Il capitano si farà un sacrosanto e meritato ultimo giro di giostra, ma non nel luna park più importante della sua vita di giocatore e di uomo.
Giancarlo Ferrero lascia la Pallacanestro Varese: giocherà per un altro anno e lo farà a Trieste, avendo accolto la sfida propostagli da Michael Arcieri, general manager della società giuliana dopo l’anno e mezzo trascorso a servizio dei biancorossi.
L’addio di Ferrero è avvenuto dopo un ultimo confronto tra il quasi 35enne nato a Bra e Luis Scola, nel corso del quale l’amministratore delegato argentino ha ribadito al suo ex compagno di squadra nella stagione 2020/2021 di non avere proposte da offrirgli per proseguire il rapporto, lasciando unicamente aperta la porta a un ripensamento “sine die”, cioè indeterminato nel tempo (fine luglio? Fine agosto?) ma soprattutto nel se.
Insomma, senza girarci troppo intorno, Scola ha esattamente ripetuto a Giancarlo quanto comunicatogli venerdì 16 giugno, in occasione dell’uscita ufficiale del contratto che avrebbe legato l’ala ancora per un altro anno al sodalizio prealpino: nella futura Openjobmetis, per te, al 99% non c’è più posto.
Da quel giorno di giugno le parti non si sono più aggiornate fino a questa settimana, ma il telefono di Ferrero non è rimasto - ovviamente - muto.
Al capitano hanno iniziato ad arrivare offerte da altre società, di Serie A (si è fatto il nome - per esempio - di Scafati), così come di A2: ad andare a segno è stata quella di un altro professionista che - al pari di Giancarlo - da Varese non è volato via volentieri, anzi. Manca ancora la firma, ma l'accordo c'è.
Trieste e Arcieri hanno chiamato Ferrero per una nuova sfida, per vincere, per tornare subito in Serie A: dovrebbe essere un anno secco di contratto, ruolo incursore dalla panchina con licenza di colpire, ovvero il suo prediletto. Anche per chi non avrebbe mai immaginato di salutare in questo modo la società di cui è stato simbolo indiscusso, si è trattato di una scelta obbligata: o andare avanti altrove, o ritiro immediato.
Inutile tornare sulle considerazioni fatte QUI: valgono ancora, valgono tutte, ma davanti ai fatti concludenti si infilano quatte quatte nella categoria delle opinioni. Vale solo la pena di ribadire che la scelta tecnica (e non solo: si pensi alla volontà di perseguire la formula del 5+5 e di inseguire così la premialità economica destinata a chi dà spazio agli italiani under 26), operata da Scola in accordo con Matt Brase, può essere oggetto di discussione, ma non di incomprensione: a un giocatore di 35 anni, non più considerato utile dall’allenatore oltretutto, non è un delitto rinunciare.
Il futuro non aspetta il cuore.
El General ha ragionato con i numeri, con la freddezza che il ruolo gli impone, la stessa che lo ha guidato in altre decisioni e ancora lo guiderà in futuro, evidentemente per il bene di Varese. Ne ha diritto, il medesimo che ha Ferrero di considerarsi ancora un giocatore, di non voler finire qui la propria carriera (che è una e non ritorna: bisognerebbe pensarci, prima di sputare giudizi…), di affermare che lui, Varese, non l’avrebbe mai lasciata e che, se lo ha fatto, è perché vi è stato costretto, aderendo solo successivamente al richiamo di chi ancora lo stima per quel che può dare in canotta e pantaloncini.
Sono tante le verità e, quando sono tali, valgono tutte.
Chi oggi comanda la Pallacanestro Varese non è però immune - a parere di chi scrive - a una critica ben circoscritta e puntale: la questione andava gestita in maniera molto ma molto più delicata, mostrando maggior attenzione al capitano e ai tifosi che a lui sono affezionati. E sarebbe bastato poco per dimostrarla, sarebbe bastato essere onesti con Ferrero a gennaio, o a febbraio, o a marzo: “Gianca, oltre maggio non andremo avanti insieme...”. In questa maniera ci sarebbe stato il modo per prepararsi, per salutare, per commuoversi, per vivere l’addio nell’unico posto in cui meritava di essere vissuto: il parquet.
Non è avvenuto ed è stata un’occasione persa per essere premurosi e umani con chi se lo sarebbe grandemente meritato. Chissà se ci sarà tempo e voglia di recuperare, organizzando qualcosa, magari fra un anno…
Si conclude qui, si conclude così, una storia di campo e di amore tra le più belle mai scritte in 78 anni di storia della Pallacanestro Varese. Ed è un orgoglio per tutti averla vissuta.
Si chiude qui, si chiude così, un’era fatta di strade in salita, ogni anno una nuova e ancora più irta della precedente, di rincorse, di sfide da vincere per sopravvivere, di delusioni cocenti e rinascite. E si chiude perché se na va chi l’ha personificata come nessuno: pronto, sempre un passo avanti agli altri, sempre con quel sorriso e quella grinta dipinti in volto a ricordarci che la paura poteva aspettare, perché prima c’era la battaglia.
Se ne va una certezza in un mondo di incertezze.
Il Gianca giocatore (284 partite con la maglia di Varese) è stato un indimenticabile fornitore di triple mancine, di lotte (spesso vinte) con omoni più grandi e grossi e talentuosi di lui, di scosse da brividi a match diventati infidi, di duttilità (e va ricordata la mossa di Attilio Caja che lo trasformò in quattro, allungandogli la carriera ad alto livello), di sacrificio di corpo e fiato e di limiti superati brillantemente. Con lui se ne vanno anche i boati che hanno sempre sottolineato le sue giocate, non paragonabili ad altri: chissà se e quando il destino regalerà ai supporter un nuovo biancorosso per il quale essere così contenti, così felici, così naturalmente.
Tutto ciò è avvenuto perché il Gianca uomo è stato un amico, un fratello, il capitano come vocabolario comanda, una comunione di gioia e affetto per Masnago, i suoi adepti e per tutti quelli che l’hanno conosciuto.
Il film di questi otto anni non si può racchiudere in un articolo, anche perché il rapporto tra Ferrero e Varese, in fondo, continuerà. La Città Giardino resterà per sempre la sua città, una volta appese le scarpe al chiodo: è la prova provata di tutto ciò che abbiamo visto, vissuto e scritto.
Arrivederci, allora, Capitano.
Fabio Gandini
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