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Quel pizzico di flessibilità che manca all’Openjobmetis. E che la può aiutare. Il commento di Damiano Franzetti


simon89

La sconfitta nel quarto di finale contro Pesaro ha lasciato la bocca amara a tutto il popolo che ha a cuore la Openjobmetis. I tifosi, soprattutto quelli presenti a Torino che hanno poi viaggiato verso casa, sono rimasti fino a tarda ora sui canali social per commentare un KO difficile da digerire, non tanto per il verdetto quanto per come è maturato.

Come abbiamo elencato nella cronaca del dopo gara, sono state troppe le cose che non hanno funzionato, in campo e nella gestione della squadra. Troppe in virtù – soprattutto – del risicato punteggio finale, 84-80 per la Carpegna, la classica partita in cui due imprecisioni in più e in meno fanno tutta la differenza del mondo. Vediamo, quindi, qualche punto di riflessione su quanto accaduto al PalaAlpitour, non certo per creare polemiche sterili ma per provare a evitare di sbagliare altre volte. E per stimolare il dibattito.

Partiamo da una premessa che però è anche il primo tema “caldo”, ovvero le scelte di coach Matt Brase e del suo staff tecnico. Brase è probabilmente l’uomo adatto per guidare questa squadra (lo diciamo con convinzione) perché ha contribuito a creare il roster per conoscenze dirette (Brown su tutti ma anche Johnson e Ross) e lo ha plasmato nel modo in cui lo vediamo ogni domenica. Quindi squadra divertente, anche vincente, simpatica, frizzante e talentuosa nonostante le lacune tecnico-tattiche che presenta.

Quel che però manca, e forse potrebbe aiutare a migliorare, è un pizzico di flessibilità. La “famosa” questione dei timeout, per esempio: la strada scelta da Brase è apprezzabile (in breve: ne chiamo pochi perché sono i giocatori a dovere imparare a gestire i momenti di gioco) e probabilmente ha effetti positivi sul lungo termine. Ma il timeout è anche quel momento in cui omaccioni che pesano un quintale possono tirare il fiato e dissetarsi, specie se la squadra è composta da otto/nove elementi. Se Markel Brown sta 38 minuti sul parquet, permettergli di rifiatare non significa cambiare volto alla squadra bensì “aiutare” i tuoi a ritrovare lucidità soprattutto in momenti in cui la pressione è alta.

Lo stesso discorso lo possiamo applicare alla situazione falli: Pesaro si è ritrovata carica di penalità con diversi giocatori fin dall’inizio della ripresa, ed è addirittura andata in bonus dopo 1’20” del terzo periodo. Perché, dunque, non pensare a qualche situazione di isolamento (con Caruso, magari?) o un maggiore ricorso all’uno contro uno per provare a “eliminare” dalla partita qualche giocatore marchigiano? Brase in conferenza stampa, su nostra domanda, ha spiegato che Varese ha un altro tipo di gioco: è vero, ma ancora, utilizzare un accorgimento favorevole non significa cambiare il DNA o il modo di stare in campo complessivo.

Terzo e ultimo esempio nel quale la flessibilità potrebbe – poteva – rivelarsi decisiva. In tanti hanno notato che la Openjobmetis ha iniziato la fase finale del riscaldamento a pochi minuti dalla presentazione delle formazioni e dall’Inno di Mameli. Vero, e spieghiamo l’accaduto: la durata del match tra Milano e Brescia e il programma della serata (c’era, per esempio, uno spazio dedicato al 3v3 tra i bambini) hanno ridotto il tempo a disposizione di Varese e Pesaro. Lo staff biancorosso però si è fatto cogliere impreparato, ha proseguito con la routine consueta e così la squadra è arrivata sul parquet dopo la Carpegna. Che invece, appena i bambini hanno liberato il campo, si è fiondata a “fare la ruota”. Dettagli, appunto, e mancanza (o almeno difficoltà) di adeguare il proprio schema che alla luce di quanto avvenuto nel primo periodo (29-12 Pesaro) hanno fatto la differenza.

Poi – va da sé – i giocatori singoli e il gruppo degli atleti ha parecchio da rimproverarsi: le brutte percentuali, la vagonata di palle perse, la difficoltà nel contenere alcuni avversari, i “buchi” difensivi che hanno causato qualche canestro troppo facile a Tambone e compagni. Mettiamo nel calderone anche un arbitraggio che ha lasciato diverse perplessità nel finale di partita (la presunta interferenza di Owens quando Toté aveva toccato la retina, un fallo netto su tiro di Ferrero dall’arco…) e l’opera è compiuta.

Peccato, viene da dire: la Pallacanestro Varese ha strameritato l’accesso alle Final Eight e va ringraziata per questo. Essere andati a casa così rapidamente dopo una partita simile, davanti a mille tifosi biancorossi, però fa davvero male. E gli stessi protagonisti in campo e in panchina avrebbero meritato di giocarsela meglio.


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