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Nella grande serata per Manuel Raga, domani sera, ci sarà un premio particolare anche per lui. Sì, perchè se non ci fosse stato Giancarlo Gualco non avremmo visto neppure la "valanga gialloblù" e Varese (che pure sul finire degli anni Sessanta aveva già vinto due scudetti, una Coppa delle Coppe e una Coppa Intercontinentale) non sarebbe entrata nella leggenda del basket mondiale.

A decidere l’ingaggio di Manuel Raga fu proprio Giancarlo Gualco. Una scelta per molti versi rivoluzionaria, innanzitutto perchè riguardava un giocatore non statunitense e poi perchè non si trattava di un pivot (ma Varese aveva deciso di lanciare in quintetto base il diciottenne Dino Meneghin).

«Vidi Manuel Raga per la prima volta impegnato con la Nazionale messicana in una amichevole a Cantù - ricorda Gualco -. Mi impressionarono la sua eccezionale elevazione e la faccia sconsolata di Frigerio, il giocatore che lo marcava. Poi lo rividi al torneo di Chieti, sempre con la sua Nazionale: stoppò anche Cosic, alto trenta centimetri più di lui.

Devo dire però che non lo vedevo ancora come "nostro" giocatore. Mi convinse il fatto che Manuel, parlando con Massimo Villetti, un nostro giocatore, gli disse che gli sarebbe piaciuto giocare nella nostra squadra. Tornato a Varese, ne parlai con l’ingegner Adalberto Tedeschi, il nostro presidente; mi disse: "Se sei convinto della scelta, vai in Messico e fagli firmare il contratto".

Allora non c’erano agenti o procuratori con i quali trattare, sottoposi il contratto a Raga in una pausa degli allenamenti della sua Nazionale e lui lo firmò subito. C’è un aneddoto simpatico: andai all’aeroporto a prendere Manuel e lo condussi subito al palasport, dove la nostra squadra aveva appena finito di allenarsi.

Il mio solito gruppo di amici mi chiese di far eseguire qualche tiro a Manuel, che però venne subito bloccato da Luigi, il custode: "Senza scarpe da basket, in campo non si entra!". Allora Manuel si tolse le scarpe e cominciò a mitragliare la retina, mostrando la sua eccezionale mira. "El gh’è, l’è quel giust!" fu il commento generale... Così Raga cominciò la sua avventura a Varese.

Consideriamo un dettaglio: allora non si poteva sostituire i giocatori, sbagliare lo straniero significava fallire e rischiare. E in molti mi dissero che con quella squadra saremmo retrocessi...».

- Manuel Raga è stato in assoluto il giocatore più amato della Pallacanestro Varese: condivide?

«Sono d’accordo: Manuel più di tutti entrò nel cuore della gente, più di Morse, più di tutti gli altri, pur amatissimi».

- Però Aza Nikolic gli preferì Bob Morse per il campionato e Sandro Gamba scelse Charlie Yelverton...

«La scelta di Nikolic fu eccezionalmente combattuta. Ogni mattina ci trovavamo in sede e ne parlavamo. Un giorno, quasi spazientito, gli dissi: "Aza, se sei convinto che Morse possa darti più di Raga, scegli Morse!". Nikolic sapeva che quella scelta sarebbe stata impopolare perchè Manuel era amatissimo ma alla fine puntò su Morse con una valutazione squisitamente tecnica.

Quanto alla successiva scelta di Gamba, Yelverton piaceva molto anche a me; devo dire che Raga nell’ultimo periodo non mi era sembrato più il giocatore di prima, forse soffriva per il suo impiego limitato alla Coppa dei Campioni. Alla fine decise Gamba e la società fu d’accordo con la scelta del tecnico, come sempre dovrebbe avvenire».

- Che peso ebbe Manuel Raga in quella squadra?

«Determinante, anche perchè era molto benvoluto dai compagni e fu decisivo nel compattare il gruppo. Il giocatore più importante credo sia stato però Aldo Ossola, più di ogni altro in grado di capire la squadra e di guidarla.

In assoluto il miglior giocatore della storia del basket italiano ritengo sia stato invece Paolo Vittori, che tornò a Varese l’anno successivo all’arrivo di Raga: grande attaccante, eccezionale difensore, capace di giocare in ogni ruolo».

- Il ciclo dell’Ignis-Mobilgirgi fu eccezionalmente lungo (dieci anni con altrettante finali di Coppe dei Campioni). La fine fu inevitabile?

«Ogni ciclo è destinato a concludersi. Il solo modo di garantire la sua sopravvivenza sarebbe stato insistere con i ricambi, ruotare i giovani che avrebbero dovuto sostituire man mano i grandi campioni.

Ma non ci fu la pazienza di portare avanti il progetto. Ecco, se c’è qualcosa di cui mi pento in tutto il periodo in cui sono stato alla guida della Pallacanestro Varese è proprio questo: non avere insistito a sufficienza per attuare il ricambio».

- C’è un consiglio per i dirigenti di oggi?

«Nella mia posizione, quella di general manager,per lavorare bene è necessario avere la piena fiducia di chi sta dietro. Io l’ho sempre avuta, anche se non ne ho mai abusato, e ho sempre confrontato le mie scelte prima di prendere la decisione finale».

Claudio Piovanelli

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