Mike Arcieri legge “all’americana” il derby di Santo Stefano tra Milano e Varese. Il g.m. biancorosso analizza le matrici statunitensi dei rispettivi stili di gioco: se, come spiegato ieri da Ettore Messina, l’OJM si rifà allo stile degli Houston Rockets, i 5 anni da assistente di Gregg Popovich del coach dell’Olimpia lo hanno impregnato dello stile Spurs, la più europea tra le squadre NBA.
«La cultura fondamentale, nell’importanza del lavoro e nella cure dei giocatori, è molto simile tra San Antonio e Houston, così anche tra Varese e Milano. Sul campo, però, Spurs e Rockets giocavano diversamente e allo stesso modo anche noi e l’EA7 pratichiamo stili diversi. L’Olimpia ha tanti giocatori abituati a un basket ragionato sui 24 secondi. Il nostro stile è opposto, speriamo di poter impostare il nostro ritmo anche se sarà durissima contro una squadra fortissima e motivata dopo la sconfitta di Trento. Ma questa partita potrà dirci chi siamo e fino a che punto stiamo lavorando bene».
Di sicuro ha lavorato bene l’asse Scola-Arcieri-Brase a partire dalla costruzione della squadra...
«L’allineamento tra proprietà, manager e allenatore è la cosa più importante, perché permette di trasmettere una filosofia condivisa. Il nostro stile non può contemplare giocatori che non possono correre, saltare o tirare. Sulla base di ciò abbiamo cercato già in primavera elementi adatti per applicare le nostre idee. E i risultati si vedono».
Al di là dei risultati, l’OJM sta costruendo una cultura americana con un modo di lavorare fortemente identitario.
«La cultura che stiamo cercando di creare è basilare per vincere le partite con una squadra che fa le cose in cui crediamo: i risultati sono la conseguenza diretta di quel che stiamo cercando di creare. Comprende lo stile di gioco, ma pure il modo in cui ogni giorno prendiamo cura di noi stessi in tanti aspetti. Settimana dopo settimana vediamo segnali positivi, non solo in termini di risultati».
L’azienda player-focus ha investito molto per far rendere al meglio i giocatori...
«Tutto quel che è stato allestito è a disposizione dei giocatori per metterli in condizione di rendere al meglio. Io non segnerò mai un canestro, ma faccio parte di un sistema che vuol ottimizzare le loro qualità: dalla preparazione fisica alla sala pesi, al lavoro in allenamento e gli analytics che ci servono per analizzare dove indirizzare lo sviluppo. È molto più facile spiegare una filosofia con la condivisione piuttosto che impartendo ordini: la collaborazione serve a capire che certe cose sono utili sia per il singolo che per la squadra. Noi siamo una squadra, ma pure il singolo vuol migliorare: qui c’è l’opportunità di farlo e quando il giocatore sposa questa idea arrivano serenità e felicità>.
È un sistema di lavoro che i giocatori sembrano apprezzare molto.
«Gli americani trovano un sistema cui sono abituati, ma tutti i nostri cestisti, compresi gli italiani, apprezzano molto quel che stiamo facendo offrendo loro la possibilità di migliorare. Di ciò siamo contenti: non siamo gli unici a fare player development ma ci rendiamo conto di fare le cose in maniera un po’ diversa. I giocatori sono contenti e hanno fiducia in quello che gli chiediamo di fare».
Il gradimento di italiani e stranieri potrà essere un vantaggio in sede di mercato?
«Essere attrattivi può renderci competitivi per far valere di più le nostre risorse. Il caso di Markel Brown è esemplificativo: poteva guadagnare di più altrove, ma ha capito che Varese poteva essere il posto giusto per giocare nel modo che preferisce e disputare una grande stagione. Speriamo di poterlo confermare anche nella prossima annata, ma oggi non si sa. Però se un giocatore ci vede come un’opportunità è un vantaggio. Lo sarà ancor di più se nella stagione prossima potremo giocare una coppa, obiettivo strategico».
Giuseppe Sciascia
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