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«Certe cose non sono allenabili, certe cose te le devi portare da casa». Il tasto "rec" del cellulare si può schiacciare per la seconda e ultima volta: registrazione finita, non serve altro. Paolo Moretti, dopo aver parlato ufficialmente davanti ai microfoni Fiba in sala stampa, ci concede qualche battuta nel corridoio attiguo alla press room della Olympic Center Arena, ormai vuota come sarebbero vuote eventuali altre parole. «Certe cose non sono allenabili, certe cose te le devi portare da casa».Definizione di corollario: proposizione che consegue, per consequenzialità logica, a un'altra proposizione già dimostrata. Eccone alcuni esempi. Dopo il match contro il Paok il coach nato ad Arezzo disse: «Stanno mancando i "teorici" titolari, quelli che dovrebbero trainare la squadra». Capitan Cavaliero, pochi giorni dopo, in un'intervista al nostro giornale si espresse così: «Io non so se abbiamo capito che non ci possiamo permettere di perdere due partite di fila di 30 punti. È questione di orgoglio».

Crisi mentale «Certe cose non sono allenabili, certe cose te le devi portare da casa». "Certe cose" non sono altro che il carattere, la capacità di non mollare alla prima difficoltà, di non piegarsi al volere degli avversari senza opporre resistenza. "Certe cose" sono la malizia, la cui mancanza ce la si può aspettare da un Avramovic o un Johnson, ai primi passi della carriera, non da un Maynor o da un Campani. "Certe cose" sono il non vagare per il campo con il volto perso quando il tabellone "dice" che sei sotto di 15 punti, sono il non nascondersi dietro la mediocrità dei compagni pensando che così la propria possa non essere sottolineata a dovere. "Certe cose" sono queste cose. E il bagaglio della Openjobmetis è per l'ennesima volta rimasto vuoto alla partenza dalla Città Giardino. In Lettonia finisce 91-66, un'altra resa, solo parzialmente spiegata dal climax di cui sopra, che come al solito privilegia gli aspetti mentali di una crisi biancorossa arrivata alla quinta prova. Scelta? No, necessità, evidenza. Non è il giornalista ad abbozzare il tarlo dell'incosistenza caratteriale della compagine che veste di biancorosso: è chi ci lavora dentro, coach e giocatori (Cavaliero, primus inter pares) a conclamarla ben oltre quello che dimostrano i fatti, per la verità già bastanti a se stessi.

Cifre senza pietà Perché se si vuole tornare al tecnico, facendo finta che i problemi si possano risolvere solo cambiando "figurine" (in questo caso avremmo la lista dei desideri: un play sano e "drago" del pick and roll, una guardia da 20 punti a partita, un tre cecchino, un'ala forte bidimensionale nel pieno degli anni e un centro che faccia arrossire gli avversari come lo era Dunston. Tanto son figurine: si posson cambiare senza sbattersi, giusto?), allora andiamo sulle cifre. L'Europa, questa Europa, non è cosa da Varese. Non è cosa da questa Varese. Il match contro la truppa che evoluisce al freddo del Baltico, infarcita di ex italiani (Janicenoks, Campbell) ed ex varesini (Deane, che con 16 punti si diverte a buggerare la squadra dove sfigurò, e Kuksiks, un po' sottotono a scrivere la verità), spiega in modo quasi lapalissiano la non cittadinanza della Openjobmetis al mondo della coppa: 91 punti contro 66, 53% da due contro 41,54% da tre contro 27, 45 rimbalzi a 30 (e l'assenza di Anosike non serve da giustificazione, quanto da bocciatura completa di Campani e Pelle, suoi sostituti), 21 assist contro 8 (dimostrazione dell'assenza totale di pericolosità offensiva).

Pochi appelli ancora disponibili Così, con questi problemi, con questa lena, con questi risultati, il viaggio in Champions diventa un lusso che Varese non può permettersi, bisognosa come sarebbe di provare a trovare il bandolo della matassa al chiuso di una palestra. Di certo, alla luce delle considerazioni fatte, dell'ennesima sconfitta pesante e dell'autentica mancanza di grinta profusa sul parquet, l'ora delle spiegazioni sembra suonata con pochi altri appelli disponibili. Si può e si riesce a cambiare? Chi guida dalla panchina, coach Paolo Moretti, crede ancora in tutti i giocatori che ha a disposizione? Chi invece guida la società crede ancora ciecamente in lui e nelle sue possibilità di presa sugli atleti del gruppo, dal punto di vista tecnico e umano? Servirebbero delle risposte.

Fabio Gandini


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