[color=rgb(0,0,0)][font=Verdana][size=3]Con carte sbagliate fra le mani. Ma non si può barare, dovendo, ogni volta, spiattellarle sul fatidico tavolo da gioco, senza poter calare quell'asso nella manica che cambierebbe la partita ma che non si possiede, facendo magari credere di non poterselo permettere. Qualche cosa di simile riguarda la dirigenza della Pall. Varese, piegata nervosamente in se stessa fra ripensamenti (come implicite ammissioni dei propri clamorosi abbagli di mercato) e dubbi (che fare per far diventare dritto un legno torto?), ovviamente, nell'intento di trovare la carta buona. Eppure quell'indimenticabile stagione, con Green e Dunston, insegna che, al di là di qualche soldone speso in più allora, a fare i colpi di mercato, più che i denari, sono idee chiare e scelte felici. [/size][/font][/color][color=rgb(0,0,0)][font=Verdana][size=3]
Tutto sbagliato, tutto da rifare. Dubbi non ve ne sono pensando al misero bottino raccolto ma se idealizziamo l'arrivo di un play capace di scandire armonia e giochi fluidi tra reparti, allora Varese può spendersi con grande dignità nel resto di una stagione, sin qui, si diceva, pressoché fallimentare, pure a tal punto da scavalcare la nostra più pessimistica immaginazione rispetto agli stessi severi (e sgraditi) giudizi d'inizio agosto. A squadra, appena fatta, parve chiara la mancanza di un talento o leader, in grado, per comprovate referenze, di arricchire i valori di un gruppo, ancorché solido e lineare ma privo di potenziali variabili per creatività e inventiva. Soprattutto ci stupimmo per le scelte fatte o condivise da Pozzecco che, furoreggiando da giocatore, per classe innata, avrebbe dovuto prediligere un paio di talenti da calare in un collettivo cui far lievitare i valori, peraltro, dentro una pallacanestro, nel suo complesso, tecnicamente mediocre. Su piazza qualcuno, in una specie di caccia al colpevole, ora sbagliatissima , comincia a mormorare sul conto di Giofré, supponendolo l'artefice principe di questa Varese, probabilmente, per il suo specifico compito di scouting ma se così fosse, bisognerebbe allora riconoscergli, con gli interessi arretrati, l'esclusivo merito di quella favolosa Varese (di due anni fa), invece e giustamente, spartito nelle alte sfere. Questione di gerarchie decisionali. Morale, non si batta la sella per non infastidire o, peggio, colpire il cavallo, intendendo le entità ufficiali più autorevoli del club dovendo badare a remare in ugual direzione, essendo tutti, tifosi compresi, sulla stessa barca. Tanto per ricominciare, un intervento è in atto per dotare il collettivo di un regista, nuovo stampo, capace di aggredire le difese avversarie, creare gioco e variabili offensive tenendo insieme, tra capo e coda, la squadra. Roba da sogno per un tentativo opportuno, purché s'azzecchi la scelta, in ogni caso ardua, di questi tempi, su un mercato che offre soltanto saldi. Dunque, uno fra Robinson e Dean è di troppo. Eccoci ad Avellino, di fronte a Vitucci, che qui non ha lasciato un bel ricordo per aver piantato tutti in asso, quindi a Banks, sempre inneggiato dalla tifoseria biancorossa, ora alfiere di una formazione che, l'estate scorsa, sbandierò grandi ambizioni ma che, oggi, è costretta a rimediare un pass per le finali di Coppa Italia. Varese, seppur fra travagli, nulla ha da perdere potendo sorprendere, come accadde a Brindisi, gli avversari, almeno per chiudere il girone di andata con gli stessi punti della scorsa stagione, il che è già tutto dire [/size][/font][/color]
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