Jump to content

«Alla Robur sopravvive il basket puro di una volta"


Lucaweb

Recommended Posts

Quando vede un giocatore

grezzo Oscar Eleni, prima

firma del giornalismo cestistico

italiano, borbotta: dovrebbe

andare a lezione da Gianni Asti.

Cita l'uomo che più di tutti incarna

la leggenda della scuola

Robur et Fides: il professor Asti,

prossimo a entrare nella Hall of

Fame del basket azzurro. La ciliegina

sulla torta di una vita trascorsa

sul parquet.

Asti, come sta?

Molto meglio, grazie. Ho ancora

piccoli problemi, ma se penso

che pochi mesi fa ho rischiato

di andare all'altro mondo...

Esco poco, però a Pasqua

non mi sono

perso il Garbosi. È il

torneo più bello che

ci sia: non potrei mai

mancare, perché ricorda

un amico e il

maestro che, con Tracuzzi,

mi ha insegnato

tutto. Stare tra tutti

quei giovani è meglio

di qualsiasi medicina.

L'hanno salvata i suoi ragazzi.

Sì: miei ex giocatori che, diventati

medici, si sono prodigati in

una situazione drammatica. Si

chiamano Ornaghi, Segato, Nicora,

Lepori: se sono ancora qui

lo devo a loro. Segato era un ottimo

prospetto, secondo me sarebbe

arrivato in serie A. Mi inorgoglisce

che abbiano fatto quella

carriera: significa che la Robur

semina bene anche fuori dal

campo.

Posso chiedere della Cimberio

a un emblema della Robur?

Certo, ma ho visto solo due-tre

partite in tv, da tifoso e non con

l'occhio clinico. Al di là degli

infortuni, non saprei spiegare

perchè deve ancora salvarsi

Però può dire cosa non bisogna

fare a questo punto.

Giusto predicare serenità, però

se si rischia di retrocedere la

pressione non può mancare. Varese

si salverà anche perché ha

un grande vantaggio: il pubblico.

Innamorato e competente,

capisce quando bisogna aiutare

i giocatori: è uno di quei momenti.

Duemila persone per la

non-partita con Napoli hanno

dell'incredibile: Basket City è

questa, poche storie.

Cosa le piace della Cimberio?

Che schiera ragazzi di via Marzorati:

Cecco e Max in società,

Gergati, Martinoni e

Passera in campo.

Ferraiuolo e Vescovi

stanno lavorando bene.

Nick sta facendo

progressi. Marchino

ha avuto una stagione

sfortunata. Lollo,

degno rampollo di

una famiglia meravigliosa,

ha il basket

nel sangue: è sempre

stato lucido e non ha mai temuto

le responsabilità, ma non andrebbe

lontano se non possedesse

buonissimi fondamentali. Tutti

e tre sanno che devono sudare

ogni giorno e migliorare, se

vogliono andare avanti.

I fondamentali, la sua passione.

Aiuto gli allenatori della Robur

a insegnarli: sono indispensabili,

eppure tanti li trascurano. La

stragrande maggioranza delle società

vuole solo vincere, anche

nelle giovanili: se non lo fai non

ti considerano un buon coach.

La federazione dovrebbe intervenire,

perché questo sistema

non motiva a curare lo sviluppo

tecnico dei ragazzi. In A1 vedo

gente che non sa fare il primo

passo: pazzesco, se penso che

persino Michael Jordan lavorava

sodo ogni giorno. Ricordo che

in allenamento Nikolic massacrava

di richiami Tony Gennari,

perché sbagliava il palleggio in

partenza: Gennari abbassò la cresta,

e soprattutto non fece più

passi.

Le piace la pallacanestro attuale?

Poco, e non è sterile nostalgia. Il

mercato aperto impedisce agli

allenatori di lavorare e ai tifosi

di affezionarsi. E si è involuto il

gioco: fanno tutti le stesse cose,

poche squadre hanno un preciso

marchio di fabbrica. In più, si

studiano troppo i punti deboli

degli avversari in video: noi non

avevamo le cassette, quindi badavamo

a perfezionare il nostro

gioco. Fisicamente oggi i giocatori

sono più atleti, però tecnicamente

pagano dazio. Ci sono

allenatori buoni: ma i Gamba, i

Taurisano, gli Zorzi erano di un

altro pianeta.

Lei portò la Robur in serie A,

a giocare il derby con la grande

Ignis: succederà mai più?

Non credo: la nostra vocazione

è creare giocatori e lanciarli. Arrivammo

lassù con un manipolo

di strepitosi talenti fatti in casa:

retrocedemmo subito perché

si fece male Benton, e allora gli

americani non si potevano sostituire.

Lo scelsi perché si adattava

perfettamente al nostro gioco,

oggi fanno tutti il ragionamento

opposto. Quello, tutto lustrini,

non era il nostro mondo:

lo capì bene il presidente Trombetta,

che fece una mossa geniale.

Vendette mezza squadra alla

Mobilquattro Milano e in cambio

non chiese soldi, bensì la costruzione

del centro sportivo di

via Marzorati, che ha fatto la nostra

fortuna.

Il giocatore più forte che ha

allenato?

Dino Meneghin: a 15 anni era già

un fenomeno, lo feci subito debuttare

in serie B. E Aldo Ossola,

il più grande play italiano di

sempre.

Lei non era un allenatore a

tempo pieno.

Ho lavorato per 34 anni alla

Volkswagen di Milano: è che

non volevo chiedere soldi alla

Robur.

Cos'è la Robur et Fides oggi?

Uno dei primi vivai italiani. Abbiamo

14 squadre, tanti ragazzi

del '92 già titolari in B2 e Ci. Anche

Siena, Treviso, Pesaro, Milano

lavorano bene sui giovani,

ma comprando cartellini. Se parla

con i nostri ultimi presidenti,

Trombetta, Tessarolo, Corti, Bonomi,

capisce dopo due minuti

che hanno in mente solo il bene

dei ragazzi di Varese: la missione

è farli arrivare completi alla

meta. E io in mezzo a loro sono

felice, anche se vorrei fare di

più.

Stefano Affolti

Link to comment
Share on other sites

×
×
  • Create New...