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La chiarezza dei Castiglioni sta sui muri


Lucaweb

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di GIANCARLO PIGIONATTI

Tre famiglie in cinquant’anni. Tutte di imprenditori varesini. In verità era milanese d’origine Giovanni Borghi ma fu a Comerio che diventò re dei frigoriferi. Fu una fortuna per Varese quel caso del destino che portò mister Ignis qui da noi: una cinquantina di chilometri più in là o più in giù e mai avremmo avuto una gloria mundial nella pallacanestro. Poi vennero i Bulgheroni che, in un Ventennio, con una Stella, fecero brillare quella grande vecchia storia. Quando essi lasciarono, avendo fatto il loro tempo, trovarono pronti alla successione Gianfranco Castiglioni che afferrò con decisione il testimone. Da allora sono passati otto anni, più ardui che in passato, innanzitutto per una competitività più spessa e accesa, legata al reclutamento di più americani, quindi a scelte che, se non felici, provocano disastri. La famiglia Castiglioni, poco competente agli inizi ma sempre molto appassionata, s’è affidata spesso a persone sbagliate nei posti giusti spendendo tanto e combinando talvolta poco. Resta però incommensurabile il valore del suo spirito di servizio nei confronti della propria città. Il basket, qui, è un fenomeno anche culturale e sociale: non esiste Varese senza la sua squadra, anche per l’immaginario sportivo italiano. I Castiglioni hanno assicurato una continuità senza la quale oggi al palasport vedremmo qualche rassegna bosina o mostra canina.

Già, i tifosi si identificano nell’immagine di una Varese diversa dagli altri club per quel suo passato gaudioso se non che, quando si mormora di un possibile disimpegno di questa famiglia, non c’è appello che tenga, a parte qualche mobilitazione d’intenti che fa solo rumore ma soldi veri nisba. Dov’è mai il furoreggiato blasone, se non attrae investimenti? Gianfranco Castiglioni, a sentirlo, avrebbe passato la mano già tre anni fa, se non che nella consueta festa d’estate, nella sua villa, per il Perdon d’Assisi, egli sa essere un amabile anfitrione nel segno di quella pallacanestro della quale tutti gli invitati sono appassionati, riuniti nell’occasione attorno a qualche riserva, però di serie A. Il bel giocattolo continua nelle sue mani al di là di qualche lamento (inevitabile nell’essere sempre solo a sopportare enormi sacrifici) non senza l’orgoglio di un varesino che fa contenti i suoi concittadini che affidano emozioni e sogni alla squadra di basket. I Castiglioni sono fatti a loro modo, magari non rispettano certe scadenze ma sono gli unici imprenditori su piazza, credibili e concreti, insomma dei mecenati, anche per forza. La pallacanestro italiana ebbe a conoscerli meglio, quasi stupita, allorquando, in una sola botta, anni fa, versarono quattro milioni di euro per regolarizzare la posizione della società. Da quel giorno tutti conoscono la loro capacità di affrontare brillantemente situazioni estreme che, in altre città (e ve ne sono molte che piangono ancora), avrebbero azzerato squadra e storia. Fece persino simpatia lo stupore di Gorenc, ospite con i compagni, di Castiglioni alla Franco Tosi, dove l’allora presidente accompagnò i giocatori, su automobiline elettriche, tra capannoni e ciminiere in uno stabilimento vasto come una città. Quando lo stipendio tardò di qualche giorno, lo sloveno si stizzì di brutto, per un "pugno di dollari" dovutogli da un personaggio così potente.

Già, Varese c’è, ancora in serie A. Per chiarezza può bastare la "presenza fisica" dei Castiglioni, riconoscibile anche nei tanti edifici, che essi posseggono in città e che simboleggiano capacità di risorse e credibilità negli impegni, che nessun altro, sino a prova contraria, sembra in grado di garantire. Ci sono proprietari di squadre, nel calcio come nel basket, importati da altre piazze, con i quali rischi, un brutto giorno, di cercarli per mare e per terra con il timore di imbatterti nella segreteria di un cellulare che recita: l’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. Ora come ora ci fidiamo solo dei Castiglioni, dovendo chiedere loro un nuovo sacrificio, che non dovrà "strangolarli" se soltanto qualcuno si facesse avanti con soldi veri, anche per una piccola ma significativa parte in società. Se un club, per competività, è come una piramide, la base è garantita ma, se si vuol crescere, per arrivare più in alto, ci vogliono altri pezzi e altri sforzi. La morale ci riporta a quale Cimberio troveremo in serie A per non dover solo pretendere da chi già dà e sul serio.

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