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Dopo l'impresa non si può aver paura di vincere


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[color=#000000][font=Verdana][size=1][size=3]San Giuan fa minga ingan. Non v'è sintesi migliore di questo detto per descrivere il sofferto ma esaltante successo di Varese, pervenuta a gara-6 con la forte sensazione d'esser stata maltrattata da un apparato forse troppo sensibile al potere politico di Siena. Questa, almeno, è stata la percezione dei tifosi biancorossi, sdegnati alla notizia di un ribaltamento delle squalifiche inflitte a Brown e Hackett, "rimessi" in campo con una nota di deplorazione. Con i due assi senesi al loro posto, i cattivi pensieri hanno spopolato tra le file della tifoseria, già in ansia per le scoraggianti condizioni fisiche dell'irrinunciabile Dunston (foto Blitz). Fine della corsa per ingiustizia e malasorte: era questa la supposizione più malinconicamente gettonata. Ma, come spesso accade nello sport, il campo - unico vero giudice - ha fatto piazza pulita di presunti complotti e strani teoremi lasciando alle squadre una pulita contesa per la serie "vinca il migliore". Cioè Varese che nell'occasione ha trovato un arbitraggio che una volta si definiva da trasferta, quando non fosse stato casalingo, quindi il suo superman Dunston, come guarito dopo un viaggio a Lourdes nonché grondante di canestri, almeno quanto è bastato a togliere terra sotto i piedi dei campioni d'Italia per non farli scappar via. Un bell'inizio, non così il prosieguo per il centro biancorosso, spettatore forzato per un nuovo guaio muscolare all'altra gamba, evidentemente più forzata nel tentativo di alleggerire il peso su quella già malandata. Resta ora da chiedersi se questa sera Bryant potrà far sentire la sua magnifica presenza o se, per non rischiare, dovrà scaldare la panca lasciando i magnifici compagni Talts e Sakota un po' più soli sotto quei cristalli d'inferno. La qualificazione alla finale che, a quel punto, profumerebbe forte di scudetto, sta un po' in questo interrogativo, anche se ci pare molto robusta la fede, non più cieca ma vedente, di Green e soci i quali, dopo aver sbancato Siena, hanno fatto il pieno di maggiori convinzioni e sicurezze attraverso un autoritario recupero nel finale d'una gara che, con la Montepaschi forte di un piccolo ma promettente vantaggio, sembrava finita sul viale del tramonto. Si diceva di San Giovanni che non fa inganni: mai può esservi prova più schiacciante di un intervento così prodigioso, com'è accaduto a nemmeno un secondo dal suono della sirena con Sakota a far giustizia di vicende che sembravano fatalmente avverse. Prendete il temuto e graziato Hackett: una volta in campo è parso più abulico che sereno, più dannoso che prezioso. Che la farina del diavolo finisca sempre in crusca? Ora però sotto, come prima e più di prima, per conquistare questa benedetta finale, stando attenti a non cedere all'inganno del fattore campo, seppur in una Masnago caricata ai massimi storici ma, soprattutto, di una Montepaschi ritenuta esaurita o, peggio, data per morta. A un passo da un obiettivo inseguito, con stress e fatica, nel tempo, non si può aver paura di vincere né tantomeno commettere un tragico errore di interpretazione di un match nel quale i campioni d'Italia cercano orgogliosamente il classico colpo di coda.[/size][/size][/font][/color]


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