che Haiti scompaia come Atlantide

C’è un punto di non ritorno per uno stato debole come Haiti? Esiste un’offesa suprema dell’uomo o della natura oltre la quale non si torna e non si hanno le forze per risollevarsi più, dopo 34 colpi di stato in due secoli, intrapresi nel mezzo del corridoio di mare battuto dagli uragani tropicali più violenti? Ieri la mezza isola di Haiti distrutta dal terremoto di tre giorni fa ha visto il prodigio: un’invasione pacifica dei soccorsi internazionali guidata al suo meglio dall’America.

Duemila marine e altri tremilacinquecento soldati della 82 divisione aerotrasportata mandati dal presidente Barack Obama per aiutare – “è diventata la nostra priorità assoluta e ne ho informato la mia Amministrazione”, ha detto – , due aerei cargo già atterrati a Port-au-Prince con squadre di esperti per capire che situazione c’è sul terreno e guidare meglio gli altri soccorsi in arrivo, una squadra delle forze speciali dell’aeronautica che ha preso possesso dell’aeroporto disastrato, l’ha rimesso in funzione, l’ha fatto diventare il cuore dell’organizzazione dei primi aiuti e ora dirige il traffico aereo. Seguono navi da guerra, elicotteri, una portaerei. Persino la base di Guantanamo bay è stata dichiarata disponibile per accogliere feriti scampati alla catastrofe: si tratterebbe di una clamorosa conversione – anche se temporanea – a scopi pacifici della base che è il simbolo oscuro della guerra americana contro i terroristi. Ma forse è soltanto un annuncio lasciato cadere con sapienza a Washington e che poi non avrà seguito, perché Gitmo è vicina ma non è attrezzata per i grandi numeri.

All’aeroporto di Port-au-Prince è arrivato anche il Falcon italiano con gli uomini della Protezione civile, della Farnesina e della Croce rossa: l’obbiettivo è naturalmente prestare aiuto alla popolazione, ma anche ritrovare le decine di italiani ancora dispersi in mezzo al caos della capitale spappolata. E ancora: è atterrato il primo volo Unicef, con mezzo milione di dollari di aiuti per 10 mila persone, e anche il primo di sette previsti di Medici senza frontiere con 25 tonnellate di materiale. E altri voli, fino a quando il governo di Haiti ha chiuso lo spazio aereo per evitare la pur benintenzionata congestione delle piste.

Tutto questo viaggiare di aiuti tra e sopra le case della capitale afflosciate su se stesse con i tetti che toccano i marciapiedi come se la terra le avesse succhiate da sotto e la gente che conta i morti impolverati – la stima dice ormai centomila e nessuno può ancora contestarla – non toglie l’interrogativo. Haiti sarà la nuova Atlantide dei Caraibi, sparita “in un singolo giorno e notte di disgrazia” come racconta Platone dell’originale? La fibra di ogni popolo e di ogni governo ha un suo punto di rottura e ora anche i discendenti di schiavi neri strappati alla zona meno sismica del mondo, il centro dell’Africa, per finire invece sulla mezza isola più sfortunata del mondo e il loro stato – nato con l’orgoglio del “siamo il primo governo nero” – potrebbero non essere più capaci di riprendersi. Le strade ingombre di cadaveri e di vivi che dormono fuori per la terza notte consecutiva.

Tre milioni di sfollati. I feriti che non trovano posto nel solo ospedale rimasto in piedi. La mancanza di acqua. Gli intrappolati sotto le macerie. Obama dice: “Non vi dimenticheremo” e il presidente francese, Nicolas Sarkozy, anche lui pronuncia la stessa promessa: “Haiti non rimarrà un paese devastato”. Ma è come se ci fosse un codice anarchico e violento scritto dentro la popolazione, che ha sempre impedito la stabilizzazione nel paese dei Tonton Macute: ieri nella capitale sono cominciati i saccheggi. Il terremoto è una mazzata che arriva su Haiti proprio quando le cose stavano migliorando. Nel 2009 è stato l’unico paese dell’area ad avere un’economia in positivo a dispetto della crisi mondiale. “Molto sorprendente, se si pensa agli choc politici e ai quattro uragani devastanti passati da poco sull’isola”, avevano detto al Fondo monetario internazionale. “E’ il risultato di milioni di dollari di investimento nelle strade, nei ponti e nell’agricoltura”, avevano risposto dalla piccola Banca centrale di Haiti. Ora s’è sbriciolato tutto.

© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO

di Daniele Raineri

:wacko::wacko::lol:

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Che ne pensate?

