La capigliatura folta, crespa e a cespuglio non è concordata, o almeno così dicono i diretti interessati. Ma tra Vinnie Shahid e Gabe Brown il feeling sembra già buono: il play e l’ala americani sono vicini di età (classe ’98 il primo, 2000 il secondo) ma diversissimi nel percorso che li ha portati a Varese per giocare con la Openjobmetis. E oggi si sono presentati a Masnago.
Shahid conosce bene l’Europa, passando però da tornei minori (terza serie francese, Lussemburgo, Islanda) mentre per Brown finora l’esperienza è stata tutta americana, “annusando” la NBA (summer league, G-League, training camp) senza però mai arrivarci per davvero. Per questo, entrambi, intendono sfruttare la chiamata dall’Italia così da imporsi a un livello più alto di quello affrontato fino a oggi.
«Dopo il college, forse, non sono riuscito a entrare nel giro giusto degli agenti – spiega Shahid – ma se decidi di fare il giocatore professionista devi accettare gli ingaggi che ti danno. Sono passato da campionati più piccoli, è vero, ma ho sempre cercato di fare il massimo e di migliorare il mio livello: per questo la chiamata dalla Serie A è un premio a quanto fatto fino a oggi».
«Da parte mia – gli fa eco Brown – credo che la chiamata di Varese sia stata la migliore tra le opzioni che avevo quest’estate. L’obiettivo ultimo è quello di riuscire a entrare nella NBA e credo che qui ci sia l’opportunità di migliorare, di capire il gioco: il basket non è più un gioco solo americano, anche in Europa si possono imparare molte cose».
Tra i due, quello che ha i paragoni più pesanti da affrontare è senza dubbio Shahid che arriva a Varese dopo Marcus Keene e Colbey Ross. «Colbey lo conosco piuttosto bene: abbiamo amici in comune e poi lui viene dal Colorado dove io ho iniziato la carriera universitaria e torno talvolta d’estate ad allenarmi. Ci siamo anche sentiti prima che io firmassi a Varese. Keene lo conosco di fama: entrambi sono grandi realizzatori. Io posso fare canestro ma rispetto a loro sono più focalizzato nel coinvolgere i compagni, nel metterli in condizione di segnare».
A proposito di stare in campo, Brown si descrive così: «Il mio ruolo? 2-3-4 (guardia-ala-ala forte ndr) parlando di attacco, ma in difesa marco tutti dall’1 (il play) al 4. A Michigan dove ho giocato in NCAA ero considerato un leader tecnico e morale della squadra, vorrei essere lo stesso a Varese anche se ovviamente qui ci sono altre situazioni, giocatori diversi».
Alla classica domanda su quale sia stato l’impatto con il basket italiano, Shahid spiega: «Il campionato è più fisico rispetto a quello d’Islanda, il livello dei giocatori è maggiore ma anche la velocità che serve per stare in campo è differente. Sia per l’esecuzione dei giochi sia per le rotazioni in difesa: mi devo adattare a questo ritmo per tirare, per cercare i compagni ma anche per difendere sui pari ruolo».
Brown, forse “scottato” dall’aver affrontato una squadra dall’alto tonnellaggio contro Brescia (ha anche dovuto marcare il pivottone Bilan), dice invece: «Ho trovato un tipo di gioco più fisico rispetto a quello incontrato fino a ora. Con i compagni e con gli italiani ci facciamo spiegare le differenze, comprese le regole e le interpretazioni arbitrali. Però alla fin dei conti è sempre pallacanestro».
L’ambizione comunque, a entrambi non manca. «Il mio obiettivo? Dare ogni giorno di più per aiutare la squadra a vincere le partite e a vincerne più dell’anno scorso» afferma Brown. E Shahid rincara: «La maggiore ambizione è quella di vincere il campionato: so che può sembrare troppo grande o scontata, ma si va in campo per quello».
Damiano Franzetti
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