
Arrivato a Varese come “colpo italiano” dell’estate 2024, Davide Alviti nel corso della travagliata stagione biancorossa ha saputo emergere come uno dei principali punti di forza della Openjobmetis che ha raggiunto, non senza paure, la salvezza. Lo score dell’ala di Alatri parla di 13,9 punti a partita con percentuali eccellenti: il 60,9% da 2 e il 44,7% da 3 punti. Numeri che fanno intuire l’impatto avuto da Alviti nelle fortune della squadra, specie negli ultimi mesi trascorsi sull’orlo della retrocessione.
Davide, quando al suo arrivo a Varese fu tra i giocatori più in difficoltà ad adattarsi al gioco della squadra. Poi però è risultato il più continuo sia con Mandole sia con Kastritis in panchina. Come è andata?
«A inizio stagione non feci mistero del fatto che fosse difficile capire il gioco scelto dalla Openjobmetis. Incastrarsi nei giochi e nei ritmi richiesti non era una cosa semplice, però poi quando ho iniziato a capire il funzionamento tutto è migliorato. E per un tiratore, alla fine, è la situazione perfetta infatti si sono verificate quelle condizioni che ci eravamo prefigurati parlando con Luis Scola in sede di trattativa. Poi è chiaro che parlando di Mandole e Kastritis citiamo due tecnici molto diversi tra loro. Kastritis però in fase d’attacco non ha stravolto niente, ha dato maggiore disciplina ma ha mantenuto i concetti che già avevamo e anche questo ha aiutato il mio gioco».
Nel tiro da 3 punti lei sfiora il 45%: si attendeva risultati simili sul piano personale?
«Io dico sempre che certe cifre non arrivano per caso. Lavoro molto, anche nei mesi estivi, per arrivare a tenere queste percentuali e magari per migliorarle. Poi è chiaro che il risultato dipende anche da tanti fattori: dal tipo di gioco, di squadra, dall’allenatore, dai compagni… però gli esercizi specifici sono importanti. E non solo per il tiro: mi sono concentrato anche sui cosiddetti intangibles, azioni magari poco visibili ma che portano aiuti alla squadra, Vale per me ma anche per i miei compagni: nei periodi più brutti ci si deve affidare alle cose che si fanno meglio, e ognuno tra noi ha portato qualcosa di buono».
Avete attraversato momenti molto difficili: c’è stato un periodo in cui avete davvero temuto di retrocedere?
«Credo che il momento più complicato sia arrivato dopo la metà del campionato quando vedevamo una sorta di “lato oscuro”. Quando anche lavorando con impegno in settimana, alla domenica raccoglievamo solo sconfitte, alcune anche con scarti elevati. Con l’arrivo di Kastritis abbiamo iniziato a percepire meno questa situazione, perché anche nelle sconfitte abbiamo dimostrato di poter sfidare tutte le avversarie, anche quelle più forti. E questo ci ha spinto a lavorare ancora meglio in allenamento».
Lei ha un contratto valido anche per l’anno prossimo ma con una clausola d’uscita se ci fosse una chiamata da una squadra che fa le coppe. A che punto è un’eventuale trattativa per consolidare questo contratto?
«Con la società ci stiamo parlando per trovare un accordo. A Varese mi sono trovato bene e non ne faccio mistero, mi piacerebbe rimanere. Però non ci siamo dati una scadenza: non vogliamo affrettare le cose, ci prendiamo i tempi necessari».
Le piace questo basket moderno in cui, quest’anno, si è trovato a cambiare tantissimi compagni di squadra e in cui ogni gruppo viene stravolto praticamente ogni estate?
«Credo che ormai la direzione che ha preso il basket sia quella. Soprattutto per gli americani ormai è molto difficile che si resti nello stesso posto per tanti anni. Per quanto riguarda l’Openjobmetis di questo campionato c’è da dire che fin dall’inizio ci è mancata stabilità, quindi questi continui cambiamenti sono stati una conseguenza della situazione, non è la norma. Perciò dico che chi c’è stato dall’inizio è stato molto bravo nel mantenere la direzione giusta».
A novembre lei ha ricevuto la chiamata in azzurro per una delle “finestre” dedicate alle Nazionali. In queste settimane ha sentito il c.t. Pozzecco o comunque ricevuto segnali per il futuro con l’Italia?
«Non ho parlato con nessuno, ma posso dire che andare in nazionale rimane una cosa bellissima che un giocatore si deve meritare. A novembre, quando sono stato convocato, ero molto felice: stavo lavorando bene e continuerò a farlo per tornare in azzurro, poi le scelte spettano al commissario tecnico e alla Federazione».
Damiano Franzetti
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