Mi ha colpito tanto questa riflessione, perchè è tremendamente vera e crudele, e mi fa sentire piccola piccola nel mio egoismo quotidiano...

da "Il Giornale"

La gara della solidarietà potrebbe diventare disciplina olimpica. Ne ha i requisiti. Viene praticata in tutto il mondo, sempre più spesso, articolata nelle diverse specialità: tsunami, alluvioni, terremoti. Quest’ultima gara per Haiti si avvia a diventare il punto più alto mai raggiunto: per livello di partecipanti, per quantità di risultati. Nel mezzo di una tragedia così grande, è consolante assistere al prodigarsi del mondo intero. Dalla più lontana scolaresca eschimese al più potente governo americano, siamo tutti sensibilizzati e impegnati. Oltre al numero pazzesco, indicibile, irreale dei cadaveri, a scuotere le coscienze e i sentimenti c’è l’aggravante più convincente di tutte: Haiti è l’angolo miserabile del pianeta Terra. Lo capisce anche il duro di cuore: la sventura si accanisce là dove meno ce n’è bisogno. In un certo senso, siamo partiti tutti alla scoperta della disperazione assoluta.

Leggendo le notizie di agenzia, si fatica ad aggiornare la cronaca di questa gara. Come un Telethon impazzito, il grande totalizzatore della solidarietà registra minuto dopo minuto le nuove adesioni. Staccano assegni tutte le star internazionali con le loro fondazioni, da Angiolina Jolie a Lance Armstrong. Raccolgono fondi i governi, le onlus, le banche. Ma anche le scuole, le parrocchie e i cral aziendali. Forza, ogni attimo è prezioso: Haiti manca di tutto, non possiamo lasciarlo solo.

Bello. Sì, molto bello. Però bisognerà pur dirlo, in un attimo di lucidità: Haiti era un Paese disperato e derelitto anche due giorni fa, prima del terremoto. Dove eravamo tutti quanti, fino a due giorni fa? Cosa dobbiamo concludere, guardandoci allo specchio: serve un cataclisma, per smuovere la sensibilità dei grandi poteri pubblici e delle piccole proprietà private?

Il discorso non ha la finalità di scatenare sempre un senso di colpa nel nostro animo, persino quando ci stiamo muovendo bene. Più che altro, dovrebbe servire a futura memoria. Per calibrare meglio il nostro senso del bene, declinato nelle sue forme più nobili di altruismo, pietà, misericordia.

Come ciclicamente il Santo Padre si ostina a ricordare dalla finestra su San Pietro, molte Haiti versano tra gli stenti nei diversi anfratti del mondo moderno. Fra queste, Haiti è statisticamente una delle più Haiti. Eppure, fino all’altro giorno, di Haiti e delle sue sciagure nessuno s’è mai dato una gran pena (si ricordano solo gli appoggi interessati a questo o quel regime nell’eterna lotta di potere). Lì da molto tempo vivono i veri ultimi della terra, ma nessuna gara della solidarietà è mai partita. La nostra solidarietà ha bisogno di una potente scossa, settimo grado della scala Richter, per presentarsi ai blocchi di partenza e partecipare alla gara.

C’è persino un errore di calcolo, cinico e finanziario, in questo atteggiamento. Come si dice in diverse situazioni: meglio prevenire. L’abbiamo verificato noi italiani giusto l’altro ieri, all’Aquila: qualche soldo speso bene prima avrebbe evitato molti lutti e tante spese dopo. Un poco di solidarietà in anticipo eviterebbe la fine del mondo poi. Lo spiegano benissimo i Bertolaso - altra categoria che senza scosse non ascoltiamo mai -: l’emergenza costa tantissimo, molto più di una prevenzione sensata. Centomila dollari dati ad Haiti prima del terremoto sarebbero serviti a costruire un edificio sicuro, centomila versati ora servono a comprare una ruspa per rimuovere i detriti.

Sembra di cercare sempre il pelo nell’uovo. Mi assumo la responsabilità del fastidio: sto cercando il pelo nell’uovo. Però diventa utile ribadire un paio di dati, già ampiamente noti prima dell’apocalisse. Haiti ha un reddito pro-capite di 1.200 dollari all’anno, cioè 3 dollari al giorno: davvero serve il terremoto per capire che hanno un disperato bisogno d’aiuto? E se questo dice ancora poco, riporto un altro numero: la mortalità infantile, ad Haiti, sta al 70-80 per mille. Benchè la percentuale possa risultare imprecisa nei decimali, resta la lugubre sostanza: un bambino su dieci non sopravvive al biberon.

