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Chiapparo:"In campo voglio dieci lottatori. Che danno tutto"


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Scritto da Francesco Caielli

L’uomo della Stella, l’espressione della varesinità trasferita al

basket, la serietà di una persona sincera. Gianni Chiapparo è tornato

a casa, nel suo mondo, nella sua Pallacanestro Varese. Gianni

Chiapparo è tornato al suo posto.

Ci racconti com’è nato il suo ingresso in società.

Direi che è stata la naturale prosecuzione di un rapporto nato lo

scorso anno. Io ero in Robur, e fu organizzato un incontro tra noi e

la famiglia Castiglioni. Per definire alcune strategie per i settori

giovanili, per provare a fare qualcosa insieme, e per mettere fine a

un periodo di guerra e rivalità che – stupidamente – si era creato

tra le due società. Alla fine di quella riunione io la buttai lì <Se

avete bisogno di qualche consiglio, chiedete pure…>. Incominciò tutto

così, nei mesi seguenti i rapporti continuarono.

Poi la cosa è cresciuta, fino a diventare ufficiale. Quando è nata

l’idea?

Dopo Pasqua, abbiamo incominciato a parlarne seriamente. Abbiamo

analizzato la situazione della società, e convenuto che mancasse una

figura in grado da fare da tramite tra la proprietà e l’area tecnica

(direttore sportivo, allenatori, giocatori). Il tutto è nato dalla

considerazione che Claudio Castiglioni fosse troppo impegnato con le

aziende di famiglia (e meno male che ci sono quelle, altrimenti non

saremmo qui a parlarne), e che la sua esperienza nel campo sportivo

fosse un po’ limitata.

Cosa l’ha convinta ad accettare?

E’ bastato poco. Quando sento il fascino della sfida, io mi butto.

Sempre. Ma devo dire che ha giocato un ruolo importante la grande

passione che ho visto in Claudio Castiglioni. Ci tiene a fare bene,

davvero. Anche Gianfranco, un po’ più ruvido, ma è un uomo d’altri

tempi. Uno che sta attento ai rapporti con le persone, con i

giocatori. Mi pare di rivedere situazioni, piacevoli, di anni passati.

Quali saranno le linee base del vostro lavoro?

Quelle che hanno portato il nome di Varese in giro per l’Italia e per

l’Europa. Città di lavoratori seri, città industriale e operosa,

professionale. Lo sport non è solo il giocattolino di famiglia, ma

una vera e propria impresa, alla quale dare continuità.

Obiettivi?

Siamo qui per vincere. Vogliamo ottenere risultati facendo divertire

la gente di Varese, regalando ai tifosi una squadra di lottatori.

Conosco bene la mia città: i varesini chiedono solo di andare al

palazzetto e vedere dieci giocatori che danno tutto. Poi si può

vincere o perdere, ma se c’è l’impegno totale, la gente è contenta.

Varese è una città molto evoluta dal punto di vista cestistico.

Sapete qual è la cosa che fa arrabbiare di più un varesino? Vedere un

giocatore di valore, forte, che sul campo non dà tutto.

Cosa devono aspettarsi i tifosi di Varese?

Ho detto che vogliamo vincere, ma questo non significa che porteremo

a casa lo scudetto il prossimo anno. Di certo posso dire che squadra

e allenatore entreranno in campo per vincere tutte le partite, non

partiremo mai sconfitti, contro nessuno. La nostra squadra dovrà

essere in grado di trasferire sul campo i sacrifici che fa

quotidianamente in palestra. Cercheremo di creare un grande gruppo,

capace di esaltarsi nelle vittorie e di reagire compatto alle

difficoltà. Via gli egoismi, via le primedonne, concetti vietati qui

in Pallacanestro Varese.

Che tipo di giocatori sceglierete?

Gente che capisca che deve giocare prima per Varese, poi per loro

stessi. La nostra società è stata spesso trampolino di lancio per

giocatori che da noi sono esplosi e hanno avuto carriere luminose.

