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Sconfitte sul campo e pure in panchina. Il commento di Fabio Gandini


simon89

Vince la fisicità sull’agilità. Vincono i quattro veri sui quattro falsi. Vince Repesa su Brase. 

Vince Pesaro su Varese, insomma.

Di poco, ma ancora una volta.

Di poco, ma ancora una volta, la regola si è dimostrata tale: Varese resta dietro le prime, il salto non le riesce. Ci prova con tutta se stessa, ma trova sempre un muro contro cui infrangersi e chissà se sarà mai lei a riuscire a infrangerlo.

Di prove ne sono arrivate davvero tante, anche se la speranza di fare quel passo in più svanirà solo dopo l’ultima sirena. Se non accadrà, beh… non sarà un dramma: a un certo punto - oltre l’entusiasmo, oltre l’amore, oltre il tifo, oltre la fede - bisogna essere oggettivi e consapevoli della propria dimensione, peraltro nel caso di specie più che onorevole visto che stiamo vivendo la seconda più bella stagione degli ultimi dieci anni.

E con lo stesso grado di consapevolezza, ma pure di onestà, bisognerebbe entrarci con tutti due i piedi nell’analisi di questa inferiorità rispetto al vertice, bisognerebbe capirla e ammetterla fino in fondo. E allora non va solo sottolineato come altezza e tonnellaggio, nonché classe pura (guardate Abdur-Rahkman: 40 minuti ben controllato, poi però il canestro decisivo lo ha segnato…), esperienza e spirito abbiano fatto la differenza a favore della Vuelle, ma anche che l’evidenza del match ci abbia fatto oggi grandemente preferire il croato Jasmin allo yankee Matt.

Pesaro è entrata in campo determinata, grintosa e soprattutto organizzata, preparata e consapevole di dove e di come colpire. Varese è invece apparsa smarrita, vittima sicuramente dell’emozione, ma anche senza apparenti contromisure alle mosse altrui (una su tutte: violentare Reyes in post basso con Charalampopoulos), troppo fedele alla sua parte testarda, illusa nel voler solo colpire da tre (4 soli tiri da 2, 10 palle perse), incapace in realtà di fare altro.

Un disastro, una perforazione unica, un confronto impari quei primi 10 minuti… Ed è naturale chiedersi cosa sarebbe successo senza di essi, senza una Varese così prona all’aggressione, senza quel -17. Perché poi si è giocato completamente alla pari. Siamo sempre lì: manca poco, ma manca. E quel poco, a volte, è nei dettagli…

Ma andiamo avanti: oggi come oggi la Openjobemetis ha un giocatore impresentabile in campo che si chiama Justin Reyes. Il portoricano non è più lo stesso dopo l’infortunio e chissà se il peso è solo nel fisico o alberga ancora di più nella testa. E allora lo capiamo o non lo capiamo perché la stampa tifosa (sì, tifosa ma non nata ieri…) e buona parte dei supporter da settimane chiede in ginocchio di dare qualche minuto anche a Giancarlo Ferrero? Il motivo è solo uno: perché Justin, così, non può stare sul parquet. Il bene che si vuole al capitano, perdonatemi, ma non c’entra un tubo…

Brase è sembrato capirlo solo a un passo dalla disperazione, solo con le spalle al muro, solo con i buoi mezzi scappati dalla stalla (e anche il primo cambio Caruso per Owens non ci è parsa una gran lettura del match…). A quel punto ci ha provato e Ferrero gli ha cambiato la gara, con la tripla, con la difesa (e va citato anche De Nicolao, molto meglio del pretoriano del coach, cioè Woldetensae), con la garra e con quella naftalina che si è trasformata nell’unica rivalsa che una persona, oltre che un giocatore, come lui conosce: sputare l’anima sul campo, per il bene di Varese.

Poi però l’americano in panchina c’è ricascato. Si è ancora una volta dimenticato di lui, lasciando Johnson dentro con quattro falli e così esponendosi al rischio che commettesse anche il quinto, fatto puntualmente accaduto e fatto che ha privato la squadra di un giocatore offensivamente fondamentale nel finale. Un altro errore, evidentissimo. E nell’economia del match decisivo.

Una partita è un mondo fatto di tantissime storie e di porte prese nel modo giusto o nel modo sbagliato. Ve ne abbiamo raccontate alcune, che non possano spiegare tutta la sconfitta, ma che sicuramente hanno fatto parte della stessa.

Varese inferiore a Pesaro, nel roster, in campo. E in panchina. Amen.

 Fabio Gandini


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