Inevitabile, per quanto seccante, tornare alla domanda: dov’erano le raccolte di viveri e di medicinali, i ponti aerei e gli assegni di Hollywood, il ciglio umido dell’Onu e i concerti benefici delle rock-star? Dov’erano le non stop delle Cnn? Perché, prima del terromoto, Haiti non meritava che noi scattassimo in una grande gara della solidarietà? Anche se inconfessabile, la risposta può essere questa: un bambino morto sotto il muro crollato è insopportabile, perché la scena ci arriva nei salotti di casa con il suo carico di eccezionalità, mentre il 70 per mille dei bambini morti di fame e malattie non scuote, perché è la normalità. Ma se davvero le nostre gare della solidarietà dipendono da questo, non sembra il caso di sentirci così campioni. È il segno che un certo genere di cataclisma, ugualmente devastante, lo stiamo vivendo in fondo anche noi, qui. Dentro.

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Che ne pensate?

Mi ha colpito tanto questa riflessione, perchè è tremendamente vera e crudele, e mi fa sentire piccola piccola nel mio egoismo quotidiano...

.....

Mi sento anche io come te, pur avendo già fatto "qualcosina" in occasione della nascita di Bubu; decidemmo di farlo ricordando quegli splendidi 15 giorni trascorsi laggiù nei quali si stampò ben chiaro nella nostra mente quale fosse la situazione di quel popolo, di quei bambini....

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Diario da Port-Au-Prince. Le parole della volontaria Avsi

"Dalla Farnesina dicono che possiamo evacuare. Ma rimaniamo qui per aiutare a scavare"

Riportiamo qui di seguito la mail inviata oggi da Fiammetta Cappellini, volontaria di AVSI di stanza a Port-au-Prince.

15 gennaio 2010- "Ragazzi ciao, oggi vi mando poche righe via chat, stasera le nuvole impediscono anche questi pochi collegamenti.

La giornata l’abbiamo trascorsa prima a rintracciare il nostro personale nelle due bidonvilles Cité Soleil e Martissant, di alcuni non conosciamo ancora la sorte, mentre altri sono felicemente ricomparsi sani e salvi. Purtroppo abbiamo avuto la prima certezza di una perdita tra le nostre file, Junior, un giovane mediatore comunitario. Era molto capace, sempre allegro. Poi abbiamo lavorato alle emergenze, anzitutto quella sanitaria e quella igienica.

I corpi giacciono ovunque. A Cité Soleil abbiamo allestito un primo tendone di accoglienza. I senzatetto sono innumerevoli. Iniziamo dai bambini, perduti, soli. Stiamo procurando altri tendoni, materassi e coperte e generi di prima necessità.

Cominciamo ad avere riferimenti nelle Nazioni Unite, abbiamo saputo la sorte di alcuni amici e colleghi. Alcuni destini tragici. Il dolore è forte, pensare a quei volti ci mette grande tristezza. Abbiamo buone notizie dai Camilliani, Padre Gianfranco Lovera e i fratelli sono in piedi, il loro ospedale è fitto di gente. Li aiutiamo. Una giornata tremendamente intensa, anche se complessivamente oggi la situazione pare essere stata meno caotica, forse perché abbiamo ritrovato alcuni punti di riferimento: la Minustah è operativa. Non abbiamo visto episodi di sciacallaggio, ci pare che le persone siano shockate, sgomente, ma attente agli altri. Vedremo nelle prossime ore. Dalla Farnesina ci hanno comunicato la possibilità di evacuare. Ora, per me non ci penso proprio. Guardavo il mio piccolo Alessandro. Chissà cosa lo aspetta. Ma la nostra grande speranza non crolla, anzi cresce. Affermare la vittoria della vita sulla morte e ricostruire l’umano è ora il nostro compito qui.

State con noi. Ciao, Fiammetta”

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ironia della sorte: pochi giorni prima del terremoto ho iniziato a leggere l'ultimo romanzo di Isabel Allende, ambientato ad Haiti ai tempi della dominazione francese e della schiavitù. Racconti impressionanti di come gli schiavi venissero equiparati alle bestie. Capire le radici degli haitiani mi sta aiutando a comprendere Haiti allo stato attuale.

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lunedì 18 gennaio 2010,

Haiti è nel caos: linciaggi e saccheggi

Ancora superstiti: lotta contro il tempo

Il governo di Haiti ha imposto lo stato di emergenza per tutto gennaio. Per le decine di migliaia accampati sotto il sole cocente senza acqua, cibo e medicine, le condizioni diventano sempre più insostenibili. Sciacalli in azione. Oggi sull'isola arriva Bill Clinton. Il bilancio della Farnesina sugli italiani: un decesso, tre presunti morti, sette dispersi

Port-au-Prince - L'Italia sorride e si commuove di fronte ai tredici connazionali che ieri sono stati rimpatriati lasciandosi alle spalle la devastata terra di Haiti e con il trascorrere dei giorni e delle ore diminuiscono le speranze di ritrovare vivi gli italiani dispersi. Nessuno però rinuncia a scavare mentre il paese resta nel caos. L'ultimo bilancio della Farnesina parla di un decesso, tre presunti morti e sette dispersi.

