Chi, oggi, si è fatto un giudizio sulla Pallacanestro Varese 2023/2024 e sulle sue prospettive, delle due l’una: o è un mago, o mente.
Poche volte ci siamo trovati così spaesati, incerti, sospesi davanti a una versione biancorossa come quella di quest’anno. Sebbene non sia la prima volta che le risultanze del mercato e delle scelte societarie propongono una squadra quasi completamente nuova, stavolta ci sono dei fattori aggiuntivi che infittiscono il mistero e i pronostici.
Il primo: il cambio di guida tecnica. Matt Brase ha rappresentato fin dal primo momento un continuum chiaro con la filosofia di gioco prediletta da Luis Scola, della quale era già un fervente predicatore: impostata l’idea, il coach di Tucson l’ha cucinata e servita, presentandola a un mondo che non la conosceva. Era “fatto” per questo, era su quella panchina per questo. Tom Bialaszewski è invece molto più ibrido del predecessore: conosce il “sistema”, ma ha esperienza di Europa e ha attinto anche a ben altri pozzi cestistici, i quali non possono non aver lasciato un segno sul modo di intendere la pallacanestro. La sua sarà inevitabilmente una sintesi, più che una copia.
Ecco, il gioco. Il precampionato non “ha” in dote i garretti, l’esplosività, la confidenza per esprimere giudizi veri: vale per i risultati, vale persino per il modo di stare sul parquet. La Varese di Bialaszewski pare sì destinata a aumentare i giri del motore, proporzionalmente al crescere della condizione fisica e dell’efficacia difensiva (oggi come oggi più imprescindibile di qualche mese fa), ma è fatta di giocatori che - al pari del loro coach - hanno anche altre attitudini rispetto al corri e tira. O allo stoppa e vola, se pensiamo al centro, quest’anno l’elemento più importante del roster. Tariq Owens era l’interprete lungo perfetto per completare il palco del 7 seconds or less, anche perché non aveva alcun bisogno di prendersi la scena: quali saranno invece il ruolo, il peso e il copione definitivi di mister 400 partite in NBA Willie Cauley Stein?
Già, i singoli. Non è facile arrivare dopo Colbey Ross, Markel Brown e Jaron Johnson, ovvero rispettivamente l’Mvp del campionato, l’Mvp “morale”, nonché pietra angolare della squadra, e il prototipo dell’atipico che è andato a scompaginare i piani avversari: era abbastanza scontato, quindi, che nelle prime partite, i loro eredi non avrebbero rubato gli occhi. Eppure un giocatore di rango come Olivier Hanlan Pallacanestro Varese poche volte lo ha avuto: tra lui e Markel Brown, un anno fa, forse avremmo scelto il primo. Eppure Sean McDermott è un bigino di pallacanestro forgiato dal latte dell’Indiana, eppure Davide Moretti è uno dei migliori giocatori italiani della Serie A.
Al netto delle perplessità che aleggiano su Vincent Shahid (che non è un play) e su Gabe Brown (che non è un’ala grande, per quel che conti nel sistema Varese, ed è acerbo…), entrambi elementi grezzi da grattare con olio di gomito per scoprirvi eventualmente l’oro, e sulla relativa profondità di un roster che dovrà affrontare due competizioni, come nomi - sulla carta - questa Varese ha tutto per non essere inferiore a quella che nello scorso campionato è arrivata sesta. Ma saprà trovarsi e fondersi come ha fatto quella precedente? Qui sta la questione, qui sta la stagione.
Ed è anche un discorso di gruppo, altro punto in sospeso. Con Giancarlo Ferrero eri certo almeno di una cosa, all’incipit di ciascuna annata: che ogni nuovo biancorosso avrebbe avuto un Virgilio sempre pronto a spiegare ed aiutare, una colla a presa rapida, un capitano oltre il quale sarebbe stato difficile andare. Via lui, via anche De Nicolao: chi prenderà le loro veci? Sotto quale stella stanno nascendo l’amalgama, lo spogliatoio? C’è anche chi ricorda che pure gli Indimenticabili 2012/2013 furono una congrega di atleti ritrovatisi senza conoscersi l'un l'altro, eppure si sono scoperti uniti come non mai fin dal primo giorno.
Coach, gioco, singoli, gruppo: il precampionato non ha detto nulla, assolutamente nulla. Solo da oggi si inizia a scrivere il libro: alla Gloria Sports Arena di Belek, periferia di Antalya, la Itelyum Varese si giocherà il primo step del sogno Basketball Champions League. Un sogno che non sarà drammatico vedere eventualmente svanire, persino immediatamente: come si può definire obiettivo un qualcosa che arriva così presto e così straniero per una squadra che è straniera persino a se stessa?
Molto più importante sarà ricevere le prime risposte alle domande di cui sopra. Dalla squadra e da un coach che come capo è pur sempre un esordiente.
Il KK FMP Belgrado, sponsorizzato Soccerbet, l’avversario odierno (palla a due alle 15.30), è la prima contendente che arriverà a saggiare la consistenza biancorossa, ma passerà come una meteora, qualunque sia il risultato finale. Segnatevi questi tre giocatori: Jordan Walker, guardia, Boja Subotic, ala, Nate Watson, centro. Il grosso dell’impatto serbo passerà da lì e da una fisicità massiccia (ben superiore a quella varesina) che si fa preferire al talento, nel caso di specie.
Fa caldo, ad Antalya: il termometro arriva a 35 gradi. Varese ci è giunta lunedì, dopo un viaggio di 12 ore tra trasferimento a Orio al Serio, volo su Istanbul, attesa in aeroporto e volo interno per la meta finale. Ieri riposo al mattino e breve allenamento al pomeriggio, in concorrenza con diverse altre squadre presenti al Qualification Round di BCL.
Stamattina classico shootaround, poi non si scherza più.
Fabio Gandini
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