
[color=rgb(0,0,0)][font=Verdana][size=3][font=verdana]Un'altra delusione, d'una lunga serie. Non per uno scherzo brutale del destino ma per errori che stanno a monte, ad origine di una Cimberio sbagliata nel suo asse portante, quindi condizionata fortemente da individualità che, invece, di trascinare il collettivo, lo avvizziscono sino ad abbruttirlo. Siamo così a un temuto de profundis: il tredicesimo posto e un calendario che nelle prossime tre gare annuncia tempesta compongono una realtà spiacevole ma da accettare. Persino inevitabile, al di là di speranze e auspici dovuti per affetto, se certi paurosi limiti si trascinano vistosamente dal primo giorno costringendo Frates e i suoi uomini in un labirinto (dell'equivoco reiterato) nel quale sgomitano vanamente come prigionieri in cerca di libertà. Dall'estate scorsa questa squadra avrebbe avuto bisogno di una decisa discontinuità, peraltro sfiorata più volte con la speranza di un'inversione di tendenza stabile e possibile. Che mai in profondità si è concretizzata nel tempo, sin qui vissuto ad analizzare quegli inconvenienti inestirpabili come radici d'una pianta senza frutti. Della gara contro Roma si può eccepire sulle decisioni arbitrali non proprio casalinghe, se non contrariamente perfide, o sulle mosse dell'allenatore, imputabile dal popolo ad ogni indigeribile sconfitta, allorquando nel finale fa sedere De Nicolao, sin lì costruttivo regista, per schierare il titolare Clark. Ma, alla lunga, ogni appunto specifico non regge di fronte a una chiara sconfitta per mano di avversari di ben altro potenziale. Questa è la morale d'una mortificazione che non può, però, accompagnarsi allo sgomento di fronte a equivoci di sistema, noti da mesi, d'una Cimberio senza capo né coda, quindi costretta spesso a rifugiarsi in vecchi valori ma dal dubbio successo senza un'impronta chiara a beneficio del collettivo. Clark può anche segnare da casa sua o dal bar del palazzetto ma se poi non riesce a fluidificare l'azione della squadra nemmeno attraverso un elementare pick and roll... Già, ma il play americano è in buona compagnia, anzi cattiva, dovendo duettare con Hassell (foto Blitz) o Scekic i quali, per ragioni diverse, sotto i tabelloni sembrano talvolta confusi e persi in una selva oscura. Non ha nemmeno senso fischiare il centro serbo, di cui si conoscevano condizioni fisiche e caratteristiche (meno brillanti rispetto a due stagioni fa) e che si sta facendo il mazzo nel tentativo di far bene la sua parte (molto ingrata), eventualmente andrebbe disapprovato chi lo ha scelto e preso, valendo questo concetto all'indirizzo di Clark, non proprio un oggetto misterioso, avendo guidato (e sappiamo come) Venezia in una lunga serie di confronti. Per completezza di ammanchi si può anche parlare di una difesa con poco pathos, quindi mai fonte naturale dell'attacco, mancando ad esso prerogative convincenti. Tutte riflessioni arcinote, da... estremi mali, estremi rimedi. Facile a dirsi ma non a farsi, imponendosi per tutti una cognizione della realtà secondo la quale la società, pur volendolo, a riconsiderazione in tutta umiltà delle proprie scelte, non dispone di capitali fluttuanti, quindi di risorse occorrenti allo scopo. Si può probabilmente sperare in cambi di guardia (per uno che se ne va, ne arriva un altro), pur rischiosi in un mercato dei saldi. Una cosa è certa: la continuità della Pallacanestro Varese, con il suo appassionato e numeroso pubblico, resta più che mai un bene prezioso, anzi supremo, che presuppone sin d'ora l'abitudine da parte di tutti a una convivenza sofferta con la propria squadra del cuore cui non possono mai mancare affetto e sostegno.[/font][/size][/font][/color]
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