Haiti sprofonda nel caos Il governo di Haiti ha imposto lo stato di emergenza per tutto gennaio e proclamato il lutto nazionale per la durata di un mese in memoria delle decine di migliaia di vittime del sisma. Sono circa 70mila i cadaveri cui é stata data sepoltura nelle fosse comuni, stando a quanto annunciato dal il segretario di stato all'alfabetizzazione, Carol Joseph. Ieri mattina dal Caribbean Market erano stati tirati fuori in tre, un uomo, una donna e una bambina di sette anni: disidratati e sotto shock ma ce la faranno. Come la proprietaria dell'Hotel Montana recuperata la sabato notte, come gli altri 70 sopravvissuti fatti riemergere vivi dall'incubo in questi lunghi giorni di paura, speranza, rabbia e sollievo. Ieri sera poi si é avuta notizia di un altro miracolo: un membro del Minustha, il contingente di pace dell'Onu, anche lui è stato estratto vivo dalle macerie, senza nemmeno un graffio.

Il bilancio della Farnesina "Allo stato attuale, oltre a un decesso, si registrano tre casi di persone per le quali si hanno fondate e concrete ragioni di forte preoccupazione". Vi sono inoltre 7 dispersi, persone cioè sulle quali vi sono "riscontri da effettuare", rispetto alle "centinaia di segnalazioni pervenute all’Unità di crisi sin dalle prime ore del sisma". Il ministero degli Esteri precisa che "tali segnalazioni presentano un grado di indeterminatezza tale da consentire di auspicare che si riferiscano a situazioni superate".

Condizioni insostenibili Per le decine di migliaia accampati sotto il sole cocente senza acqua, senza cibo, senza medicine, le condizioni diventano sempre più insostenibili. Lo denunciano le organizzazioni umanitarie internazionali, chiedendo che si faccia presto, che i soccorsi vengano finalmente incanalati in una catena di comando organizzata e strutturata. Per spingere in questa direzione, ieri nella capitale è arrivato anche il segretario generale dell'Onu Ban ki-Moon che, dopo una visita alla sede della Minustah sotto le cui macerie sono morti almeno 40 dipendenti mentre 330 sono ancora considerati dispersi, incontra René Preval, il presidente di un Paese che "sta affrontando - ha dichiarato - la più grave crisi umanitaria degli ultimi decenni".

L'intervento degli Stati Uniti Per oggi è atteso l'ex presidente americano Bill Clinton, nella sua veste di inviato speciale dell'Onu per Haiti. Arriverà con un aereo carico di materiale d'emergenza: viveri, acqua, medicine, batterie solari, radio portatili, generatori. Ma non è tutto: gli Stati Uniti potranno contare da oggi sulla presenza di 12.500 militari nell'area colpita dal terremoto, ha fatto sapere il Pentagono. E la Casa Bianca ha annunciato che per l'emergenza Haiti saranno mobilitati alcuni reparti di riservisti. La Ue sta intanto pensando di stanziare 100 milioni di euro e il Canada ha annunciato che il prossimo 25 gennaio si terrà a Montreal un vertice dei Paesi che sono intervenuti ad Haiti per portare soccorso ai sinistrati. L'ambasciata americana a Haiti ha inoltre reso noto che oggi inizierà la distribuzione degli aiuti Usa - acqua, cibo e medicine - in 14 punti distinti della città.

Sciacallaggio e violenza Se la macchina degli aiuti continuerà a camminare al rallentatore, gli episodi di sciacallaggio e violenza che ieri hanno provocato i primi morti potranno solo estendersi a macchia d'olio. A raccontare sono giornalisti e fotografi: un saccheggiatore è stato ucciso a colpi d'arma da fuoco dai poliziotti haitiani tra le rovine del mercato Hyppolite; i corpi di ladri linciati dalla gente esasperata dalle continue ruberie sono stati trovati in un quartiere del centro: avevano le mani legate dietro la schiena, uno era stato dato alle fiamme. Sabato sera un elicottero americano aveva rischiato di provocare un disastro gettando alla gente ammassata nello stadio Dalmas poche scatole di cartone piene di mono-razioni dell'esercito, ieri l'arrivo dalla portaerei Carl Visions di un velivolo carico di cibo e acqua è stato preceduto, a terra, dai soldati Usa dell'82ma divisione aviotrasportata. Hanno improvvisato un perimetro di sicurezza, armi in pugno hanno messo in fila centinaia di persone ansiose di ricevere i viveri agognati. E' andato tutto bene, le razioni - ufficialmente 130mila - sono state consegnate nella calma. Ma si è trattato di una goccia nel mare.