Questo per noi è un grande orgoglio, ma se dovessi accorgermi di

avere in squadra qualcuno che pensa di essere qui a svernare, non ci

penserei due volte a mandarlo via all’istante. I nostri giocatori

dovranno avere, sempre, la faccia determinata per vincere e il

sorriso sulle labbra. Per dare qualcosa al nostro pubblico, e per

ricevere qualcosa da loro.

Un aggettivo per la Varese che sarà.

Garibaldina. Che significa coraggiosa, sprezzante del pericolo,

battagliera. Ma anche capace di pensare in grande e di lottare per un

sogno che all’inizio pare impossibile e irraggiungibile. Ricordate i

Roosters? Quando dicemmo che volevamo vincere lo scudetto la gente

rideva e ci davano dei matti. Alla fine abbiamo riso noi, però.

Questo sarà il nostro credo.

Qual è il segreto di Gianni Chiapparo?

Per quanto mi riguarda non mi stancherò mai di pensare a quello che è

il mio motto. C’è un verso di Pessoa, che dice “Essere come l’onda

del mare, che trova sempre la forza per ricominciare”. Le difficoltà

e le cadute mi esaltano e mi fanno rialzare ancora più forte. Mi

piace pensare che questa sarà la filosofia della squadra. Io amo

mettermi sempre in discussione, odio adagiarmi e sedermi, altrimenti

non me ne sarei mai andato via, tre anni fa.

Non sarà facile trovare giocatori in grado di sposare questa

mentalità, non crede?

Abbiamo deciso di confermare gente come Hafnar e Fernandez proprio

seguendo questo tipo di filosofia. Loro sono dei lottatori, dei

garibaldini. Per lo stesso motivo abbiamo scelto di lasciare libero

Collins.

Che ne sarà di Garnett?

Transeremo il suo contratto, o almeno stiamo lavorando per farlo. Se

Marlon non tornerà a Varese nessuno si strapperà i capelli, e nemmeno

lui, anche perché non ce li ha…

Come vi state muovendo sul mercato?

Oioli è tornato dagli Stati Uniti, ha visto un sacco di giocatori, ha

parlato con gli agenti e ora abbiamo le idee più chiare. I prezzi

stanno via via scendendo, e quando saremo convinti di avere trovato

l’uomo che fa per noi lo prenderemo. Torniamo al discorso di prima:

noi vogliamo gente disposta a immolarsi, a sacrificarsi. E questa

predisposizione non la si vede guardando le videocassette. Vogliamo

conoscere tutto dei giocatori che sondiamo: il carattere, le

amicizie, le abitudini. Non lasceremo nulla al caso e non avremo

paura di rischiare, perché dovremo prenderci la responsabilità di

scegliere.

Cosa chiederà al campionato di Varese?

Dovremo essere garibaldini in casa, ma soprattutto fuori. Vincere in

trasferta è sempre più difficile, ma quando riesci ad acquisire la

mentalità per farlo con continuità, allora significa che sei pronto

per conquistare qualcosa di grande.

“Gianni Chiapparo, una vita per il basket” non è una frase fatta, né

una forzatura. Una vita piena di ricordi. Il più bello?

Troppo facile dire la Stella. Mi commuovo ancora nel pensare alla

gioia della gente dopo quella vittoria. O agli occhi di Meneghin e

Vescovi, due che di solito si tengono dentro tutto: erano radiosi. E

poi i ritorni dalle trasferte di Bologna e Treviso, nelle semifinali

e nella finale, quando vedevamo le scritte luminose sui cartelli

delle fermate degli autobus che dicevano “grazie ragazzi”, e insieme

a Galanda dicevamo <Và che roba!>. Ho ancora i brividi.

Una persona.

Avrò sempre davanti a me il sorriso e gli occhi di Chicco Ravaglia.

Adesso sarebbe un grandissimo della nostra pallacanestro. Ricordo il

suo piacere di giocare, il suo arrivare in palestra con la voglia di

prendere in mano il pallone. Sorrideva sempre. Non ho più conosciuto

nessuno con la sua gioia, la sua voglia di vivere giocando a

pallacanestro. Resterà sempre un ricordo bellissimo, ogni attimo

passato con lui.

Francesco Caielli

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