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Dopo un mito caduto Varese in mani esperte


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[color=rgb(37,39,37)][font=Verdana][size=3]Ancora una volta s’è voltato pagina. Stavolta sono più d’una, di una "belle epoque", finita tra le ceneri di un "dichiarato" fallimento. Le uscite di scena di Cecco Vescovi, diventato una “bandiera senza vento" tra la sua gente dopo centinaia e centinaia di nobili e irripetibili, di là da venire, presenze con la maglia della sua città e, soprattutto, di Gianmarco Pozzecco. Le dimissioni del massimo dirigente e dell’allenatore non sono un atto inconsulto, più verosimilmente hanno rivelato una paura di impotenza a rimedi così urgenti e pressanti. Un "fuggi fuggi"così clamoroso che può anche essere inteso come un sottrarsi ad ancor più critiche responsabilità, fa supporre come non vi fossero rimedi sicuri, almeno, nella continuità di "pezzi grossi" che, facendosi da parte, hanno creduto in un attuabile e beneaugurante scossone. Che cosa farà Pozzecco da grande? Se lo chiedono un po’ tutti, avendo egli due anni[/size][/font][/color][color=rgb(37,39,37)][font=Verdana][size=3]
di contratto garantiti, rivedibili nel ruolo, innanzitutto sino al prossimo giugno, probabilmente come messaggero e simbolo di Varese in tutte le sue relazioni pubbliche e private intendendo quell’azione di marketing cui questo club tiene parecchio, persino al di là dei risultati del campo che, spesso, sembrano fare a pugni con le molte iniziative di comunicazione e di intrattenimento che furoreggiano a Masnago. E poi che sarà di lui? Chi vivrà, vedrà al di là di un’immaginazione popolare (fors’anche personale, da parte di Pozzecco) nei piani alti, pure decisionali. A caldo ogni progetto di elevata presa emotiva ha buon gioco nelle prefigurazioni sentimentali ma il tempo, si sa, stempera i dolori ma anche gli amori, ammortizzando, attraverso una fredda razionalità, certe passioni. Ora, tra miti caduti, v’è da salvaguardare il buon nome di Varese, come valore e bene supremo, per il quale battersi sino alla morte sportiva. Sin qui, ogni volta, in cui s’è voltato pagina sono rimasti gli "scarabocchi” di sempre, d’una squadra costituzionalmente poco competitiva in una pallacanestro che pretende aggressioni folgoranti alle difese attraverso[/size][/font][/color][color=rgb(37,39,37)][font=Verdana][size=3]
una virtuosa e atletica varietà di soluzioni. Il peccato originale, per alcune scelte di mercato, sembra ormai rivelato a tutti, anche a coloro che credevano in ben altra qualità di squadra, semplicemente per una serie di sconfitte di misura, tutte però con lo stampino, pressoché segnate da profondi limiti ed equivoci, malignamente costanti al di là di tanta e imprecata sfortuna. Basterebbe riflettere sull’ingaggio di Deane (a quanto pare il secondo più alto, dopo quello garantito a Rautins), ora "rispedito al mittente" per riflettere su errori da sottolineare con la matita blu stando alla "grammatica cestistica". Se con il mare in burrasca serve un timoniere navigato o, meglio, un capitano di lungo corso, ecco Attilio Caja che conosciamo dai suoi esordi a Pavia e che abbiamo visto, attraverso una consumata militanza, su diverse panchine, di squadre dichiaratamente ambiziose e di altre meno, se non da "pronto soccorso”, da rasserenare e guarire. La sua prima mossa riguarda Lehto, un playmaker finlandese, atteso in città non senza l’ansia di scoprirlo per "saggiare" le intuizioni del nuovo tecnico che, stasera, s’affaccia a Trento con la lucidità di chi, non coinvolto dal passato, metterà tutta la perizia del suo mestiere, innanzitutto, cercando di "camuffare" pecche e carenze (gravate, peraltro, dall’assenza di Rautins) per far risaltare quei valori che restano. Ci si aspetta uno scossone, almeno nel temperamento, come, solitamente, accade con il cambio di un allenatore. Chiediamo troppo al buon Attilio? Qui è venuto per sollevare Varese dal precipizio e se stesso dall’oblio.[/size][/font][/color]


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