La distruzione in campagna Anche le località intorno a Port-au-Prince sono quasi completamente distrutte: il 90% degli edifici è crollato a Leogane, 19 chilometri a ovest della capitale; nei mega-quartieri di Carrefour e Petionville i feriti arrivano a ciò che resta delle strutture ospedaliere su carretti di fortuna o trasportati a braccia da altri uomini. La Croce Rossa Internazionale e Medici senza Frontiere sintetizzano la tragedia: "Ci sono cadaveri gonfi e in decomposizione nelle strade. Il rischio epidemie è dietro l'angolo:servono toilette, tende e cucine da campo. Quando arriveranno i medici stranieri con le attrezzature, per molti feriti e malati potrebbe essere troppo tardi".

La portaerei Cavour Salperà nei prossimi giorni dalla banchina dello stabilimento Fincantieri del Muggiano la portaerei "Cavour" con destinazione Haiti. A bordo della portaerei, comandata dal comandante di vascello Gianluigi Reversi, verranno imbarcati militari del Genio guastatori di Trento con oltre un centinaio di mezzi, oltre a personale militare sanitario. La portaerei Cavour è dotata di un grande ospedale con molte sale operatorie, sezioni di terapia intensiva e rianimazione.

Edited by ROOSTERS99
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Port au Prince

Una "varesina" per i bambini di Haiti

Gaia Francescato, milanese, è medico neonatologo nell'equipe del professor Agosti ed è partita per Haiti per lavorare nell’unico ospedale rimasto in piedi, il Saint Damien

E' milanese ma lavora da due anni all'ospedale del Ponte di Varese: Gaia Francescato è medico neonatologo nell'equipe del professor Agosti ed è la "varesina" partita per Haiti per lavorare nell’unico ospedale rimasto in piedi, il Saint Damien, scelto dalla Protezione civile italiana come base di lavoro.

La dottoressa Francescato, 32 anni, è già stata ad Haiti lo scorso novembre insieme ai volontari della Fondazione "Francesca Rava” che nell'isola si sta adoperando da anni.

Il gruppo varesino, insieme con l’équipe del professor Enrico Ferrazzi dell’ospedale dei bambini Buzzi di Milano, sta cercando di avviare una neonatologia vera e propria in gemellaggio con Varese: nei prossimi mesi alcuni rappresentanti del personale infermieristico e medico avrebbero dovuto trasferirsi a Port-au-Prince ad avviare il centro e formare il personale del luogo. Un progetto che sarà ovviamente costretto a slittare, a causa della tragedia.

17/01/2010

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Che ci venga permesso, in altre parole, di essere altruisti

Fermate la burocrazia cieca e fateci accogliere i bambini di Haiti

Innumerevoli famiglie si sono già dichiarate disposte a prendersi in casa uno di questi bambini

I neri bambini di Haiti, sorridenti, piangenti, feriti, fasciati, le loro piccole mani scure dai palmi chiari, i loro occhi infinitamente melanconici che, stupiti e increduli, ci interrogano — perché a me questo? — dalle foto dei giornali e dai filmati della tv, ci commuovono, ci conquistano, ci costringono quasi ad essere più generosi del solito, tanto che innumerevoli famiglie si sono già dichiarate disposte a prendersi in casa per pochi o per lunghi mesi uno di questi bambini, moltissimi dei quali, già si sa, rimasti orfani. Se non fosse per la burocrazia, l’eterna nostra invincibile burocrazia, che, pur in buonissima fede, allunga i tempi e complica i percorsi. Verrebbe allora da suggerire a chi soprassiede agli affidi temporanei, a chi decide se una famiglia è adatta o meno a ospitare uno di questi orfanelli, di approfittare dell’ondata di commozione, di non lasciare che ci si abitui a quegli sguardi struggenti, che si afflosci il desiderio di offrire soccorso e consolazione. Verrebbe da chiedere che per una volta tanto i tempi dei pur sacrosanti controlli siano un po’ più brevi di sempre, che le carte necessarie non debbano crescere fino a ricoprire e spegnere ogni afflato di generosità, che esami e interrogazioni non stronchino per via i candidati.

