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Progetto Roosters, anche la mia Siena è nata in quel modo


Lucaweb

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Vale sempre la pena di stare ad ascoltare chi ce l’ha fatta. Parlare un po’ di basket con chi del basket è il numero uno, con chi è a capo della società che da anni sta dominando il nostro campionato, un dominio che non è mica nato per caso ma che è figlio di scelte coraggiose, di persone giuste messe al posto giusto, di occhi lunghi capaci di guardare lontano. Ferdinando Minucci e la sua Mens Sana

Siena, tre scudetti di fila e il quarto in arrivo, un record di imbattibilità in campionato lungo un anno, ma soprattutto una società che è stata capace di coinvolgere una città intera che ha unito tutte le sue risorse nel nome della sua squadra di pallacanestro. Un po’ quello che si vorrebbe fare a Varese, con il nuovo “progetto Roosters” e il sogno di una società tutta nuova.

"Ho letto con interesse – spiega Minucci – quello che sta accadendo a Varese, e da parte mia non posso che sposare in pieno il progetto che si sta cercando di portare avanti. Sarebbe il modo migliore per dare un futuro alla società, puntando sulla tranquillità: e la tranquillità è la condizione essenziale per poter programmare qualcosa che duri nel tempo".

Il nuovo corso, dunque, ha la benedizione della Mens Sana?

Ho già avuto occasione di dire che Varese è un pezzo di storia importante del nostro sport, che rappresenta una piazza appassionata e che merita di stare ad alti livelli. Detto questo aggiungo che l’unico modo per andare avanti nel basket di oggi è quello di creare una società che sia espressione delle realtà istituzionali e imprenditoriali di una città. Non è più possibile, in uno sport come il nostro che non muove i numeri del calcio, affidare la società a un solo imprenditore.

Perché no?

Perché quando alla proprietà c’è una sola persona, inevitabilmente si creano delle tensioni. Il proprietario si aspetta delle cose, la piazza se ne aspetta altre, le istituzioni altre ancora: si crea così un circuito vizioso che alla lunga guasta i rapporti, e a pagare il prezzo più alto solitamente è la sopravvivenza della società.

E come si ovvia a questo problema?

E’ necessario creare una base solida, fatta di tante realtà diverse che si mettono insieme per un obiettivo comune, garantendo così quella tranquillità di cui parlavamo prima. Un imprenditore per qualche motivo non riesce più a dare il suo contributo? Poco male, ce ne sono altri dieci che garantiscono per lui, che tengono in vita la società.

Voi a Siena fate così?

Noi a Siena abbiamo iniziato nel 1992 esattamente con le stesse premesse che ora sono state messe sul tavolo a Varese. Allora eravamo in serie A2, e prima dell’arrivo della banca Monte dei Paschi sono passati altri otto anni. Non mi stancherò mai di ripeterlo: il Montepaschi non è statala causa dei nostri successi, ma piuttosto una conseguenza di un buon lavoro che ha coinvolto tutta la città e ha attirato investimenti importanti.

Varese sta lottando per salvarsi, e la permanenza in serie A è una delle condizioni fondamentali perché questo progetto prenda piede.

Lei è d’accordo, o a suo avviso il rinnovamento della società dovrebbe continuare anche in caso di retrocessione?

Noi siamo partiti dalla serie A2, campionato nel quale siamo rimasti per due stagioni prima di conquistare la serie A e continuare la nostra avventura fino ad arrivare ai successi che tutti conoscono. Io credo che anche nel malaugurato caso di una retrocessione il progetto debba andare avanti, nulla sarebbe compromesso. Certo che…

Certo che?

Certo che sarebbe meglio salvarsi, tenendo conto del fatto che a partire dal prossimo anno ci sarà una sola promozione dalla LegaDue e che riconquistare il massimo campionato sarà sempre più difficile.

Ma Varese, secondo lei, si salva?

Ha nelle mani il suo destino: se farà quello che deve fare, non avrà problemi. Quest’anno Varese ha senz’altro vinto il campionato della sfortuna: auguriamoci che nelle prossime due partite la sorte restituisca qualcosa di quanto ha tolto finora.

Francesco Caielli

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