Per la Legabasket Nico Mannion è diventato un giocatore della Pallacanestro Varese alle 10.53 di giovedì 21 dicembre 2023: sette minuti prima dello scoccare delle 11, termine ultimo per rendere validi i tesseramenti in vista della 13esima giornata di campionato.
È stata una corsa contro il tempo, un’orchestra sinfonica di coincidenze aeree, caselli autostradali, documenti in arrivo e tanta voglia di fare. Un’impresa burocratica degna di quella di mercato.
Domani alle 20.30, contro Pesaro, alla Vitrifrigo Arena, oltre all’era Red Mamba, inizierà per la Openjobmetis una corsa salvezza che la vede finalmente attrezzata allo scopo, almeno sulla carta. Due mosse al tavolo: una mano ha scartato, l’altra ha preso. Entrambe sono state coraggiose, dispendiose e inestricabili l’una dall’altra, a certificare che qualunque sia il tipo di gioco scelto, la linea immaginaria ma piena di contenuto che unisce il playmaker al pivot è stata riconosciuta e anche un po' ritrovata come l'asse in grado di tenere in equilibrio qualsiasi mondo a spicchi.
Anche un alieno a digiuno di pallacanestro sarebbe arrivato alla risoluzione di cambiare il povero Willie Cauley-Stein, atleta e persona rispettabilissime ma finite in una parabola di vita complicata e non da quest’anno. A noi attiene solo il giudizio del campo e il parquet ha dato indicazioni chiarissime, inequivocabili, non fraintendibili: forse non adatto agli sviluppi offensivi del Moreyball, che ai suoi adepti chiede una velocità di blocco e di taglio molto più elevata, di certo - d’altra parte - mai messo nelle condizioni di rendere per le proprie capacità offensive, Willie non ha tuttavia pagato per quanto accaduto nella metà campo d’attacco, ovvero per fatti tecnici che hanno ovvie colpe condivise, ma per tutto quello che è accaduto in difesa.
Una squadra che ha WCS a dirigere il traffico sotto le plance si consuma come una candela fino a spegnersi all’ultimo posto: questione di mancanza di voglia, di determinazione, di intimidazione, di continuità, di velocità, di reattività, di coscienza del proprio ruolo. Il Cauley-Stein della difesa sarebbe un incubo per tutti, ma per chi gioca il basket che vuole giocare Varese è come andare in auto a 200 all’ora, di notte, con i fari spenti, in una strada che finisce in un burrone.
Scola, Zach Sogolow e Maksim Horowitz, al di là delle dichiarazioni che hanno provato a difendere sia la scelta societaria che il giocatore stesso, erano consci da mesi di aver sparato un colpo completamente a salve con lui. E le hanno provate tutte prima di tornare sui propri passi: supporto psicologico, concessioni, messa a disposizione totale, “coccole” di ogni tipo, dal golf in giù, addirittura tavoli tecnici per capire come meglio favorirne l’integrazione. Nulla è mai cambiato, fino al momento in cui ci si è accorti che una perseveranza di intenti avrebbe messo in pericolo non solo la sopravvivenza tecnica della squadra, ma anche la coesione umana interna al gruppo.
Carta scartata: prossima mano.
Nella carta presa, invece, non c’è solo l’ammissione fattiva (che poi è l’unica che conta) di un altro errore in sede di costruzione (troppe guardie e tutte simili), ma anche tanto dell’orgoglio, della caparbietà e dell’alone di grandezza di un personaggio come El General. Nessuno qui, dalla stampa ai tifosi, ha considerato questo: Scola, per la storia che ha avuto, per la persona che è, non si potrà mai accontentare della mediocrità. E allora - più che dietro alle (poche) parole e a un attendismo che diventa necessità se non hai le possibilità di fare e disfare dall’oggi al domani - era dietro a quel volto plumbeo che il nostro aveva prima, dopo e soprattutto durante le partite che bisognava scorgere la nascita dei germogli di una mossa in grado scompaginare lo status quo.
Cercando e corteggiando e infine firmando Mannion, Luis non si è limitato a intervenire: è andato a scovare il jolly nel mazzo più difficile, sfruttando l’eco ancora vivo della sua grandezza.