Non si parla di adozioni, non almeno per il momento, perché il Paese, quel che resta del Paese, ovviamente non vuole perdere i suoi figli, quelli che restano dei suoi figli; si parla di affidi temporanei o anche solo di periodi di vacanza in famiglie italiane per permettere a quei bambini, se non di dimenticare, almeno di rasserenarsi un poco dentro una vita normale, in una casa che sta saldamente in piedi. Nulla di definitivo, insomma, ed è per questo che si chiede più semplicità nelle pratiche, o magari soltanto maggiore elasticità.

Che ci venga permesso, in altre parole, di essere altruisti, che venga concesso a numerosi tra noi di mostrare il lato migliore, che venga facilitata la nostra aspirazione — peraltro non sempre così frequente— di accogliere bambini stranieri con attenzione e commozione.

Isabella Bossi Fedrigotti

18 gennaio 2010

Io stò cercando di attivarmi in questo senso ....

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Lodevolissima iniziativa Diego, ma è giusto riflettere bene .....

lunedì 18 gennaio 2010

Ma un bimbo non è un pacco postale

di Domizia Carafòli

Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce, lo sappiamo. Ma spesso non sappiamo o non ci accorgiamo che le ragioni del cuore vanno a porsi di traverso alla razionale capacità umana di affrontare e risolvere i problemi, anche i più urgenti e drammatici.

È il caso dei bambini di Haiti, resi orfani dall'immane catastrofe che ha colpito il paese. L’Unicef ne ha accolti 30.000 nei suoi campi. Che ne è degli altri nel più disastrato dei paesi caraibici che già prima del terremoto contava 50.000 piccoli negli orfanotrofi? Vagano tra le macerie e i cadaveri, senza famiglia, senza cibo, senza nessun riferimento, preda dei malavitosi che li arruolano per depredare i negozi superstiti o riforniscono di giovanissima «merce» i mercanti del sesso.

Ovvio che al disperato appello degli haitiani alla comunità internazionale («salvate almeno i nostri bambini») la risposta sia corale e generosa. Corale anche in Italia dove migliaia di telefonate e mail assediano il sito della Commissione per le adozioni internazionali. Centinaia di famiglie sono pronte ad adottare gli orfani e questo contrasta singolarmente con i dati precedenti che mettono Haiti all'ultimo posto nelle adozioni da parte di famiglie italiane: un bambino adottato l'anno scorso e due che quest'anno sarebbero dovuti partire per l'Italia, una volta concluse le pratiche, ma scomparsi nel terremoto che ha cancellato anche i documenti sotto le rovine del palazzo di giustizia di Port-au-Prince.

È sgradevole dirlo, ma dei piccoli senza famiglia di Haiti (50.000 negli orfanotrofi ma altre migliaia nelle strade) ci si accorge solo adesso che la tragedia ha scatenato la più grande tempesta mediatica che si conosca dopo l'abbattimento delle Torri gemelle. E la cosiddetta «solidarietà d'urgenza», emotiva, affrettata, superficiale, una fiammata senza dubbio sincera ma destinata a estinguersi presto oppure a bruciare procurando più danni che aiuti.

Se mi è consentito parlare in prima persona (e in particolare da madre adottiva) vorrei esortare tutti coloro che desiderano adottare un orfano di Haiti a riflettere prima di agire. È vero che i i bambini abbandonati stanno vivendo un’immane tragedia e molti di loro moriranno nei prossimi giorni di fame e di malattia, ma non è possibile aiutarli subito. O almeno non è possibile portarli subito via da lì. Innanzitutto - come già avvertono tutte le organizzazioni che si occupano di minori in campo internazionale - nessuna iniziativa è fattibile se prima gli orfani di Haiti non saranno censiti. E per censirli occorrono dei referenti che per il momento non ci sono.

E poi dovrà essere chiara la situazione di ognuno. I bambini non sono tutti uguali. Ognuno ha la propria situazione, la propria storia. Unica, irripetibile, non assimilabile ad altre. Molti pensano che l'adozione in un paese più ricco sia la panacea per ogni bambino in difficoltà, da qualunque paese e da qualunque situazione provenga. Ma chi si occupa realmente di adozioni sa che non è così. Un bambino allontanato dal proprio mondo (sia pure degradato) deve affrontare un grosso trauma. E le difficoltà aumentano con l'aumentare dell'età del minore. Il bambino piccolissimo ha una grande capacità di adattamento, ma chi è più grande deve cambiare amici, lingua, cultura. Se i genitori adottivi non ne sono consapevoli, possono andare incontro a un doloroso fallimento. Doloroso per loro, doppiamente doloroso per il figlio. Prima di decidere, ma anche dopo, devono farsi assistere da uno psicologo esperto in difficoltà dell'età evolutiva.

