IL COMMENTO DI FABIO GANDINI
Un meteorite con i capelli rossi.
Che prima ha scardinato le poche certezze di questa squadra, costringendola a toccare il fondo e a rimettersi in piedi, peraltro senza di lui sul parquet. Poi ha preso in mano la spada e ha mostrato a tutti che sono solo i campioni il vento in grado di cambiare il cielo.
Si potrebbe quasi scomodare il noto psicologo Carl Gustav Jung: quello contro Pesaro è stato per Varese un processo di individuazione del “sé”, nel corso del quale la formazione di coach B., passando dalle forche caudine del fallimento e della paura di non riuscire a mutare il verso di un destino perdente nemmeno questa volta, ha trovato un senso: solo a quel punto c’è stato spazio per l’avvento clamoroso e decisivo del fenomeno Mannion, cioè per il vento di cui sopra.
Riavvolgiamo il nastro di una partita incredibile, perché ne vale la pena.
All’inizio, contro una Pesaro che fa esattamente ciò che un’avversaria dovrebbe fare contro la Openjobmetis che abbiamo visto fin qui, ovvero bombardare di palloni l’area biancorossa, meglio ancora se tramite i giochi a due, Varese si schianta fragorosamente dal punto di vista tattico. Come sempre.
In difesa ecco il festival dei pick and roll subiti, uno dopo l’altro, con il gigante Totè a umiliare uno Spencer distratto e preso in mezzo, degno degli incubi e dell’inutilità del peggior Cauley-Stein. E poi i rimbalzi offensivi, ben 8 in 20 minuti lasciati nelle mani pesaresi, quasi tutti puniti da secondi tiri vincenti.
In attacco l’immanente presenza di Nico si fa sentire pronti via, ma i suoi sono soprattutto dei fuori giri, interrotti solo qui e là da spunti interessanti. Un solo allenamento nelle gambe, la scarsa conoscenza dei compagni e quel “lato b” che dovremo imparare ad accettare: sommato tutto le sue palle perse ci possono anche stare, ma quando il tassametro arriva a contarne 6 in nemmeno un tempo, Varese si ritrova a terra. Come sempre.
Anzi peggio, sembra essere vittima di una clamorosa crisi di rigetto: Hanlan, normalmente un faro, sparisce dal campo; Woldetensae non trova un minuto nelle rotazioni, al suo posto uno Young che non pare aspirare a fare nulla per permettere a chi normalmente lo massacra di cambiare idea; Spencer, lo abbiamo già scritto, non vede un pallone in attacco (e quei pochi li sbaglia) e viene massacrato da Totè, così come McDermott da Bamforth.
Al 21’ si riparte, alla stessa stregua: Mannion non incide; Brown - uno dei pochi positivi fin lì insieme all’orgoglio varesino Librizzi- commette terzo e quarto fallo allo stesso modo; Spencer continua a combinare disastri e l'intensità messa in mostra contro Milano è un ricordo triste come la scoperta di un miraggio.
Il tabellone dice 55-40: è il momento più basso di sempre, anche perché c’è una simpatica scimmia sulla spalla che ci ricorda con perfidia che Treviso ha vinto un’altra volta.
Quando tutto pare finito, as usual, ecco che la Openjobmetis ritrova un senso. E lo fa prima ancora di conoscere il lato A del fuoriclasse che Luis Scola ha portato sotto al Sacro Monte. Qui succede qualcosa che non avevamo mai visto in questa stagione: la squadra e la panchina imparano dagli errori.
Cambia la difesa sul pick and roll: a costo di lasciare spazio al tiro di Cinciarini, si sta un passo indietro e si raddoppia sul lungo. Spencer - almeno in difesa e a rimbalzo, perché in attacco continua a sbagliarne di ogni - azzecca una serie finalmente convincente, ricordandoci perché (oggi, domani, sempre, in ogni vita) lui sì e WCS no. Dalla naftalina viene ripescato Woldetensae, che dà ordine (4 assist) e difesa. Infine Young - forse il più inatteso dei protagonisti - che riesce nell’impresa di rendersi utile con carambole, fisico e triple.
Mannion non c’è ancora, Varese sì. E ha preparato finalmente il terreno per accogliere il suo più grande cambiamento.
L’ultimo periodo è tinto di rosso, il colore del Natale, dei regali, dei miracoli, della passione, di quei tramonti che arrivano solo dopo le tempeste più flagellanti.
Fanno 21 in 10 minuti per l’ex Baskonia e la fotogallery è ricca di prodezze, un paio delle quali tonitruanti (la schiacciata in faccia a tutta Pesaro e la tripla su una gamba sola). Senza Mannion finirebbe come al solito, perché il campione prima non c'era, con Mannion (e con la Varese operaia dietro di lui) è la prima vittoria dell’anno in trasferta, la prima gioia dopo sette muri del pianto.
Fabio Gandini
Recommended Comments
There are no comments to display.
Create an account or sign in to comment
You need to be a member in order to leave a comment
Create an account
Sign up for a new account in our community. It's easy!
Register a new accountSign in
Already have an account? Sign in here.
Sign In Now