Lucaweb Posted June 15, 2008 Share Posted June 15, 2008 Come trovarsi improvvisamente presidente, eletto da tanto papà nel bel mezzo di un discorso confidenziale fra amici. Claudio Maria Castiglioni, anch’egli a bordo piscina, a casa sua, è sobbalzato a un annuncio inatteso, scrutato simultaneamente da molti sguardi. Tanta è stata la sua meraviglia che gli è scappato un maldestro interrogativo: «Ho forse capito bene?». Sicuramente non eravamo a "Scherzi a parte". Dunque, se un figlio non sa quali intenzioni, che lo riguardi, abbia il padre, v’è da pensare a un classico dell’irrazionale, se il personaggio in questione non fosse Gianfranco Castiglioni, passionale da capo a piedi, quindi capace di improvvisare con il cuore a fior di labbro. Sentimenti a parte, il grande patron sceglie l’adunanza, del Perdono di Assisi, tra uno stuolo di frati e tavolate imbandite con tanti amici alle sedie, per abdicare, come farebbe un monarca davanti ai suoi sudditi fedeli. Claudio Maria, fors’anche un po’ confuso, almeno lì per lì, pensa e ripensa, quindi prende in parola il sacro verbo del padre, apparendo immutabili le sue già gravose responsabilità. «Sino a ieri - osserva il giovane Castiglioni - operavo come se fossi..., ora lo sono, cioè presidente, difettibile come prima, seppur scaraventato, oneri e onori, in prima fila. Prima avrei potuto osservare: "Mi manda papà". Adesso non ho paracadute che tenga quando si parla di Varese e del suo presidente. Credo che ognuno debba fare la propria strada, anche se la mia presidenza (a settembre sarà ufficiale) rimarrà attagliata alle strategie di gestione che hanno caratterizzato la società sin qui». Castiglioni junior, partito dalle retrovie, come fa notare, era già esposto alle responsabilità di gestione di squadra e di mercato, tant’è che, ora come ora, solo una formalità caratterizza la propria posizione: «Sono abituato a essere commentato, giudicato e criticato, gratuitamente o no, non cambia nulla in questo senso. Che cosa farà il papà d’ora in poi nella Pallacanestro? Credo che sarà sempre lui nelle sue pittoresche ma sensate esternazioni, anzi le sue "sortite", simpatiche anche quando sono staffilate, troveranno sempre più un tono di rara saggezza se sarà, come spero, presidente onorario». La società cerca un po’ di snellezza giovanile nel nome del padre, evidentemente non ha sulla sua strada alcun capolinea, almeno nelle vicinanze, in un momento in cui un certo signor Seragnoli dichiara d’essere finalmente un uomo felice dopo aver ceduto la Fortitudo che dirigeva da quattordici anni. Varese, per ora e in nel prossimo futuro, non teme bufere societarie sotto i canestri, aspettando quel risultato che la faccia impazzire di gioia, come nel 1999, anno della Stella. Un risultato impossibile, è vero, ma una semifinale, anche perdente, farebbe sussultare d’entusiasmo una città che vive, anche sbagliando, di ricordi. E uno dei "Ragazzi del ’99" è tornato, fresco d’annuncio, al di là di un contratto che arriverà puntuale, accettando Giacomo Galanda l’offerta di Varese, preferita ad altre piazze. Il ritorno di uno degli alfieri dell’ultimo incredibile scudetto, indubbiamente, fa un bell’effetto per una "piazza" che, come tutte le tifoserie d’Italia, ha bisogno di nomi forti per credere in una svolta. Resta da stabilire l’entità del suo contratto, soprattutto la sua durata che sarà di più anni. Ma quanti? Galanda, uomo d’oro, con Recalcati (scudetti a Varese, Bologna e Siena), per dire dei suoi podi continentali e olimpico in azzurro, è uno di quei reduci di Milano la cui disgraziata stagione ha gettato discredito e ombre su un po’ tutte le vedettes dell’Armani. Galanda, lasciato libero dall’Olimpia e dalla Nazionale, quindi in un momento particolare, calando terribilmente il suo rendimento, ha scelto Varese evidentemente per riprendere un discorso interrotto e sul più bello, potendo approfittare di un pubblico che non dimentica mai i suoi campioni, a costo di rimetterci per troppa e scontata fiducia. Sentimentalismi a parte, il nuovo presidente non ha dubbi nell’apprezzamento: «Giacomo non è un atleta finito, lo sorreggono la sua carta d’identità e la sua storia, potendo riproporsi in una squadra che ha bisogno di gente di personalità, quindi di spessore. E Galanda sa che cosa significa giocare a Varese, quindi sentire, sotto pelle, questa profonda appartenenza. Tecnicamente e fisicamente, apprezzando i suoi 210 centimetri per 110 chilogrammi, Giacomo sarà molto prezioso nel fra crescere il saettante ma leggero Howell, avendo capacità di opporsi, a intimidazione, dei centri avversari». Claudio Maria Castiglioni parla come un "dottorone del tempio", (cestistico s’intende), pronto a sostenere abilmente un contraddittorio a chi gli fa notare gli 8 punti di media a gara, all’attivo (si fa per dire) nell’ultima stagione di Galanda e con quel che costa d’ingaggio... «Da lui ci aspettiamo - è ancora il giovane presidente che parla - una decina di punti a partita e quella sostanza che può far lievitare di valore le altre materie prime. Credo che Varese riuscirà a mettere insieme un buon gruppo, anche per fatturato punti, avendo già un Carter che, più "cattivo" e spregiudicato di Garnett, ne promette una quindicina». Mancano ancora un’ala e un play per riferirci a veri effettivi. Il taccuino della società non ha fogli bianchi da riempire, sotto la voce ala ci sono i nomi dello statunitense Holland (ex Teramo) e dell’ucraino Drozdov (sei stagioni nelle file del Pau Orthez con quasi dieci punti di media a gara nell’ultima Eurolega), quindi di altri elementi, per ora segretissimi. Holland è un "magatello", diremmo noi, ma stavolta non per disprezzarlo, certo è che ha bisogno di razzolare, libero e sciolto, fin che può e non perché gli pare. Ma Ruben Magnano lo arruolerà o gli darà licenza di vivere...? Artur Drozdov, classe 1980, due metri scarsi, si fa preferire per la sua grande linearità, segno di un giocatore senza cerbottana ma, tecnicamente, pulito ed essenziale, di stazza europea. «Siamo sul pezzo o meglio su questi pezzi, avendo di che scegliere anche nel ruolo di play. Stavolta l’abbiamo presa comoda ma chi va piano, va anche lontano», chiude Claudio Maria Castiglioni con un ottimismo, che non si può definire cauto. Giancarlo Pigionatti Link to comment Share on other sites More sharing options...
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