Questi suggerimenti sono validi sempre. Per quanto riguarda Haiti, si aggiunge la situazione drammatica che spinge alla fretta. Ma per agire occorre sapere quanti sono i minori in stato di reale abbandono (alcuni non hanno magari più i genitori ma parenti in grado di prendersi cura di loro), conoscere la loro provenienza, la loro età, le singole situazioni. Ma è indubbio, stante il caos sull'isola caraibica, che questi dati non saranno disponibili in tempi brevi.

E allora? Non bastano i messaggi commossi dei famosi calciatori. Occorre far tacere il cuore e far lavorare la ragione. E la ragione dice: lasciate i bambini lì. Almeno per ora. L'Unicef ne ha già raccolti 30.000 in due campi. Si dovrebbero allestire altri campi e far convergere gli aiuti - cibo, vestiario, medicinali, infermieri, assistenti e altro personale specializzato - negli appositi centri. E intervenire con l'adozione quando la situazione sarà più chiara. Magari anche con l'adozione a distanza che consente di seguire il minore nel suo paese. Prendersi cura di un bambino non ha nulla a che vedere con la propria gratificazione.

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Lodevolissima iniziativa Diego, ma è giusto riflettere bene .....

lunedì 18 gennaio 2010

Ma un bimbo non è un pacco postale

di Domizia Carafòli

Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce, lo sappiamo. Ma spesso non sappiamo o non ci accorgiamo che le ragioni del cuore vanno a porsi di traverso alla razionale capacità umana di affrontare e risolvere i problemi, anche i più urgenti e drammatici.

È il caso dei bambini di Haiti, resi orfani dall'immane catastrofe che ha colpito il paese. L’Unicef ne ha accolti 30.000 nei suoi campi. Che ne è degli altri nel più disastrato dei paesi caraibici che già prima del terremoto contava 50.000 piccoli negli orfanotrofi? Vagano tra le macerie e i cadaveri, senza famiglia, senza cibo, senza nessun riferimento, preda dei malavitosi che li arruolano per depredare i negozi superstiti o riforniscono di giovanissima «merce» i mercanti del sesso.

Ovvio che al disperato appello degli haitiani alla comunità internazionale («salvate almeno i nostri bambini») la risposta sia corale e generosa. Corale anche in Italia dove migliaia di telefonate e mail assediano il sito della Commissione per le adozioni internazionali. Centinaia di famiglie sono pronte ad adottare gli orfani e questo contrasta singolarmente con i dati precedenti che mettono Haiti all'ultimo posto nelle adozioni da parte di famiglie italiane: un bambino adottato l'anno scorso e due che quest'anno sarebbero dovuti partire per l'Italia, una volta concluse le pratiche, ma scomparsi nel terremoto che ha cancellato anche i documenti sotto le rovine del palazzo di giustizia di Port-au-Prince.

È sgradevole dirlo, ma dei piccoli senza famiglia di Haiti (50.000 negli orfanotrofi ma altre migliaia nelle strade) ci si accorge solo adesso che la tragedia ha scatenato la più grande tempesta mediatica che si conosca dopo l'abbattimento delle Torri gemelle. E la cosiddetta «solidarietà d'urgenza», emotiva, affrettata, superficiale, una fiammata senza dubbio sincera ma destinata a estinguersi presto oppure a bruciare procurando più danni che aiuti.

Se mi è consentito parlare in prima persona (e in particolare da madre adottiva) vorrei esortare tutti coloro che desiderano adottare un orfano di Haiti a riflettere prima di agire. È vero che i i bambini abbandonati stanno vivendo un’immane tragedia e molti di loro moriranno nei prossimi giorni di fame e di malattia, ma non è possibile aiutarli subito. O almeno non è possibile portarli subito via da lì. Innanzitutto - come già avvertono tutte le organizzazioni che si occupano di minori in campo internazionale - nessuna iniziativa è fattibile se prima gli orfani di Haiti non saranno censiti. E per censirli occorrono dei referenti che per il momento non ci sono.

E poi dovrà essere chiara la situazione di ognuno. I bambini non sono tutti uguali. Ognuno ha la propria situazione, la propria storia. Unica, irripetibile, non assimilabile ad altre. Molti pensano che l'adozione in un paese più ricco sia la panacea per ogni bambino in difficoltà, da qualunque paese e da qualunque situazione provenga. Ma chi si occupa realmente di adozioni sa che non è così. Un bambino allontanato dal proprio mondo (sia pure degradato) deve affrontare un grosso trauma. E le difficoltà aumentano con l'aumentare dell'età del minore. Il bambino piccolissimo ha una grande capacità di adattamento, ma chi è più grande deve cambiare amici, lingua, cultura. Se i genitori adottivi non ne sono consapevoli, possono andare incontro a un doloroso fallimento. Doloroso per loro, doppiamente doloroso per il figlio. Prima di decidere, ma anche dopo, devono farsi assistere da uno psicologo esperto in difficoltà dell'età evolutiva.

