
Il COMMENTO DI FABIO GANDINI
Criticare Tom Bialaszewski per il gioco messo in pratica da Varese significa non aver capito nulla o quasi di quello che - cestisticamente discorrendo - sta capitando sotto al Sacro Monte da due anni a questa parte.
Il “corri e tira”, il “7 seconds or less”, il “Moreyball” - chiamatelo come volete - non lo ha scelto lui, quanto invece la scommessa tecnica che Luis Scola ha fatto nel cercare di tenere in vita il glorioso sodalizio che tutti amiamo e di farlo competere contro chi ha più mezzi. Piaccia o meno, questo tipo di basket è una scelta precisa, un mantra, un copione inviolabile, un prontuario dalle regole tutt’altro che casuali e tutt’altro che trascurabili. Ci viene in mente una bella serata dello scorso anno, alla Elmec, aperta ai soci de Il Basket Siamo Noi (associatevi, conviene!): El General in persona spiegò alla platea, in un’interessantissima relazione correlata di slide, quali fossero i tiri da prendere e quelli da lasciare, il ritmo da tenere, le difese convenienti e quelle non convenienti. E così discorrendo, fino al concetto - importantissimo - del “rapporto con gli avversari”, definiamolo così: “non siamo noi ad adeguarci a loro, ma il contrario”, fu il senso, "chiunque essi siano”.
Avendo interiorizzato in modo molto serio queste lezioni, pur con la fatica della novità e della resistenza che 30 anni di basket di senso contrario inevitabilmente fanno sorgere dentro, abbiamo convenuto che coach Brase ieri e coach Bialaszewski oggi non possano essere giudicati nel loro lavoro alla stessa stregua di qualsiasi altro allenatore assiso in passato sul pino di Masnago.
E così ha fatto la società quest’anno: con Frank Vitucci, Bialaszewski è stato l’unico coach a salvare lo stipendio tra le squadre in fondo alla classifica. Fortuna? Beneficenza prealpina? Buon animo? Macché: si è preso atto che la squadra a lui fornita a inizio campionato non fosse per nulla in grado di interpretare la pallacanestro imposta dall’alto. E allora, con grande onestà intellettuale e sforzi economici, si è messa a posto la seconda invece di cacciare il primo.
Ma quindi, chi guida le Varese dell’era Scola dalla panchina, che spazio ha di manovra? Sicuramente è chiamato a insegnare il sistema, compito né facile, né banale, a portarlo nelle corde dei giocatori, a metterlo sul campo affinché sia il più efficace possibile. Ma non ha alcun tipo di discrezione nel trovare un piano alternativo quando quello principale non funziona.
Non esiste un piano B. Punto. Lo “dicono” decine di interviste ai protagonisti, con risposte fotocopia. Domanda: “il sistema non ha funzionato contro la Virtus, perché non cambiare”? Risposta: “dobbiamo semplicemente farlo meglio”.
Capito?
Il nichilismo che all’interno di questo sistema ridimensiona grandemente il peso del coach nei destini collettivi, però, può arrivare a contemplare anche la gestione in toto delle partite? Ce lo chiediamo oggi, al termine di un match in cui la Varese di B. si è buttata via, sprecando un’occasione enorme al culmine di una prestazione di bassi ma anche di alti, fragranti nel permetterle di rimanere in gara su un parquet difficile come quello di Trento.
E allora si potrebbe dare la colpa di tutto allo 0/8 da tre di Mannion o alle 5 palle perse di Hanlan, ma è davvero difficile - stavolta - non darla anche alla composizione di alcuni quintetti e al tempismo dei timeout.
Perché in un finale punto a punto, la Dolomiti Energia è stata “lasciata vincere”? Dal 77-80 del 36’ al 90-82 del 39’ coach B. ha assistito in un’apparente impotenza allo sfacelo di una squadra che ha sbagliato un tiro dopo l’altro, ha incassato un punto (un punto? Una coltellata…) dopo l’altro, ha attaccato in preda a fuori giri perpetrati e letali. Nessun timeout, (la sospensione è arrivata solo a 45” dal termine), per di più con Mannion rimesso in ritardo sul parquet e Hanlan gravato di 4 falli.
Tutti bravi dal divano, ma non c’è sembrata una gran gestione nel caso di specie. Oggi e non ieri, cioè quando il mercato aveva creato un insieme assai rivedibile, oggi che Varese ha tutte le carte in regola (e lo ha quasi dimostrato) per vincere a Trento, non ci pare che l’allenatore sia riuscito a indirizzare la contesa nella giusta direzione. E ci sentiamo di scriverlo, pur continuando a detestare i fischi a lui indirizzati nell’entusiasmo generale.
E ancora ci chiediamo: l’allenatore del Moreyball ha almeno il dovere di fermare le “uscite di testa” che il sistema provoca, soprattutto nei finali di partita? Temiamo che la risposta sia “nì”, perché in occasioni simili ci è stato detto - ai tempi di Brase, contestato sul punto, ma anche più recentemente - che “il sistema” stesso predilige un timeout in meno piuttosto che uno in più, perché vuole cercare di lucrare un canestro in velocità e comunque dare fiducia ai giocatori e alla loro capacità di uscire da soli dai momenti di difficoltà.
Alziamo le mani.
Fabio Gandini
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