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Varese dà l’addio a De Pol


Lucaweb

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di G.C.P.

Con la sua uscita di scena, se ne va un altro pezzo di storia. E’ il giorno dell’addio a De Pol, previsto e scontato, fors’anche inevitabile, al di là delle volontà del grande capitano che, tempo fa, su queste colonne, s’augurò d’essere la solita vecchia roccia sulla quale costruire la nuova squadra. Ma, pure, con franchezza, disse di pretendere uno spazio garantito, non sentendosi affatto un giocatore finito.

Gli ultimi trascorsi, venerazioni e cori a parte, sono parsi un po’ come sentenze inappellabili, anche se De Pol aveva legittimamente qualche cosa da ridire e recriminare sul campo. Ogni giudizio su di lui, in questo delicato momento, è soggettivo, si può condividere la decisione della società che lo ha lasciato libero, come si può eccepire per una lontananza che mette un po’ di tristezza.

Qui Sandro, che ha 36 anni, ha fatto il suo tempo, soprattutto, nel momento di una svolta epocale, dovuta a un evento imposto da una penosa retrocessione. La quale, sia chiaro, impone un certo azzeramento per una ragionevole revisione e una ripartenza costruttiva.

De Pol è un pezzo grosso e non solo per il suo considerevole ingaggio, sicchè sarebbe stato impensabile affidargli una particina che, seppur come chioccia, avrebbe probabilmente mal sopportato al piano di sotto del grande basket, sentendosi ancora addosso lo spirito dell’eterno guerriero.

Autostima e senso del dovere meritano indubbiamente un riguardoso trattamento tecnico che, proprio, Varese non gli avrebbe potuto garantire.

«E’ un addio molto malinconico e imbarazzante», spiega Cecco Vescovi che, ieri pomeriggio, ha incontrato il suo ex compagno della Stella per dar conto delle scelte del club biancorosso.

«Che sono dolorose e sofferte nei confronti di chi ha sempre spremuto oltre il 100% delle proprie risorse per questo club e in tanti anni. Probabilmente De Pol - osserva il nuovo direttore generale - s’immaginava un epilogo simile ma verosimilmente avrà avuto ben altra speranza in cuor proprio.

Qualche cosa di simile capitò a me anni fa, vorresti mai sentirti dire che sei libero di fare tue scelte, quindi diverse dalla squadra per la quali ti batti da una vita. Non è stato affatto semplice comunicargli che Varese continuerà senza di lui, avendo preso la società ben altre strade. Non c’è alcun giudizio critico né tagliente nei suoi confronti, come giocatore, conosciamo tutti De Pol, in campo e fuori, seppur di fronte al tempo che è crudele. Fossimo rimasti in serie A, probabilmente la sua continuazione sarebbe risultata più pertinente nel roster dei dodici, in una squadra di vecchio corso. Ora qui stiamo seguendo nuove filosofie e scelte, dovendo costruirci, per volontà o necessità, un nuovo ciclo, quindi un domani dalle radici solide».

Vescovi ne parla con una piccola ferita al cuore, sembra sincero, non solo per le espressioni che usa, soprattutto per il tono che non è di chi, finalmente, è riuscito a tagliare un ramo secco: «Non è un bel giorno oggi per tutti noi (società e tifosi) per l’affetto che ci legherà sempre a Sandro, cui auguriamo tanta fortuna nelle stagioni che gli restano per chiudere una grande carriera».

Accadde a Cecco Vescovi e ad Andrea Meneghin, due varesini che continuano ad avere pelle biancorossa, seppur con dimensioni diverse, nella società che li ha allevati, cresciuti, visti partire e tornare, quindi chiudere con il basket giocato.

Accade ora a De Pol che, magari, potremo ritrovare come avversario e, se avverrà, quel giorno, il palasport lo accoglierà con eterna gratitudine.

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