Questi suggerimenti sono validi sempre. Per quanto riguarda Haiti, si aggiunge la situazione drammatica che spinge alla fretta. Ma per agire occorre sapere quanti sono i minori in stato di reale abbandono (alcuni non hanno magari più i genitori ma parenti in grado di prendersi cura di loro), conoscere la loro provenienza, la loro età, le singole situazioni. Ma è indubbio, stante il caos sull'isola caraibica, che questi dati non saranno disponibili in tempi brevi.

E allora? Non bastano i messaggi commossi dei famosi calciatori. Occorre far tacere il cuore e far lavorare la ragione. E la ragione dice: lasciate i bambini lì. Almeno per ora. L'Unicef ne ha già raccolti 30.000 in due campi. Si dovrebbero allestire altri campi e far convergere gli aiuti - cibo, vestiario, medicinali, infermieri, assistenti e altro personale specializzato - negli appositi centri. E intervenire con l'adozione quando la situazione sarà più chiara. Magari anche con l'adozione a distanza che consente di seguire il minore nel suo paese. Prendersi cura di un bambino non ha nulla a che vedere con la propria gratificazione.

E' vero. Il mio discorso però è rivolto al lungo periodo, non sicuramente in questo momento di emergenza estrema.

Quando i riflettori si saranno spenti, perchè è sempre stato così e sarà così anche stavolta purtroppo, molti di questi bambini non avranno più nessun punto di riferimento.

Snellire le pratiche burocratiche per facilitare l'adozione o l'affido o più semplicemente un periodo di "vacanza" in famiglie occidentali che ne diano disponibilità, lo trovo un metodo intelligente per affrontare questa tragedia.

Un pò come si è fatto negli scorsi anni per i bambini Bielorussi e ucraini, figli di Cernobyl....

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Prendersi cura di un bambino non ha nulla a che vedere con la propria gratificazione.

Da scolpire nel marmo .

Nì. Frase un pò troppo qualunquista per i miei gusti. Può essere vero per certi personaggi, ma sono convinto che la stragrande maggioranza di chi

si prende cura di bambini abbandonati o allo sbando non lo faccia per gratificazione personale....

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Nì. Frase un pò troppo qualunquista per i miei gusti. Può essere vero per certi personaggi, ma sono convinto che la stragrande maggioranza di chi

si prende cura di bambini abbandonati o allo sbando non lo faccia per gratificazione personale....

Non ce l'ho con te , Corny , ma non puoi negare che gli italici siano un popolo che di fronte a questo genere di cose ragiona con lo stomaco e non con il cervello .Peccato che , passato il primissimo momento di maldipancia , passi tutto nel dimenticatoio .

il discorso invece è totalmente diverso se riferito alle persone che , sole o facenti parte delle più svariate organizzazioni , si occupano di bambini in emergenza !

Edited by Virgus
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Non ce l'ho con te , Corny , ma non puoi negare che gli italici siano un popolo che di fronte a questo genere di cose ragiona con lo stomaco e non con il cervello .Peccato che , passato il primissimo momento di maldipancia , passi tutto nel dimenticatoio .

il discorso invece è totalmente diverso se riferito alle persone che , sole o facenti parte delle più svariate organizzazioni , si occupano di bambini in emergenza !

:thumbsup:

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E' vero. Il mio discorso però è rivolto al lungo periodo, non sicuramente in questo momento di emergenza estrema.

Quando i riflettori si saranno spenti, perchè è sempre stato così e sarà così anche stavolta purtroppo, molti di questi bambini non avranno più nessun punto di riferimento.

Snellire le pratiche burocratiche per facilitare l'adozione o l'affido o più semplicemente un periodo di "vacanza" in famiglie occidentali che ne diano disponibilità, lo trovo un metodo intelligente per affrontare questa tragedia.

Un pò come si è fatto negli scorsi anni per i bambini Bielorussi e ucraini, figli di Cernobyl....

Non ce l'ho con te , Corny , ma non puoi negare che gli italici siano un popolo che di fronte a questo genere di cose ragiona con lo stomaco e non con il cervello .Peccato che , passato il primissimo momento di maldipancia , passi tutto nel dimenticatoio .

il discorso invece è totalmente diverso se riferito alle persone che , sole o facenti parte delle più svariate organizzazioni , si occupano di bambini in emergenza !

:thumbsup::lol:

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