Decisivo il legame con Vitoria, sua - vera - casa europea prima di Varese, il nido di un professionista da lì partito per conquistare il globo.
Decisivo il suo carisma nel convincere il giocatore - che, a dispetto dell’età, ha già saggiato l’NBA, l’Eurolega, i vertici e le coppe alzate - della necessità di compiere due passi indietro come conditio sine qua non per farne poi dieci avanti.
Decisiva l’abnegazione - nel voler insistere su una strada proibitiva - nascente dall’intuizione che in un avvento come quello del Red Mamba si sarebbero concentrati tanti plus: l’italianità, le regole (vedi il problema dei visti), il progetto tecnico, l’eco mediatica e l’esaltazione di un popolo talmente appassionato da essere capace di riaccendersi in un attimo, anche dopo aver trangugiato sconfitte.
Non esiste generale, però, senza un esercito. Quando Scola si è girato per vedere chi lo avrebbe seguito, ha trovato una sfilza di mani alzate. Il suo padre putativo varesino, Toto Bulgheroni, Alberto Castelli, un’addizione silenziosa ma cardinale dell’ultimo anno come il vicepresidente Paolo Perego, probabilmente alcuni sponsor: tutti insieme (e grazie anche a un piccolo tesoretto risparmiato in estate) non hanno fatto solo quello sforzo economico collettivo sensibile di pagare una stella nascente come Mannion non lontano dal suo valore di mercato (senza troppo aggravare, al contempo, l'entità dei debiti), ma anche e soprattutto la dimostrazione di una società che forse non è mai stata così unita.
Una società in cui, dietro all’impronta quasi totalizzante dell’argentino sotto molteplici aspetti, ci sono professionalità che hanno messo a disposizione la loro enorme esperienza per assecondare un cambiamento che si vorrebbe epocale, anche se - e lo abbiamo chiaramente - è irto di ostacoli, pericoli e possibili crisi di rigetto.
Correggere gli errori è sempre sintomo di intelligenza, ma Scola e Varese sono andati anche oltre nel caso di specie: prima di scaricare le responsabilità sugli altri, le hanno prese su di sé. E così, invece di silurare Tom Bialaszeski, assecondando nel modo più rapido e scontato la sete della piazza di un colpevole per gli scarsissimi risultati ottenuti finora, hanno prima provato a mettergli tra le mani una squadra fatta non solo come il dio del basket comanda, ma anche finalmente più adatta a giocare secondo lo “statuto” introdotto un anno fa e mai messo in discussione. E chissà che non sia nemmeno finita qui…
Fossimo in B. saremmo grati, sollevati ma anche un po’ preoccupati: con un playmaker in più, con il fantasma della difesa in meno e con un parco esterni la cui competitività non va ancora una volta nascosta, le scuse per la panchina da qui in poi staranno a zero.
Pesaro, atto primo. Per una volta, in sede di presentazione, l’avversario sarà l’ultima cosa che conta. E se avete letto fin qui, avrete capito perché. Sui marchigiani basti dire che, senza il solito regalo stagionale di Milano e la vittoria contro la Treviso pre-Olisevicious, i loro punti in classifica sarebbero 6, gli stessi della Openjobmetis. Basti dire che sono una squadra che cammina, che prova a difendere (non sempre riuscendoci) per davvero ma che, non raramente, trova giornate negative in attacco, pur avendo talento: Bamforth top scorer, Toté alla miglior stagione in carriera, l’ex Tambone sempre più importante nelle rotazioni così come l’uomo del gran rifiuto Visconti. Ora c’è anche Andrea Cinciarini, 10 assist alla prima uscita, non a caso una vittoria sul parquet non facile di Pistoia. Attenzione: un elemento così sa rischiarare ogni cielo dalle nuvole.
Non sarà una passeggiata, né il match di stasera, né tutto il percorso: la Varese che ha giostrato sin qui ha dimostrato di non valere la Serie A e la graduatoria del campionato lo dice chiaramente. Per qualche ora, tuttavia, è ancora consentito lasciarsi cullare da quelle sensazioni - un misto di speranza, esaltazione, sollievo, ambizione e fede - che solo i nuovi inizi sanno regalare.
Fabio Gandini
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